3 ragioni per cui il lavoro è un problema e una soluzione

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Il tema del lavoro, nel nostro Paese, è una di quelle priorità un po’ strane per almeno tre motivi.

  1. È una priorità costante.
  2. Se ne parla sempre al futuro.
  3. Viene raccontato solo nelle sue accezioni negative.

Andiamo per ordine.

Punto uno: ci sono problemi che, a un certo momento, diventano prioritari e proprio per questo vengono affrontati. Quando invece qualcosa rimane costantemente prioritario, significa che non sono state messe in campo, e nemmeno tentate, misure utili a risolvere il problema, che inevitabilmente trascinandosi diventa dramma.

Punto due: ipotizzare soluzioni per il domani senza agire subito non risolvono il problema dell’oggi, anzi lo aggravano, così anche se un domani si mettessero in campo non sarebbero più sufficienti.

Terzo punto: in Italia di lavoro se ne parla per la chiusura di una fabbrica, i licenziamenti, le manifestazioni e le proteste sindacali.

Mai che un giornale o un telegiornale di prima fascia si occupassero di raccontare storie positive, di innovazione e di successo.

Il tema storytelling del lavoro è però fondamentale e, personalmente, sono anni che mi ci dedico, tra libri (Generazione Mille Euro e Jobbing), trasmissioni Tv (due anni di Generazione S su La3) e dibattiti. Come me ci sono tanti altri storyteller del lavoro (potremmo definirci jobteller), da Giampaolo Colletti con la community in continua crescita dei Wwworkers, a Roberto Bonzio con Italiani di Frontiera, a Chefuturo!, Startup Italia, le storie di Riccardo Luna prima su Wired e ora su Repubblica, i pezzi di Massimo Sideri sul Corriere, i blog dello stesso Corriere come La Nuvola del Lavoro e Solferino 28… ma lo spazio è sempre poco e i titoloni da prima pagina sono sempre e solo per le notizie negative (crisi, disoccupazione, disoccupazione giovanile, spread… ah già, spread non più ora, è passato di moda).

Tempo fa ho inseguito per alcuni mesi il direttore di un grande giornale, presunto esempio di giornalismo moderno e all’avanguardia, che rimbalzandomi tra una segretaria e un caporedattore non mi ha dato mai risposta sul creare uno spazio fisso per le storie di chi il lavoro lo inventa e lo fa, raggiungendo successi che sono piccoli esempi di una nuova Italia possibile.

Sottolineo questi esempi perché nel nostro Paese il non cercare lavoro o il dire “non c’è lavoro” sono cose ormai troppo normali: il “rinuncio a priori, tanto non ci riuscirei” segna il fallimento di una generazione, di uno Stato, di un’epoca. E fa doppiamente arrabbiare quando, invece, esempi positivi ce ne sono, storie in grado di essere ispirazionali, aspirazionali, motivazionali.

Dobbiamo raccontare queste storie, spiegare come ha fatto a raggiungere un piccolo traguardo chi ce l’ha fatta.

Non serve solo la storia eccezionale, sono necessari tanti piccoli racconti di ordinaria quotidianità, di piccole soddisfazioni, di sorrisi ed energia. L’economia italiana si ricostruisce da qui, dagli esempi e dall’imitazione di tanti pionieri, piccoli eroi estremamente normali. Che meritano un palco importante: quello di un evento TEDx, le conferenze col marchio TED organizzate in maniera indipendente in giro per il mondo.

La prossima si tiene martedì 11 febbraio, alle 18.30, in via Pompeo Leoni 3 a Milano. Ho l’onore di organizzarla con l’Istituto Europeo di Design, abbiamo soprattutto l’onore di dedicarla ai nuovi eccezionali lavoratori: TEDxIED avrà come titolo “Giovani. Italiani. Lavorano.” e ospiterà sul palco otto storie legate alla creatività, al made in Italy, all’inseguire sogni realizzabili.

Ci saranno, tra gli altri, Benedetta Bruzziches, che vende borse sulla 5th Avenue ma l’azienda l’ha aperta a Caprarola, nel viterbese, Alessandro Bulgarini, che ha disegnato l’ultima macchina da caffè Lavazza, Matteo Sarzana, che ha scalato il mondo del digital in Italia diventando general manager all’interno del gruppo Young and Rubicam, Sandro Gonnella, che ha aperto un’azienda di occhiali sartoriali nel centro Italia.

Accanto a loro sul palco anche otto esperti di lavoro, capaci di offrire prospettive, visione, strumenti di cambiamento, tra cui i professori universitari Tito Boeri, Alessandro Rosina e Michele Tiraboschi, l’autrice del primo libro italiano sulla sharing economy Marta Mainieri e l’esperto di nuove professioni Giulio Xhaet. L’evento, attualmente tutto esaurito ma per il quale ci si può mettere in lista d’attesa, sarà trasmesso in streaming su La Repubblica ed è un altro pezzo di strada utile a mettere al centro della scena sociale, culturale e politica italiana il lavoro.

Il lavoro che c’è, che si può realizzare, che si basa su innovazione e creatività, il lavoro che può rilanciare il Paese.

Da solo, ovviamente, un evento non serve a nulla, ed è da questa riflessione che muove questo pezzo: dobbiamo essere di più. Dobbiamo impegnarci, linkarci, collegarci, raccontare: il jobtelling deve diventare lo sport nazionale, ma non accadrà se non spingendolo dal basso, unendo piccole forze che insieme possono diventare grandi. Non sarà né Canale 5 né Rai Uno (ah, il servizio pubblico…) a mettere in prima serata questa nuova Italia che si muove, fin quando il nostro movimento non sarà così forte da provocare un vero terremoto. Chi si unisce?

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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