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5 modi per evitare l’effetto “wasted food” negli open data

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Quando si parla di open data, è innanzitutto doveroso chiarire che si tratta di un paradigma e non di una tecnologia e che, tale modello, può essere applicato a qualsiasi soggetto, non solo alla pubblica amministrazione. Il concetto è molto semplice: si parla di dati aperti quando a chiunque è permesso di usarli, riutilizzarli, e distribuirli.

Per fare questo occorre la presenza di determinate caratteristiche. Semplificando si tratta di due dimensioni ben precise: il piano giuridico e quello tecnologico.

In ambito giuridico devono essere imposte restrizioni molto deboli (come, ad esempio, l’obbligo di citare la fonte); in quello tecnologico, invece, devono sussistere vincoli di neutralità come i concetti di interoperabilità e di formato aperto.

Questi due aspetti sembrano essere due ostacoli insormontabili che, molto spesso, aprono lunghi dibattiti e sovente rischiano di rallentare il processo di “apertura dei dati” o di aumentare la complessità.

C’è però una dimensione che viene spesso trascurata che è quella della comunicazione che non è solo rivolta verso a chi potenzialmente può “consumare” i dati, ma, molto di più verso chi li produce.

Su quest’ultimo aspetto è molto efficace l’esempio di Brigitte Lutz – responsabile dell’ufficio di E-Government della città di Vienna – dove usa la metafora della noce per mostrare quali sono le barriere che i vari uffici della PA usano per evitare l’apertura dei dati.Ma è proprio sulla comunicazione su cui si apre la vera sfida degli open data.

I dati non sono un concetto facile ma sono alla base della gerarchia della conoscenza.

Una metafora che uso per spiegarlo è quello del processo con cui una torta viene realizzata e consumata: servono gli ingredienti (i dati), da cui, a loro volta si ottiene la base della torta, che a sua volta viene farcita e, infine consumata.Questi quattro piccoli passaggi sono semplici e intuibili per capire quale è l’importanza dei dati e le dimensioni del gruppo di persone in grado di portare avanti ogni singolo processo.

Prendendo gli estremi non vi è ombra di dubbio che il consumare una torta è una attività di gran lunga più accessibile che la capacità di capire i dati e ricavarne da questi un primo prodotto.

Questo evidenzia quanto maneggiare i dati resti purtroppo ancora un’attività elitaria.

Non soltanto, l’aumento della complessità sia sul piano giuridico che su quello tecnologico, non aiuta certamente a renderla più semplice.

L’attività di rilascio dei dati pertanto va accompagnata da una strategia di comunicazione, altrimenti si corre il rischio di creare una sorta di “wasted (food) data”, ovvero materiale inutilizzato (nel senso di non consumabile).

In tal senso, un esempio bellissimo è quello di Chris Taggart – fondatore dell’azienda OpenCorporates – dove, nella presentazione How The Open Data Community Died – A Warning From The Future fatta a Varsavia in occasione dell’Open Government Data Camp 2011, esordisce con una fotografia di un gruppo di ragazzi che festeggiano all’urlo di “Open Data!!!!!! YEAH!!!!!!” su un prato ma, che in quella successiva, dopo il party, lasciano una triste realtà di sporcizia, facendo capire che il tutto si è concluso con la festa

La presentazione prosegue con una serie di suggerimenti, il cui tema comune è quello di creare una cultura del dato che sfoci, poi, anche nella possibilità di creare nuovi scenari di mercato sulla base dei dati aperti.

Un ulteriore ottimo esempio sulla necessità di creare interessi intorno ai dati viene dall’articolo del ricercatore Tim Davies, che, sulla falsa riga del modello a 5 stelle di Tim Berners-Lee, presenta a sua volta il modello “The 5 stars of Open Data Engagement“, ovvero 5 stadi attraverso cui elaborare una strategia di coinvolgimento nel rilascio dei dati aperti.Qui un piccolo riassunto:

Essere guidati dalla domandaCome sono strutturate le scelte in merito ai dati che si rilasciano, come e gli strumenti e il supporto di contorno, sono creati sulla base delle esigenze e richieste della comunità?Si ha avuto modo di confrontarsi con le richieste di dati, e di rispondere con i dati aperti?

★ ★Inserire dati nel contestoSono state fornite informazioni chiare per descrivere che i dati, comprese quella sulla frequenza di aggiornamento, i formati e la qualità dei dati?Sono state incluse informazioni assieme ai dati rilasciati, come ad esempio, i dettagli su come sono stati creati, o manuali per sapere come elaborali?[…]

★ ★ ★Supportare conversazioni intorno ai datiÈ permesso commentare i dati rilasciati, o creare una conversazione strutturata in merito in modo da coinvolgere una rete di consumatori di dati?Chi ha rilasciato i dati partecipa alle conversazioni?Sono forniti facili strumenti per contattare chi, all’interno dell’organizzazione, ha creato i dati, in modo da potersi confrontare?[…]

★ ★ ★ ★Creare capacità, le competenze e le retiSono presenti strumenti (o link a questi) in modo che chiunque sia in grado di lavorare con i dati?Sono disponibili guide o strumenti di analisi dei dati aperti, in modo che chiunque sia in grado di migliorare le proprie capacità e le competenze necessarie per irnterpretare e utilizzare i dati nei modo in cui vuole?[…]

★ ★ ★ ★ ★Collaborare su dati come una risorsa comuneSono stati programmati cicli feedback in modo da ottenere miglioramenti ai dati rilasciati?Si è creato un dialogo con la comunità per creare nuove risorse (ad esempio dataset derivati)?[…]

Quello che si evince da questo schema è che la parte giuridica e tecnologica è vista come effetto abilitante, il vero obbiettivo rimane quello di creare comunità intorno ai dati. Non va però dimenticato che il processo attraverso cui i dati si trasformano in conoscenza è simile a quello descritto prima con cui si passa dagli ingredienti di un pan di spagna al momento in cui lo si divora e proprio su questi passaggi che vanno da un gruppo di specialisti fino a chi non lo è affatto. Allo stesso modo lo dovrebbe essere una strategia nel rilascio dei dati, che, in prima battuta, deve creare interesse, in questa azione, fra chi, i dati, li produce, garantendo pertanto qualità. Il passaggio successivo invece verso gli esperti di dominio: un gruppo di persone altamente specializzate, che masticano dati tutti i giorni, che sanno come trattarli, che sanno come vorrebbero averli perché siano più appetibili.Queste due categorie sono sicuramente quelle che possono offrire qualità e tecnologia, ma di lì poi il passaggio deve andare oltre includendo chi ha dimostrato di essere in grado di usare i dati in maniera diversa da quello per cui sono stati creati (= i creatori di innovazione) e, infine, verso gli utenti finali che, forse, di usare i dati proprio non ne hanno passione, ma di capire il significato e il potere di quello che si può fare, non può che aiutare a creare una cultura intorno al dato e, sicuramente, essere da volano per la nascita di nuovi scenari imprenditoriali.L’implementazione di una strategia inclusiva, orientata verso la creazione di comunità più o meno specifiche, vale molto di più che il ragionamento a priori sulle tecnologie da utilizzare. E così si diminuisce il rischio di aprire dati che diventano “wasted food”. Un esempio su cui partire è quello usato dalla città di Vienna, di cui il documento che ne spiega il modello, è stato tradotto di recente in inglese.

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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