Ancora oggi basta farsi un giro in qualsiasi supermercato per capire che siamo in un’epoca di grande abbondanza alimentare (almeno da queste parti). Ma tutto questo mangiare è accompagnato da una schizofrenica quantità di sensi di colpa e da intensi ed il più delle volte inutili sforzi per perdere peso. Leggendo un libro trovato su un tavolino di una sala d’attesa apprendo che in America ogni anno metà della popolazione inizia una dieta dimagrante; che in questo momento oltre 50 milioni di persone sono a dieta; che il 75% delle donne pensano di dover dimagrire; che gli americani spendono ogni anno più di 30 miliardi di dollari in diete e tentativi vari di dimagrimento.
La dieta moderna è il motivo principale per cui la gente di tutto il mondo è più grassa e più malata che mai.
Sicuramente il mondo (o meglio una parte di esso) avrà fatto tanti passi avanti ma, paradossalmente, lo ha fatto incrementando l’incidenza di malattie croniche come l’obesità, il diabete e di conseguenza vari tipi di malattie cardiache.
Se stessi scrivendo sul mio blog personale in questo momento vi racconterei di come a parer mio l’errore è da ricercarsi ancora una volta nella superstizione di quella stessa filosofia materialista che è alla base di quel modello di sviluppo. Una filosofia che ci porta a considerare il nostro corpo come una struttura anatomica solida, definita, fissa nello spazio e nel tempo quando invece anche i nostri corpi sono un flusso di informazioni ed energie che si rinnovano costantemente al passare di ogni secondo. Ma chi mi conosce, ahimè, sa che sono la persona meno titolata ad affrontare l’argomento e per questo torno nei ranghi della social innovation e condivido con voi alcuni spunti di ricerca socializzati nella rete dai preziosi Kris Gunnars e Stephan Guyenet nei loro blog per una comprensione che va oltre il problema di perdere qualche chilo e ci riporta alla considerazione sui legami complessi che uniscono l’aumentare dei problemi legati al sovrappeso ad un certo modello di “sviluppo” che sta ormai arrivando alle sue battute finali.
Ecco una selezione di 10 chart emblematiche per fare alla fine qualche considerazione con voi:
1. Il consumo di zucchero negli ultimi 160 anni è salito alle stelle
fonte: Johnson RJ, et al. Potential role of sugar (fructose) in the epidemic of hypertension, obesity and the metabolic syndrome, diabetes, kidney disease, and cardiovascular disease. The American Journal of Clinical Nutrition, 2007.
Noi occidentali consumiamo enormi quantità di zuccheri raffinati, raggiungendo un picco di circa 67 kg all’anno in alcuni paesi. Questo significa oltre 500 calorie di zucchero al giorno.
Lasciando stare se le cifre sono precise o meno è molto chiaro che stiamo consumando molto più zucchero di quanto i nostri corpi non siano in grado di gestire e questo quando ormai è ampiamente dimostrato che l’assunzione di grandi quantità di zucchero può portare a gravi problemi metabolici tra cui la resistenza all’insulina, la sindrome metabolica, il colesterolo ed i trigliceridi alti per citarne qualcuno, per non parlare del fatto che un eccesso di zucchero è uno dei principali driver di malattie come l’obesità, il diabete di tipo 2, le malattie cardiache e persino il cancro.
2. Il consumo di bevande gassate e succhi di frutta è aumentato vertiginosamente
Anche se le bevande gassate sono assolutamente le peggiori per apporto di zucchero, anche la maggior parte dei succhi di frutta industriali non scherza. Il problema sta nel fatto che lo zucchero in forma liquida è particolarmente dannoso. Molti studi mostrano, infatti, che il cervello non “registra” le calorie dello zucchero in forma liquida nello stesso modo di come registra le calorie dai cibi solidi. Questo incrementa significativamente la quantità di calorie accumulate.
Uno studio ha dimostrato che tra i bambini che consumano regolarmente bevande zuccherate il rischio di obesità aumenta del 60%.
3. L’assunzione di calorie è aumentato di circa 400 calorie al giorno
fonte: Dr. Stephan Guyenet. The American Diet. 2012.
