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6 consigli per riprendere a crescere grazie alla finanza d’impatto

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Quando banche, finanzieri, fondazioni, Confindustria e cooperative si riunisco è meglio dare un’occhiata più da vicino. Se l’invito è del G8 e arriva sotto il patrocinio della Presidenza del Consiglio deve esserci qualcosa sotto. Non c’è fumo senza arrosto. Questa è la finanza d’impatto, un nuovo corso della finanza che si mette al servizio dello sviluppo sostenibile e della giustizia sociale. Qui si trovano i capitali di cui paesi come l’Italia hanno disperatamente bisogno per rilanciare un nuovo modello di crescita di cui tutti possono godere.

[Su Finanza d’impatto leggi l’approfondimento di Dario Carrera: #ImpactFinance: la finanza che c’è e quella che ci sarà]

E’ fantasia, marketing? No, è l’iniziativa del governo Britannico lanciata all’ultimo G8 di giugno e il motivo per un consesso di cotanto lustro tenutosi a Roma lo scorso 17 dicembre. Sir Ronald Cohen era l’ospite d’onore in qualità di presidente della taskforce creata dal G8 per definire le misure necessarie a sviluppare questo mercato emergente.

Faceva gli onori di casa Giovanna Melandri in quanto presidente dellaUman Foundation e membro italiano della taskforce.

Pressoché sconosciuto nel settore sociale italiano Sir Ronald è una celebrità negli ambienti della finanza internazionale e della politica Britannica. Nato ad Alessandria d’Egitto da una famiglia ebraica rifugiatasi in Europa dopo l’ascesa di Nasser, Sir Ronald ha portato in Europa il venture capital dopo un lungo soggiorno oltre oceano. Negli anni Novanta è stato tra i primi nella City di Londra a dare il proprio sostengo al nuovo partito Labour di Tony Blair con una donazione di 1 milione di sterline e a sviluppare il concetto di finanza per combattere la povertà ideando, per incarico del Tesoro Britannico, la creazione di una banca sociale capitalizzata con i risparmi dimenticati nelle banche – i cosiddetti fondi dormienti.

Il successivo governo di coalizione ha creato nel 2011 Big Society Capital, un fondo di 600 milioni di sterline per stimolare l’offerta della finanza d’impatto nel Paese.

Questi sono fatti, non favole. Sir Ronald è convinto che quello della finanza d’impatto rappresenti una svolta non soltanto per riscattare la finanza, ma soprattutto per attivare nuove sinergie tra settore pubblico, investitori privati, filantropia, imprese e non-profit, trovando soluzioni innovative ai problemi della nostra società.

I numeri sono allettanti. Dal primo studio di settore fatto da JP Morgan nel 2010 si tratta di un mercato del valore potenziale di più di 1 biliardo di dollari una volta che si sommano gli investimenti privati e la filantropia. Soltanto la Gates Foundation ha a disposizione più di 70 miliardi di dollari.

In Italia le fondazioni bancarie hanno una dotazione totale di 42 miliardi di euro. Non sono bruscolini.

Il problema, secondo Sir Ronald, è che la filantropia e il non-profit dipendono da terzi per il proprio approvvigionamento finanziario e troppo spesso disperdono i propri sforzi in una miriade di piccole iniziative faticando a conservare i talenti, generare economie di scala, e creare impatto di sistema. La formula magica è quella di ibridare i settori e le loro capacità cominciando col trasformare il non-profit in imprese sociali capaci di raccogliere sia investimenti privati che donazioni, e guidate da innovatori aperti alla sperimentazione nella sanità, nell’educazione e nei servizi sociali.

Questo non sarebbe un fenomeno completamente nuovo in Italia. Da decenni le cooperative sociali operano in partnership con la pubblica amministrazione per erogare servizi ai cittadini e alle comunità locali. L’elemento nuovo sarebbe quello degliinvestitori privati che potrebbero liberare le imprese sociali dalla dipendenza dei fondi pubblici apportando un mix di risorse finanziarie, intellettuali e tecnologiche.

In Gran Bretagna si è condotta la prima sperimentazione di questo tipo con il Social Impact Bond (SIB). Ideato dalla Young Foundation, Sir Ronald ha convinto il governo a sviluppare il primo SIB collaborando con una charity, fondazioni e investitori privati per abbassare il tasso di recidività degli ex detenuti.

Il progetto pilota è stato un successo soprattutto perché ha dimostrato che questo nuovo strumento finanziario è efficace nel finanziare la prevenzione, punto debole del Welfare State. Ad oggi sono 22 i SIB in fase di avvio e le applicazioni sono state estese alle adozioni, alla cura delle malattie croniche come il diabete, e perfino Bloomberg si è lasciato convincere a seguire l’esempio Britannico, quando era ancora sindaco di New York.

