3 ragioni per cui l’ologramma è davvero il nostro futuro

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In questo primo scorcio di 2016 registriamo un debutto: l’ologramma. Parola finora appannaggio di scienza e tecnologia, tanto da non sorprendere nessuno se non la si trova tra le mille parole più usate dell’italiano. Il senso comune attribuisce a questo termine il significato di qualcosa di molto simile ad un oggetto, ma in realtà impalpabile e immateriale. Ma cos’è davvero un ologramma? La parola ologramma si è fatta sentire per sedici volte nel testo pubblicato del discorso di fine anno (circa tre minuti in tutto) di Beppe Grillo. Termine poi ripreso qualche giorno dopo in un’intervista di Paolo Becchi, in polemica col Movimento Cinque Stelle.

Ben prima di essere preso in prestito dal dibattito politico, l’ologramma ha raggiunto un’ampia notorietà tra i fisici e un’ancor più vasta diffusione tra il grande pubblico.

Basti pensare che nel 1971 Dennis Gabor, scienziato ungherese, ha vinto il premio Nobel per la fisica proprio per l’invenzione dell’olografia, tecnica tutt’oggi al centro di ricerche d’avanguardia. E che quasi tutti noi di ologrammi ne abbiamo normalmente in tasca qualcuno.

Come la fotografia, l’olografia è una tecnica di registrazione e riproduzione di immagini, ma con un’importantissima differenza: l’olografia produce immagini molto fedeli dell’oggetto e soprattutto tridimensionali (gli ologrammi appunto) che possono essere viste senza alcun tipo di occhiali speciali. Ciò avviene grazie a una speciale tecnica messa a punto verso la fine degli anni ’40 da Dennis Gabor, ma ci volle l’avvento dei laser negli anni ‘60 per renderla praticabile. Per produrre un ologramma occorre infatti illuminare l’oggetto con luce laser.

Registrando insieme sulla lastra olografica la luce riflessa dall’oggetto e quella con la quale lo abbiamo illuminato si riesce a memorizzare una serie di informazioni che consentono a posteriori di “far rivivere” l’oggetto stesso (con tutte le sue proprietà tridimensionali) quando la lastra venga opportunamente illuminata.

Gli ologrammi più raffinati e accurati (quelli che riescono a riprodurre ogni dettaglio tridimensionale di un oggetto) richiedono il laser non solo per essere prodotti, ma anche per essere osservati.

Ologrammi più semplici possono però essere visti anche con luce normale. Un esempio? L’ologramma che abbiamo in tasca, quello che troviamo sulle banconote.

1. LE BANCONOTE

Prendiamo una delle nuove banconote da venti euro: c’è una striscia argentata sulla destra, con quattro riquadri. Se la osserviamo e facciamo leggermente ruotare la banconota vedremo che appariranno ad esempio – nel secondo riquadro dall’alto – la testa della dea greca Europa e il numero 20, a seconda del punto di vista.

Un po’ come tenessimo un oggetto tridimensionale come la nostra mano di taglio di fronte a noi: facendola ruotare di poco osserviamo o il palmo o il dorso. L’ologramma sulla banconota fa esattamente questo effetto: arricchisce di un effetto tridimensionale un foglio a due dimensioni come la banconota.

Gli ologrammi sulle banconote sono lì per rendere più difficile la vita ai falsari, perché riprodurli è davvero molto difficile. Ne troviamo, per lo stesso motivo, anche sulle carte di credito, sui passaporti e spesso sulle confezioni che contengono i CD o DVD di un software originale. E anche per spendere i 20 euro al supermercato incontriamo ologrammi, come le lenti olografiche che sono montate sui lettori di codici a barre delle casse.

2. LA MEMORIZZAZIONE DEI DATI

Oltre però a questi usi “quotidiani”, l’olografia ha molte alte applicazioni che potremmo definire di alta gamma e che potrebbero rivoluzionare molta della tecnologia che ci circonda. A cominciare ad esempio dai sistemi per la memorizzazione dei dati – come gli hard disk – che oggi si basano su tecnologie magnetiche o di ottica tradizionale e che devono stare al passo con l’esponenziale crescita della produzione di dati informatici e nelle moderne tecnologie di consumo, ma che un domani usando tecniche olografiche potrebbero veder enormemente aumentata la loro capacità.

3. LA CHIRURGIA

La medicina poi sta iniziando ad usare l’olografia per riprodurre immagini dettagliate degli organi interni. Una tecnica ancora agli albori, ma che – quando funzionerà – potrà rivoluzionare ad esempio la chirurgia – con il medico che “in diretta” potrà osservare nei dettagli un’immagine completa a tre dimensioni del cuore del paziente che sta operando. L’olografia ci accompagnerà poi anche in auto, permettendo di sviluppare sistemi di ausilio alla guida che proiettino sul parabrezza strumentazione come tachimetro o contagiri, ma anche direttamente le informazioni del navigatore GPS, così da poter utilizzare questi strumenti senza dover distogliere gli occhi dalla strada – una tecnica già in uso sui caschi dei piloti degli aerei militari e ora in forte sviluppo per i sistemi di visione a realtà aumentata, come i vari tipi di occhiali che stanno uscendo sul mercato proprio in questi mesi.

4. ATTRAVERSO LE FIAMME

E grazie alla ricerca italiana – in questo caso quella sviluppata presso l’Istituto Nazionale di Ottica del CNR di Firenze – un domani l’olografia potrà aiutare i vigili del fuoco a vedere anche attraverso le fiamme dove si trovano le persone da salvare o i medici ad analizzare cellule tumorali senza danneggiare i tessuti.

Ologrammi per tutti i gusti e tutte le tasche, quindi, e anche molto utili. Lasciamo alla dialettica politica ogni valutazione sull’uso figurato del termine. Quanto al suo significato tecnologico, certo è che nel nostro futuro, di ologrammi, ne vedremo e useremo sempre di più.

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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Scritto da chef

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