Anche se le cifre esatte variano da fonte a fonte, è chiaro che l’apporto calorico è aumentato drammaticamente negli ultimi decenni.
Ci sono ragioni molto complesse per questo, compreso l’aumento del consumo di cibo ed ancora una volta l’eccessivo consumo di zucchero trasformato presente in tutti gli alimenti industriali.
Una bella botta sicuramente è data da un marketing molto aggressivo verso i bambini che rimangono un target “appetitoso” per le multinazionali del food.
4. Il passaggio dal consumo di grassi tradizionali in favore di oli vegetali processati industrialmente
fonte: Dr. Stephan Guyenet. The American Diet. 2012
Quando i professionisti della salute hanno iniziato ad imputare i grassi saturi come i principali responsabili delle malattie cardiache, abbiamo tutti cominciato ad abbandonare l’uso di grassi tradizionali come il burro in favore di grassi vegetali che hanno bisogno di essere trattati chimicamente in industrie per diventare commestibili. Questi grassi sono molto ricchi di Omega 6 (acidi grassi) e se consumati in eccesso causano infiammazioni e vari problemi di salute. Questi olii, inoltre, sono spesso idrogenati, il che, come molti studi hanno dimostrato, li rende davvero tra i principali responsabili dell’aumento di rischio di malattie cardiache.
In Italia sembrerebbe che su questo fronte ci siamo salvati vista la nostra attitudine a produrre ed utilizzare il più sano olio di oliva.
Ma siamo sicuri che sia tutto olio italiano genuino quello che così è definito?
Giorni fa il NewYorkTimes ha pubblicato questa sconcertate animazione e come al solito i soloni del patriottismo becero si sono inalberati. Bè io avrei utilizzato quelle energie per lavorare a strumenti si trasparenza e consapevolezza a favore dei consumatori, voi che dite? Di quale ministro è il compito? Mandategli una mail
5. Molte persone hanno sostituito un po’ di sano burro con le Margarine light
fonte:whole health source – nutrition and healt science
Un altro effetto collaterale della “guerra” a grassi saturi è stato l’aumento del consumo di margarina che è fatta con oli idrogenati. Molti studi dimostrano che questi grassi aumentano il rischio di malattie cardiache mentre il burro tradizionale (quello prodotto da mucche che mangiano erba) in realtà contiene sostanze nutritive che possono addirittura essere protettive contro le malattie cardiache (come la vitamina K-2). Quindi il consiglio di sostituire il burro con margarine ritenute maggiormente “light” può aver fatto un sacco di danni. W il marketing!
6. L’Olio di soia è diventata la principale fonte di calorie
fonte: the American Journal of Clinical Nutrition
Il 7% delle calorie ingerite dagli americani proviene dall’Olio di Soia, il che è una cifra esorbitante. Ma attenzione, la maggior parte delle persone non ha la minima idea che stà ingerendo ingenti quantità di questo olio di soia. Questo perché la maggior parte di esso è ingerito attraverso i prodotti industriali a cui viene aggiunto olio di soia perché è l’ingrediente più economico ed utile per esaltare caratteristiche del prodotto. Il modo migliore per evitare l’olio di soia rimane quello di evitare alimenti trasformati. So che quello che dico può sembrare banale e so anche che è una cosa molto dura da dirsi per la quale forse non mi ospiteranno più neanche su questo blog. Il perché? Bè pensateci bene
7. Il grano che mangiamo oggi è meno nutriente rispetto alle varietà tradizionali di grano
fonte: Fan MS, et al. Evidence of decreasing mineral density in wheat grain over the last 160 years. Journal of trace elements in medicine and biology.
Il frumento è una parte importante della dieta occidentale. Si trova in tutti i tipi di alimenti pane, pasta, dolci, pizze e quasi tutti i prodotti trasformati, tuttavia il grano non è più quello di una volta. E si, purtoroppo non è solo un modo di dire perché il grano moderno è stato introdotto intorno al 1960 e contiene il 19-28% in meno di importanti minerali come magnesio, ferro e zinco. Vi sono anche prove che il grano moderno è molto più dannoso (anzi che forse sia la causa) per la celiachia e per persone con sensibilità al glutine in generale.