Anche in Italia si sono viste alcune sperimentazioni. Sia UBI che Intesa Sanpaolo hanno lanciato con successo delle obbligazioni sociali. Non sono SIB ma è un primo passo. La Fondazione CARIPLO ha lanciato il fondo Opes per la cooperazione allo sviluppo, la Fondazione UniCredit ha condotto la prima competizione internazionale di innovazione sociale a Napoli, e OltreVenture ha finanziato il primo housing sociale privato in partnership con la Fondazione CRT. Il Consorzio CGM sta sperimentando forme di collaborazione con investitori privati per erogare servizi di sanità leggera e per la produzione di energia da fonti rinnovabili, mentre la Lega delle Cooperative ha lanciato un fondo per le startup.

Quindi qual è differenza tra Italia e Gran Bretagna? Il governo, l’opinione pubblica e gli operatori di settore.

Mentre nel Regno Unito tanto i Labour che i Tory hanno sostenuto l’imprenditorialità sociale e la finanza d’impatto sin dalla fine degli anni Novanta con misure concrete e di sistema, combinando riforme legislative, vantaggi fiscali e investimenti, il governo italiano invece ha fatto soltanto pochi e timidi tentativi senza una visione di cambiamento, ma soltanto di aggiustamento.

Il Ministro Profumo incaricato del dicastero dell’istruzione, della ricerca e dell’innovazione nel governo Monti ha dato l’avvio a l’unica operazione significativa lanciando un gruppo di lavoro sull’innovazione sociale sotto la guida di Mario Calderini, anch’egli membro italiano della taskforce del G8.L’innovazione sociale è rientrata nel programma Smart Cities con una dotazione di 70 miliardi di euro, però il tentativo di sviluppare un programma italiano per la finanza d’impatto si è scontrato con la diffidenza di Banca d’Italia e della CONSOB.

Se gli imprenditori sociali sono degli eroi nel Regno Unito riconosciuti dal Governo, dalla stampa e dall’intera società, in Italia gli stessi passano per dei sognatori che non potrebbero combinare niente di meglio nella vita. L’impresa li esclude perché sociale equivale a costi e donazioni, mentre il terzo settore li mortifica perché non da opportunità per l’iniziativa imprenditoriale dei giovani. Il risultato è che gli imprenditori italiani a vocazione sociale devono emigrare per vedere il proprio talento riconosciuto. Emigrano in paesi dove non si ha paura di sperimentare nuove idee.

Quindi che fare in Italia e come può la taskforce del G8 sulla finanza d’impatto contribuire a invertire la rotta presa dal paese?

1.Scoprire. l’Italia è un paese di sognatori, creativi ed esploratori. Putroppo le classificazioni giuridiche, le categorie dei cattedratici e la valutazione del rischio degli investitori tradizionali non sono in grado di catturare i fermenti che stanno emergendo in tutto il paese. Persino Massimo Banzi ha dovuto cercare investitori all’estero per finanziare Arduino.

Il paese ha bisogno di nuovi metodi per mappare l’innovazione e la creazione di valore sociale. La risposta sta dove meno ce la si aspetta. Le nuove tecnologie possono fornire le piattaforme e gli strumenti, ma la vera risorsa sta nella partecipazione dei cittadini che potrebbero fornire tutti i dati come le sinapsi del sistema nervoso.

Esiste già una sperimentazione di questo tipo all’European Center for Living Technologies dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, e un primo sforzo è stato fatto dall’amministrazione pubblica con opencoesione.it e openpompei.it Questi sono soltanto esempi di un nuovo modo di mappare il tessuto sociale e imprenditoriale emergente e di rafforzarlo allo stesso tempo attraverso la condivisione dei dati, la trasparenza e la partecipazione online. Non possiamo prevedere il futuro e soprattutto le crisi, ma possiamo costruire un tessuto sociale denso, flessibile ed elastico in modo da sopportare ogni urto.

2.Sperimentare. Se il mondo cambia non si può pensare che l’Italia resti la stessa. Se si contrae la crescita economica e aumenta il debito pubblico, la spesa pubblica deve essere tagliata e si devono trovare nuove forme per pagare i costi del modo di vivere che gli Italiani vogliono. Tutti devono partecipare e non si speri di riuscire cambiando soltanto qualcosa. Il Gattopardo è morto. Ecco alcuni spunti.

Tanto per cominciare la pubblica amministrazione avrebbe la possibilità di sperimentare con le forniture di beni e di servizi. Soltanto la sanità costituisce un mercato che vale 180 miliardi di euro all’anno. La competizione aperta a tutte le tipologie di fornitori per massimizzare la diversificazione nell’offerta sarebbe un’ottimo punto d’inizio. Infinite opportunità per partnership pubblico-private sono date dal maggiore capitale del paese: i beni artistici, cultrali e paesaggisti.

