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5 cose da dire a Timperi se domandasse anche a te “la tecnologia rende stupidi?”

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In questi giorni i social network mi riempivano di link a un video di Uno Mattina in Famiglia (Rai1): una discussione con il conduttore Tiberio Timperi su alcuni temi classici della tipologia digitale sì / digitale no.Un contraddittorio quasi equilibrato in cui, però, i ritmi e le esigenze televisive non hanno dato spazio ad approfondimento e contestualizzazione. Ho scritto un po’ di commenti qui e là e diversi mi hanno esortato a raccoglierli, per poterci tornare con calma, senza l’incalzare dei tempi televisivi.

Il conduttore tv Tiberio Timperi. Foto: pianetadonna.it

Occupandomi, da anni, con SpinVector, di sfumare il confine tra materiale e digitale, tra “tangibile” e “virtuale”, trovo certe diatribe sempre un po’ curiose.Spesso, addirittura, si contrappone “reale” a “virtuale”, come se il virtuale fosse irreale.

Oggi il virtuale è intangibile, OK, ma non per questo è irreale. Un’esperienza virtuale, ad esempio una partita online a un videogioco multiplayer, è reale come una telefonata, ma più interattiva e coinvolgente. Più tempo passa, più i due reami si confondono: sempre più oggetti acquistano un’identità digitale, un’interattività virtuale più o meno legata con le azioni tangibili. Più tempo passa, più materiale e digitale si fondono e si confondono: sono complementari, non antitetici. Sta già succedendo.

Facciamoci pace: studiamo i processi, governiamoli con saggezza.

Perciò, se Tiberio Timperi (o altri) vi dovessero domandare se la tecnologia rende stupidi, potrete rispondere per le rime.

QUESITO 1: “Ma possibile che fai sempre tutto col cellulare?”

Credits: coffeeamp.com

L’esempio fatto (un classico di mia madre, peraltro) è che oggi affidiamo la nostra memoria ai cellulari e non la esercitiamo più.Vero.

Ma che c’entra questo, con l’Intelligenza? La memoria (lo sapeva anche Dante: Paradiso, Canto V) non è sinonimo d’intelligenza.

Ci vuole intelligenza anche per imparare a usare uno strumento nuovo.

Forse, anzi, la si esercita di più apprendendo continuamente processi nuovi che memorizzando numeri di telefono o terzine di endecasillabi per tutta la vita.

Un altro esempio è che abbiamo tante foto, le archiviamo e crediamo di affidare a un hard disk i nostri ricordi, ma poi non le riguardiamo più: sono troppe. Una volta lo scatto era costoso e prezioso.Vero. Ma ormai le foto non si usano più nello stesso modo. Non sono più il ricordo di un momento raro che conserveremo per tutta la vita, ma un modo estemporaneo di comunicare per immagini.

Facciamo foto alla colazione: onestamente, mi va bene così – non voglio ricordare per tutta la vita le foto della colazione di tutti i miei contatti Facebook. Viva l’oblio digitale, se serve a questo.Le foto a cui veramente teniamo le ordiniamo, le pubblichiamo, le “tagghiamo” (mi perdoni Annamaria Testa, ma “etichettare” non lo digerisco in questo contesto).

Conclusione: la tecnologia sta cambiando l’uso che facciamo della nostra intelligenza.

QUESITO 2: “Stai sempre lì ad armeggiare con quello smartphone…” Ovvero, i dispositivi digitali creano dipendenza?

Credits: www.socialanxietysupport.com

Giustamente l’esperta presente in trasmissione spiega (ricordando McLuhan) che gli smartphone sono estensioni di noi stessi e quindi su di essi si estendono comportamenti tipici delle persone, inclusa la dipendenza compulsiva (a volte ossessiva, in verità). Fortunatamente, aggiunge poco dopo che le dipendenze non sono causate dai dispositivi digitali, bensì da disturbi o disagi che attraverso le dipendenze si manifestano o trovano una valvola di sfogo. Parole sante!

Tra le tante dipendenze in cui vediamo sfociare questi problemi, forse quella da tecnologia è una delle meno dannose, ma è importante sottolineare, ancora una volta, che non si può confondere la causa con l’effetto: è giusto cercare di liberare una persona da una dipendenza, specialmente se pericolosa (e non credo sia questo il tema, in ambito social e digitale), ma se tale dipendenza c’è, sono le cause a dover essere eliminate, per una soluzione duratura.

E le cause sono spesso sociali. No, non dei social network, dei rapporti interpersonali cosiddetti “reali”.

Conclusione: problemi sociali spesso sfociano in dipendenze. Ce ne sono di più o meno gravi e dannose, incluse quelle da strumenti digitali.

QUESITO 3: “Ma perchè cerchi sempre dove mangiare su Tripadvisor?”