Fortunatamente in Italia sono sempre di più i progetti di recupero delle vecchie sementi ma tutte necessitano di un sostegno da parte dei decisori politici e di organizzazione in termini di sostenbilità economica, altrimenti si corre il rischio che rimangano esperienze isolate di folklore provinciale.
Noi questa estate continueremo ad organizzare una settimana dedicata al tema con l’evento #campdigrano nella preziosa comunità di Caselle In Pittari in Cilento (Salerno) dove i compari della Coop. Terra di Resilienza stanno conducendo da anni un progetto di grande recupero di antiche varietà di grano che altrimenti sarebbero andate perdute. Vi manterremo aggiornati perché quest’anno ci saranno belle novità!
8. Stiamo mangiando più che mai cibi industriali ed elaborati
fonte: Dr. Stephan Guyenet. Fast Food, Weight Gain and Insulin Resistance. Whole Health Source.
Questo grafico mostra come il consumo di fast food è aumentato negli ultimi decenni.
Attenzione, per fast food non dobbiamo considerare solo il junk food delle solite note paninoteche. Infatti anche se ci sembra di consumare la maggior parte dei nostri pasti “a casa” questo non significa che tutto quello che mangiamo sia genuino o che non mangiamo continuamente alimenti trasformati e preconfezionati scambiando spesso l’arte dell’assemblaggio con quella del cucinare.
9. Il fatto che ingeriamo molti grassi vegetali trasformati sta cambiando la composizione in acidi grassi del nostro corpo
fonte: Dr. Stephan Guyenet. Seed Oils and Body Fatness- A Problematic Revisit. Whole Health Source.
La maggior parte dei grassi omega-6 che mangiamo è un acido grasso chiamato acido linoleico. Gli studi dimostrano che questo acido grasso viene facilmente incorporato nelle nostre membrane cellulari e depositandosi aumenta drasticamente le riserve di grasso corporeo. Questi grassi sono soggetti ad ossidazione e questo danneggia le molecole del nostro corpo e può aumentare il rischio di cancro.
In altre parole l’aumento del consumo di oli vegetali trasformati può realmente portare a cambiamenti strutturali nocivi nei nostri corpi. Questo lasciatemelo dire è un pensiero spaventoso.
10. Il boom di una certa dieta a basso contenuto di grassi comincia quando è cominciata l’epidemia dell’obesità. Hmmm…
fonte: National Center for Health Statistics (US). Health, United States, 2008: With Special Feature on the Health of Young Adults. Hyattsville (MD): National Center for Health Statistics (US); 2009 Mar. Chartbook
Le prime linee guida dietetiche per gli americani sono stati pubblicati nel 1977 ed il boom di una dieta “sana e povera di grassi” ha colonizzato tutto l’occidente grazie ad una grande propaganda passata per i media e per il finanziamento di ricerche. E il tutto avveniva quasi allo stesso momento di quando è iniziata l’epidemia dell’obesità. Naturalmente questo non prova nulla, la correlazione non è un nesso di casualità, ma ha senso pensare che questo potrebbe essere molto più di una semplice coincidenza.
Il messaggio anti-grasso ha puntato l’indice su grassi saturi e colesterolo (innocuo), dando un primato di importanza a zuccheri e carboidrati raffinati che come abbiamo visto possono essere realmente dannosi. Per qualche strano motivo, ancora ci consigliano di seguire questo tipo di dieta nonostante gli studi ci dimostrano che è del tutto inefficace.
Gli studi sono chiari: quando abbiamo abbandonato la nostra alimentazione tradizionale a favore di alimenti moderni trasformati ad alto contenuto zucchero, di farine ed oli vegetali raffinati, abbiamo cominciato ad ammalarci. Naturalmente, sono molte le cause che concorrono a questi problemi di salute ma certamente i cambiamenti nella dieta sono il fattore più importante.
Ma a chi conviene tutto questo? Siamo sicuri che si tratti di processi di democratizzazione alimentare?