Investitori di tutto il mondo farebbero la fila per poter prendere parte a progetti quali il finanziamento del restauro del Colosseo e della Cappella Sistina. Le grandi imprese dovrebbero superare il modo tradizionale di intendere la CSR come donazione del superfluo e integrare la propria responsabilità sociale in tutta la catena produttiva come già fanno Diesel e Eataly. Infine, il terzo settore dovrebbe rinnovarsi nelle sue strutture e nella sua cultura imprenditoriale per assolvere alla propria missione di servizio alla società.

Il punto d’inizio è il superamento della distinzione tra profit e non-profit e la costituzione di una forma d’impresa low-profit sarebbe uno sviluppo auspicabile. L’imprenditorialità sociale e la finanza d’impatto indicano la direzione per il rinnovamento. L’Italia deve trovare la propria strada per perseguirla.

3. Investire: l’Italia ha una ricca tradizione di cooperazione e volontariato. Il paese deve investire per trasformare la tradizione in un’opportunità di sviluppo e di occupazione per il futuro. La nuova programmazione dei fondi strutturali europei (FES e FESR) può essere utilizzata sia per sviluppare le capacità imprenditoriali di persone e organizzazioni, che per la creazione di fondi di finanza d’impatto. Parliamo di più di 300 miliardi di euro che gestiranno soprattutto le Regioni tra il 2014 e il 2020.Ogni città e ogni regione potrebbe creare il proprio fondo per aumentare le risorse a disposizioni del territorio e rispondere alle esigenze locali. La pianificazione fatta dall’ex Ministro Barca già prevede questa disposizione. Ora sta alle Regioni e alle fondazioni bancarie fare il prossimo passo creando gli strumenti finaziari adeguati per investire in modo efficace sul territorio.

La Commissione Europea ha pubblicato le linee guida e ci sono già esempi di successo come il Key Fund in Yorkshire. Ovviamente questa nuova generazione di fondi dovrebbe rispondere a nuovi criteri di trasparenza, partecipazione ed efficacia tanto nella governance quanto nella gestione e nella valutazione. I principi identificati dal Premio Nobel Elinor Ostrom per le istituzioni che gestiscono i beni comuni offrono tutte le indicazioni necessarie.

4. Semplificare: Se il governo non può offrire vantaggi fiscali al momento quantomeno dovrebbe impegnarsi a semplificare le norme sull’impresa sociale, sugli intermediari finanziari e sul crowdfunding. Il governo deve lasciare maggiore spazio per la sperimentazione. Il governo Monti aveva dimostrato di intendere questa indicazione con il decreto sulle startup. Bisogna proseguire su quella strada. Soltanto un regime legislativo chiaro e semplice può attirare investimenti europei e internazionali nel Paese.

5. Promuovere: Serve uno sforzo coordinato per modificare l’immagine che i media danno dell’imprenditorialità sociale e della finanza sociale sgrassandole di quegli elementi caritatevoli, sentimentali, pauperistici che le relegano a un luogo marginale della vita economica per restituirgli il loro potenziale di trasformazione della società. C’è bisogno di una nuova narrazione alla quale contribuiscano tutti i settori della creatività italiana e che veda la partecipazione in massa di operatori e cittadini.Fare rete (online – offline) e sperimentare insieme sono le chiavi del successo. Le Università potrebbero diventare centri di questo nuovo corso se investissero nella creazione di centri dedicati combinando ricerca, formazione e creazione d’impresa. Uno dei giornali o delle televisioni nazionali potrebbe bandire un concorso per premiare i talenti nostrani e informare il grande pubblico.

6. Carpe Diem: Nella seconda metà del prossimo anno l’Italia assumerà il semestre di Presidenza europea e nel 2015 aprirà l’EXPO a Milano. Questa è un’occasione che il Paese non può perdere per rilanciare la propria leadership internazionale e quello della finanza d’impatto potrebbe essere una leva. Prima di tutto l’Italia potrebbe mediare per riconciliare l’agenda del G8 con quella della Commissione Europea. Apparentemente le due istituzioni sono in rotta e Sir Ronald non è stato invitato a intervenire alla prossima conferenza che la Commissione Europea ha organizzato a Strasburgo a metà gennaio.

L’Italia potrebbe inoltre spingere perché la finanza d’impatto sia estesa alle economie emergenti e ai paesi in via di sviluppo collegando EuropeAid all’agenda del G20. L’Unione Europea è il più grande donatore per la cooperazione allo sviluppo al mondo e il G20 riunisce le economie più dinamiche nel mondo. Questo matrimonio s’ha da fare anche perché la finanza d’impatto è già stata inclusa nel programma del G20 che si terrà l’anno prossimo in Australia. L’Italia dovrebbe impegnarsi soprattutto perché tutti i paesi del Mediterraneo rientrino in questo programma. I capitali arabi non mancano. Infineutilizzare l’EXPO come piattaforma di comunicazione capace di raggiungere milioni di persone in tutto il mondo.

Come vedete le opportunità non mancano. Ora basta rimboccarsi le maniche e cominciare a lavorare per portare a casa i risultati. Buon 2014.

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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