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5 consigli da 5 artigiani innovatori legando tradizione e innovazione

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Dal cuore dell’Italia dritti al cuore del fare impresa artigiana. Pulsa di passione, competenza, entusiasmo il battito di decine di #ArtigianiInnovatori. Tutti si sono dati appuntamento per un’iniziativa particolare: un pic-nic nello splendido paese di Trevi, ottomila anime abbarbicate in un colle sovrastato da due monti dell’appennino umbro-marchigiano, a pochi chilometri da Perugia. Qui la comunità è dedita allo stare insieme, al mangiare bene e al valorizzare uno dei prodotti più importanti del territorio: l’oro giallo, ovvero quell’ottimo olio extravergine di oliva che tutto il mondo ci invidia.

L’appuntamento per tutti gli artigiani innovatori è al teatro Clitunno, una bomboniera che prende il nome da uno dei corsi d’acqua che bagna Trevi. La legenda vuole che alle acque del Clitunno siano attribuite proprietà miracolose, tanto da essere celebrato in epoca romana da tanti e diversi poeti, dai classici latini fino al Byron e al Carducci.

Di miracoloso, per me che ho l’orgoglio di moderare questo dibattito, è vedere in questo teatro tutti insieme tanti artigiani innovatori. E allora pensi che la risposta alla crisi ce l’hai davvero a portata di mano, o meglio tra le mani di questi artisti. Perché in fondo sono questo: artisti. E di ambiti molto differenti. A Trevi trovi l’impagliatore di sedia, il sarto degli occhiali, la serigrafa, l’orafa. Che storie, che mestieri unici, che persone straordinarie!

“Siamo in crisi ma siamo anche ricchi, e tanto ricchi”. La ricetta degli artigiani innovatori parte da questa consapevolezza, ripetuta nel corso di una lunga mattinata di lavori: l’unicità dei prodotti accanto alla cura maniacale del dettaglio è un valore aggiunto che altri non hanno. Ma occorre fare un salto, aggiungere un elemento di innovazione.

Non basta saper lavorare con passione e competenza. Occorre raccontare il proprio lavoro, portarlo fuori dai confini del proprio territorio che si ama e che si vive, farlo conoscere, incrementare così il passaparola e le vendite.

Ecco allora che tra dire e fare c’è di mezzo il navigare: la rete come potenziale che non può più essere messo tra virgolette, collocato tra le definizioni degli smanettoni. Se gli artigiani vogliono essere innovatori devono saper leggere le lenti del tempo, mantenere intatta la tradizione ma votarsi all’innovazione. Qualche mese fa una ricerca del Craft Council ha messo nero su bianco come questo ‘upgrade’ digitale sia fondamentale. Lo studio ha fotografato questi nuovi professionisti a metà strada tra lavoratori manuali e comunicatori digitali.

Così si scopre che i social network permettono di vendere di più: tra post e tweet i nuovi artigiani incrementano il business. Le opportunità non arrivano soltanto dalle piattaforme di e-commerce. Per il Craft Council Facebook, Twitter e Pinterest permettono di raccontarsi in modo innovativo. Fare l’artigiano e vendere i propri prodotti o le proprie opere sono spesso due mestieri diversi, ma andando online si possono individuare molte opportunità.

Torniamo a Trevi, e alle storie degli artigiani innovatori. Tante, tutte da scoprire, sfogliare, emulare. I loro racconti sono online, perché #ArtigianiInnovatori è stato trasmesso in rete grazie a Google+. Tra le tante eccellenze raccontate, in questo post vi segnalo cinque storie con cinque consigli dagli artigiani.

Sandro: «Puntare sul fare rete, tra artigiani e professionisti»

Insieme si può fare: si può innovare e si può alzare l’asticella dell’eccellenza. Sandro Gonnella – il cosiddetto sarto degli occhiali, più conosciuto all’estero che in Italia, oggi presente sui mercati inglesi e cinesi – ci ha visto lungo e ha deciso di mettersi in proprio e tornare nella sua Perugia. «Mi definisco un artigiano tecnologico: oggi le macchine al controllo numerico unite ad un design curato possono regalare prodotti unici», racconta Sandro, che nel 2006 ha fondato Ozona, brand di montature sartoriali per occhiali.

Il suo laboratorio è nel centro storico della sua città, ma anche online su Ozonaocchiali.com. «Utilizzo i social network per raccontare il mio brand, il prodotto, la filosofia. E poi ricevo il feedback dai clienti, molti provenienti dall’estero». La forza di Sandro è che ha saputo mettersi in rete con artigiani geograficamente collocati anche vicino alla sua bottega. Così è nata Articity, associazione che rappresenta una dozzina di artigiani del centro storico perugino. «E’ nel nostro dovere e potere portare avanti una politica di innovazione. A Perugia abbiamo creato un network e solo insieme ci si può contaminare e migliorarsi a vicenda».