Se vediamo in un’ottica sistemica i costi del cibo moderno imbatteremo in molte contraddizioni, capiremo che un panino di fast food costa molto di più del conveniente 1€ con cui è pubblicizzato. Costa infatti 1€ più tutti i costi sociali che collettivamente (sistema sanità) e privatamente (i costi delle nostre cure personali) dobbiamo sostenere.
Quello che mi chiedo è che se in tempo di crisi possiamo ancora permetterci costi così elevati derivanti da quello che è (o dovrebbe essere) uno dei nostri bisogni primari.
Fuori da ogni moralismo e da ogni oltranzismo green quello che penso è che bisognerà prima o poi cominciare a calcolare l’impatto sociale (positivo e negativo) delle imprese che producono, distribuiscono e commercializzano alimentari.
Sbaglio o è (anche) di questo quello che dovrebbero occuparsi enti ed istituzioni governative? Beh devo confessarvi che è questo ciò che mi piacerebbe di cui si parlasse all’EXPO (e non solo).
Ripeto senza nessun moralismo e fuori da ogni ideologia, ma con tanto sano pragmatismo e senso critico bisogna ragionare se è davvero questo che conosciamo, l’unico modello di sviluppo o se forse non sia il momento di mettere in campo la stessa discontinuità innovativa che sta permeando altri comparti.
E se è vero che si parla e si parlerà tanto di social innovation, ovvero di una forma organizzativa che metta al centro le comunità e che prevede soggetti che siano economicamente, ambientalmente e socialmente sostenibili, forse è il momento di lavorare ad una “rural social innovation” che partendo dalle scelte personali basilari, ovvero dai consumi che ciascuno sceglie di fare, riesca a creare la consapevolezza che dietro le nostre scelte alimentari si mette in moto un meccanismo complesso che determina l’andamento di ambiente, agricoltura, salute ed economia . Aspetti che oggi più che mai sono intimamente interrelati tra loro. Ma questa correlazione l’approfondiremo in un prossimo post.
Sono sicuro che gli organizzatori sapranno andare oltre gli interessi, diretti e indiretti, di eventuali partners e sponsor per rispondere alla domanda (cito dal sito Expo):
È possibile assicurare a tutta l’umanità un’alimentazione buona, sana, sufficiente e sostenibile?
Il tema è davvero universale ma tornado ad un modello di sviluppo che possa aiutare anche l’Italia con il suo patrimonio di biodiversità seriamente non credo che il tutto si risolva creando dei maximall dei prodotti made in italy. Credo invece che i Tempi ci suggeriscano di indagare un sistema di sviluppo da guardare con occhi nuovi: un’etica delle start-up (se vogliamo divertirci ad usare questa parola) che si fondi sull’etica della rete, un sistema non accentratore ma diffuso, che metta in moto continuamente modalità di redistribuzione economica sul territorio e tra le comunità.
Fortunatamente il mondo, ma anche e soprattutto l’Italia, è pieno di segnali positivi che vengono dal basso e di tanta tantissima ricerca che non necessariamente si svolge nei laboratori accademici (spesso sponsorizzati dalle stesse multinazionali del food) ma che avviene sul campo (scusate il gioco di parole). Una ricerca che passa per le pratiche quotidiane di una moltitudine di hacker neo rurali (giovani imprenditori dell’agroalimentare) che quotidianamente ci suggeriscono alternative per creare prosperità su tutti i fronti: economia, ambiente, società.
Non ci crederete, ma per una volta noi italiani siamo all’avanguardia in questo. Non se ne sono ancora accorti politici e media, ma questo nel nostro Paese è normale. Anzi forse è quasi una fortuna!
Vista dagli occhi dei rural innovator la crisi non esiste.
E voi come la vedete?
I ragazzi di www.ruralhub.it ai quali do il mio umile contributo (sono un obeso che non è in grado neanche di coltivarsi una piantina di basilico) passeranno un po’ di tempo ad osservare ed a capire come poter unire i punti. Seguiteli su twitter @ruralhub e segnalate tutte le esperienze che ritenete affini, cercheremo di metterle in rete e chissà che non saranno utili anche agli amici dell’EXPO
ALEX GIORDANO