5 cose da fare subito per non avere più la rete più lenta d’Europa

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Come promesso tre mesi fa nell’accordo di partenariato tra l’Italia e la Commissione Europea, la strategia per la banda ultralarga in consultazione pubblica dal 20 novembre al 20 dicembre scorso dovrà presto essere inviata formalmente in Europa assieme alla strategia per la crescita digitale, quella sui servizi per intenderci.

Fonte: Webnews.it

Il passaggio a Bruxelles serve a dimostrare che l’Italia ha una strategia credibile sulla banda ultralarga e che quindi può spendere i fondi comunitari 2014-2020 per quella che è una delle sfide più importanti per superare lo scarto di produttività che costringe il nostro Paese alla crisi. Senza questa strategia il 50% della popolazione italiana, che però risiede in 7600 Comuni, rischierebbe di essere devastato da fenomeni migratori di massa paragonabili a quelli che stanno vivendo le campagne della Romania e Bulgaria.

Abbiamo la rete più lenta d’Europa e un sistema che – da più parti – ne mina lo sviluppo

Una materia complessa che necessita di un Piano che, su più fronti, crei le condizioni per raggiungere i target europei, considerando il fatto che contribuiscono a ritardare il ritorno degli investimenti dei piani infrastrutturali da parte degli operatori TLC:

  • La scarsa domanda da parte dei cittadini e imprese
  • La spietata guerra sui prezzi tra gli operatori TLC che obbliga a trascurare la qualità del servizio
  • Complicati e onerosi meccanismi amministrativi da parte di una pluralità di enti
  • Una regolamentazione che tuteli il rischio di investimento e permetta un più avanzato sviluppo della rete.

Il rischio è un eccesso di garantismo che porti tutto il Paese nel giro di pochi anni a un drammatico digital divide di seconda generazione.

L’Italia non può perdere più tempo e deve subito avviare processi che sono lunghi da attuarsi e per i quali benefici non si potranno percepire nell’immediato.

L’Italia oggi deve decidere dove vuole essere fra 5 anni: saremo in o out nel 2020 quando ci saranno 30 miliardi di oggetti connessi a internet? E quando ci saranno 250 milioni veicoli connessi sulle strade? E quando ci saranno 8,4 miliardi di abbonamenti broadband mobili?

Se attendiamo inermi che ci sia un’utenza in grado di apprezzare e sottoscrivere questi servizi, per permettere agli operatori di telecomunicazioni un adeguato ROI, allora non ci sarà futuro per le nostre aziende e per i nostri giovani. La strategia del Governo ha saputo guardare oltre agli interessi di mercato e oltre alle scelte di mercato ed è lo strumento che abbiamo per non rassegnarci al fatto che gran parte dei territori non saranno coperti fino a quando non ci sarà mercato.

Non perdiamo tempo, quindi per:

  1. Ultimare la riscrittura della strategia contemplando i 350 preziosi contributi pervenuti e portarla all’approvazione del Consiglio dei Ministri. Dovranno essere rivisti i clusters e gli obiettivi che più verosimilmente vedranno al centro nord ca. metà della popolazione coperta dal servizio a 30 mbps e metà della popolazione raggiunta da servizi oltre i 100 Mbps. Mentre al Sud il Piano di intervento prevedrà un maggior impiego di risorse pubbliche per costruire infrastrutture pubbliche abilitanti servizi oltre i 100 Mbps, considerate un volano per lo sviluppo dei territori più disagiati.
  2. Definita la strategia si dovrà notificare alla Commissione Europea il regime d’aiuto, ovvero quel processo che sancisce che l’impiego dei fondi comunitari sia coerente con gli orientamenti dell’Unione europea per l’applicazione delle norme in materia di aiuti di Stato in relazione allo sviluppo rapido di reti a banda larga. Questo documento individuerà per ogni area di intervento (su base sub-comunale) il relativo strumento pubblico impiegato (es. la gara per la defiscalizzazione per le prime 500 città, gara incentivo e soprattutto modello diretto per i restanti 7600 Comuni, Contributo all’attivazione per tutti in base allo scenario che si creerà dopo aver completato la realizzazione dell’infrastruttura passiva). La definizione dei cluster terrà in considerazione, come già fatto, le specificità socioeconomiche (reddito pro-capite, presenza di imprese, di PA, scolarizzazione, ecc.). Tali variabili– come al punto precedente, rifletteranno per esempio nel Mezzogiorno investimenti pubblici diretti più consistenti.
  3. Anche l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni potrà avviare un tavolo di confronto per definire un quadro regolatorio straordinario e coerente con gli ambiziosi obiettivi strategici, garantendo certezza delle regole per tutto il periodo di vigenza degli obblighi derivanti dall’attribuzione delle risorse pubbliche. Un quadro che tuteli il rischio di investimento e che valuti le diversità territoriali.
  4. Istituire il polo di aggregazione dei fondi (per utilizzo dei fondi pubblici) che funga anche da fondo di garanzia (per 500 milioni € annui) e che permetta di superare il vincolo del patto di stabilità e quindi di spendere anche risorse nazionali 2007/13 non spese.
  5. Stanziare circa un miliardo di euro nazionali per attuare il Piano anche nel Centro Nord del Paese soprattutto nelle aree marginali, rurali e interne, anticipando lo stanziamento già previsto nel 2017 a valere sul Fondo Sviluppo e Coesione.

Insomma, il lavoro da fare è tanto e non possiamo permetterci ritardi, perché questi comprometterebbero tra l’altro anche le altre strategie del Governo che fanno affidamento a una rete di comunicazione di qualità per erogare i servizi al pubblico, vedi il Piano operativo METRO, Governance o la stessa strategia per la crescita digitale.

ROSSELLA LEHNUS

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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