Luca: «Innovare ancorandosi alle tradizioni»

Innovare la propria impresa puntando sul design, ma ancorandosi alle tradizioni. E’ questo il messaggio di Luca Peppoloni. «Da un sasso del torrente Ionia, e quindi anche da uno scarto di lavorazione, può nascere un’opera d’arte», dice Luca, diplomato in telecomunicazioni e che ha abbandonato l’impresa dove lavorava come dipendente per tornare nella sua terra. «L’ho riscoperta mano a mano con il confronto con la mia famiglia e con i turisti che ci vengono a visitare».

Figlio d’ arte, ha rilevato e trasformato l’azienda di famiglia inserendo nella riscoperta delle tecniche tradizionali, una personale ricerca artistica nella materia usata. Infatti Luca è la terza generazione di una famiglia di fabbri. Ha ripreso quasi per gioco la produzione di letti in ferro, scegliendo linee e forme moderne ed essenziali e ha aperto l’officina di Luca Peppoloni, «La mia famiglia mi ha insegnato moltissimo perché io continuo lavorare con gli attrezzi di mio nonno. Faccio ferro battuto e ho avuto l’opportunità di innovare grazie al design: pulendo il più possibile l’oggetto sono riuscito a mantenere tradizione e innovazione».

Micaela: «Trasformare la propria arte in prodotto, preservandone l’unicità»

Una ciabatta che diventa un’opera artigiana. Se poi la ciabatta si chiama Freud ed è un prodotto unico, l’opera artigiana diventa un’opera d’arte.

Ecco una cartoleria molto sui generis, quella di Micaela Mariani e Francesca De Mai: insieme ad altri collaboratori hanno aperto Semiserie & Sons, uno studio di design e comunicazione visiva che unisce l’esperienza del laboratorio tipografico semiserie di stampa artigianale a grafici, illustratori e fotografi. Perché ciò che si vede non è mai quello che appare. «Ci siamo dedicate alla carta e all’immagine. Venendo entrambe dal mondo dell’arte abbiamo cercato una strada per rimanere nella nostra individualità di artiste e trasformare il lavoro in un prodotto», così Micaela.

La loro impresa di fatto ha recuperato vecchi macchinari tipografici: «Abbiamo recuperato una macchina degli anni ‘40, per intenderci quella storica con cui Totò stampava banconote false. Abbiamo recuperato caratteri mobili, un trapano per la carta, una taglierina e abbiamo cominciato a realizzare delle autoproduzioni». Per Micaela la vendita online è fondamentale, ma l’inconveniente è che la foto parla solo in parte. «Spesso i nostri sono oggetti che devi toccare, manipolare».

Francesca: «Puntare sia su temporary shop che su vetrine virtuali»

«Ho iniziato il percorso di artigiana nel periodo universitario, e non ho più abbandonato questa passione», racconta Francesca Greco, quarantenne di Foligno.

Francesca si dedica al legno dipinto, e nel suo passato ha un percorso di grafica e illustrazione. «La mia manualità è espressa attraverso il disegno». Pezzi unici che vengono realizzati con le sue mani e con la sua esperienza quotidiana. Il problema, ammette Francesca, è conciliare unicità con una distribuzione capillare. «Io per esempio sto provando a farlo in due modi antitetici: vado sul territorio aprendo dei temporary shop, ovvero botteghe stagionali dove lavoro anche per poche settimane e nelle quali trovo un pubblico più ampio. E poi vado in rete, con il tentativo di mostrare immagini attraverso Flickr. Per me che ho difficoltà ad essere tecnologicamente avanzata questo social fotografico è molto utile».

Melina: «Puntare sulla seconda vita di un elemento»

La storia professionale di Melina scorre tra l’Umbria e la Sicilia, con contaminazioni africane. E’ una storia d’amore per la manualità. «La manualità è una specie di virus che coinvolge tanti artigiani. E’ qualcosa di meraviglioso che ti porta a manipolare la materia», racconta Melina.

La bottega artigianale di Melina Condurso è tra la sartoria e il bijoux. «Mi piace contaminare anche con elementi non preziosi. Anche un elemento inserito in una lavorazione particolare può diventare significativo, perché è il lavoro che lo impreziosisce». Melina parla di una seconda vita del prodotto e la sua attività è incentrata sul recupero degli scarti di lavorazione. «Trovo doveroso pensare alla seconda vita del prodotto, per un creativo queste elementi offrono degli spunti imprevedibili e sensazionali».

Per Melina il mercato del lavoro in generale avrebbe bisogno di politiche del lavoro differenti. «Probabilmente la classe politica potrebbe incentivare la creazione di contatti con il mondo digitale. Insomma bisognerebbe interconnettere queste realtà».

Bologna, 13 maggio 2014GIAMPAOLO COLLETTI

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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