Credits: skyft.com

Capita di cercare un buon ristorante su un’App e rimanere delusi. Mi è capitato quando non sapevo giostrarmi bene in rete, e usavo questi servizi superficialmente. OK.

Ma prima di Internet, quando si andava a caso, si beccavano sempre ottimi ristoranti?

Credo di no. Quindi, cosa stiamo affermando? Che Internet non risolve tutti i problemi dell’umanità? Ma dai?

Conclusione: Internet, se non sai come usarla, può non essere molto migliore dell’andare a caso.

QUESITO 4: “Wikipedia?! Ma non è meglio la Treccani?” Ovvero, il problema dell’autorevolezza delle fonti.

Treccani è un’azienda che ha saputo innovarsi, che ha quasi un milione di utenti tra le varie app e che si sta muovendo sempre meglio nel digitale. Comunque, la domanda apre una questione fondamentale: Internet usata male è pericolosa.

Internet non è la Treccani: non tutto ciò che è su Internet è giusto, vero, corretto. Per questo ha i suoi “anticorpi” (ad esempio il sistema di revisioni di Wikipedia).

Serve, specialmente verso chi è meno smaliziato, un’azione culturale per spiegare come funziona Internet (e su di essa i vari servizi, come Wikipedia). Di fatto, usare Internet come se fosse un’enciclopedia è sbagliato. Il problema, ovviamente, non è di Internet, ma culturale.

Conclusione: Internet, se non sai come usarla, può non essere molto migliore dell’andare a caso.

QUESITO 5: “Non è che sotto sotto sei malato di videogiochi e social network?” Ovvero, il problema dell’alienazione dalla realtà.

Credits: Huffington Post

Sebbene, guardando un videogiocatore dall’esterno, la sua attività possa sembrare ripetitiva e alienante, è necessario comprendere cosa stia realmente succedendo per valutarlo correttamente.Immaginiamo un osservatore che non conosca la scrittura e veda un lettore immerso in un romanzo; potrebbe descriverlo come un alienato intento a fissare dei fogli bianchi tutti uguali, pieni di insensate macchie scure. Ma le macchie sono lettere, parole, frasi e i libri contengono interi mondi, filosofie, vite che possono essere affascinanti o terribili, profonde o sconcertanti, divertenti o commoventi.Lo stesso discorso vale per i videogiochi: dall’esterno il videogiocatore può sembrare impegnato a premere pulsanti come un forsennato, ma probabilmente sta vivendo un’avventura coinvolgente, emozionante, stimolante.

Per capirlo, bisogna saper “leggere”… o, in questo caso, iniziare a giocare.

Oppure ancora. Due persone alla fermata dell’autobus stanno assorte ognuna sul suo telefonino, non parlano, non si incontrano. Sono nello stesso posto, ma sono sole. OK, OK… ricordate quando non c’erano i telefonini? Ricordate quante amicizie con sconosciuti stringevamo alla fermata dell’autobus? Nemmeno io.

L’idea che i videogiochi online neghino il contatto umano mi pare miope. Si tratta semplicemente di un contatto umano diverso. Le interazioni attraverso le comunità digitali hanno il limite della mancanza di contatto fisico (e, in molti casi, visivo), ma hanno anche il vantaggio enorme della selezione: invece di poter giocare solo con chi capita al bar (che può essere un simpaticone sorridente, ma anche un bullo insopportabile, che magari poi mi picchia se perde), posso filtrare e selezionare i miei contatti (es. bloccare completamente una persona fastidiosa) e, soprattutto, entrare in contatto con individui e culture che mai avrei potuto conoscere in altro modo. Nulla, poi, vieta di incontrare queste persone dal vivo: i co-fondatori della SpinVector li ho conosciuti online, così come pure la mia compagna (no, non attraverso un sito di incontri). Non è un’opportunità fantastica, democratica, orizzontale?

Quando voglio giocare a calcio balilla, beh, ne ho uno nel seminterrato, e ci sono amici pronti a venirmi a trovare.

Conclusione: le persone manifestano la loro socialità in modi nuovi, avendo a disposizione nuovi modi di entrare in contatto. È successo già con la posta, il telefono, l’automobile, ecc. ecc.

POSTILLA: Il potere del divertimento

I Simpsons. Credits: whatculture.com

Voglio spendere un ultimo pensiero sui videogiochi: vale la pena ripetere ancora una volta che il videogiocatore medio, in Italia, ha 30 anni. Basta con questa storia di associare i videogiochi ai bambini: sono come i film, i libri, i cartoni animati… ci sono videogiochi per bambini (un bel po’) e videogiochi per adulti (molti di più), facciamo pace con questa realtà? Se ci riusciamo, potremo riconoscere l’enorme potenzialità, positiva, utile e sostenibile che questo insieme di dominio visivo, interattività e feedback ha per la nostra società.

Buon divertimento.

GIOVANNI CATURANO*

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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