Ecco alcune mie prime note sul Messaggio di Papa Francesco per la 48a Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali. Una riflessione più ampia, anche alla luce di altri discorsi del Papa sulla Comunicazione, verrà pubblicata sul prossimo numero de La Civiltà Cattolica. Più in basso si trova il testo completo del Messaggio.
Il messaggio di Papa Francesco per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali ha per titolo “Comunicazione al servizio di un’autentica cultura dell’incontro”. Il testo afferma alcuni punti centrali del modo proprio di Papa Francesco di vivere e comprendere la capacità dell’uomo di comunicare in maniera autentica. Collocandosi in continuità con i messaggi di Benedetto XVI scritti per la medesima occasione, esprime anche una profonda maturazione della consapevolezza della Chiesa sulle questioni che riguardano la comunicazione al tempo delle reti digitali.
Elenco qui 6 punti centrali di questo messaggio
1. Internet esprime la «profezia» di un mondo nuovo
Papa Francesco avvia il suo discorso con una sorta di contemplazione del mondo in cui viviamo. Il mondo sta diventando sempre più piccolo, e noi siamo sempre più vicini gli uni agli altri. I miei amici sui social network, al di là del fatto che vivano in Brasile o in Italia, in India o in Australia, sono sempre alla distanza di un click. Tutti siamo più connessi e interdipendenti. E tuttavia questa comunicazione globale non è sufficiente per superare le divisioni. Anzi: il mondo, oggi unito dalle reti, vive il paradosso di essere diviso.
Ecco: per il Papa la cultura della comunicazione non può convivere con quella dello scarto; queste due culture rimangono antitetiche.
Le reti, che ci uniscono e ci collegano, devono spingerci alla visione di un mondo differente da quello pieno di divisioni, che abbiano davanti. Si tratta di una sorta di appello a che la gift culture, la cultura del dono sia il centro verso cui gli scambi convergono, in una rete nella quale la condivisione delle risorse risulta sempre più facile e spontanea (open source, creative commons…).
La rete, dunque, può contribuire a plasmare una mentalità di condivisione aperta, In un certo senso, dunque, internet esprime la «profezia» di un mondo nuovo, perché può offrire maggiori possibilità di incontro e di solidarietà. Proprio qui entra in gioco la «prossimità»: i media possono aiutarci ad avvertire il senso di solidarietà e il desiderio di lottare per i diritti umani, risvegliandone la nostra consapevolezza, contro la logica dello «scarto».
2. Internet: una rete di persone, non di fili
La rete non è un mero assemblaggio di materiali e strumenti elettrici ed elettronici: «la rete digitale può essere un luogo ricco di umanità, non una rete di fili, ma di persone», scrive il Papa. La rete internet insomma non è affatto come la rete idrica, o di quella del gas. Invece è vero che la nostra vita è già una rete, anche senza i computer, i tablet e gli smartphones. Però queste tecnologie della comunicazione possono potenziare e aiutare a vivere la nostra esperienza di vita come rete; se dunque non fossero in grado di spingerci ad una maggiore accoglienza reciproca, o far maturare la nostra personale umanità e la nostra reciproca comprensione, non risponderebbero alla loro vocazione. Perché, se la comunicazione non ci rende più «prossimi» gli uni altri altri, se non ci fa vivere la vicinanza, allora non risponde alla sua vocazione umana e cristiana.
Papa Francesco scrive chiaramente: «internet può offrire maggiori possibilità di incontro e di solidarietà tra tutti, e questa è una cosa buona, è un dono di Dio». Il Papa sembra leggere nella rete il segno di un dono e di una vocazione dell’umanità ad essere unita, connessa. Rivive, grazie alle nuove tecnologie della comunicazione, «la sfida di scoprire e trasmettere la “mistica” di vivere insieme, di mescolarci, di incontrarci, di prenderci in braccio, di appoggiarci, di partecipare a questa marea un po’ caotica che può trasformarsi in una vera esperienza di fraternità, in una carovana solidale, in un santo pellegrinaggio» (Evangelii Gaudium, 87).
3. Chi è il mio «prossimo» nell’ambiente digitale? Le «reti di prossimità»
Dato che la rete è una rete di persone, tutte le domande su internet e, in generale, sulla comunicazione sono riconducibili all’unica domanda evangelica: «chi è il mio prossimo?» (Lc 10,29). Occorre comprendere bene come il significato stesso di «prossimo» si evolva proprio a causa della rete che abbatte le barriere dello spazio e del tempo. Come si manifesta l’essere prossimo nel nuovo ambiente creato dalle tecnologie digitali? Papa Francesco, parlando ai comunicatori nel 2002, aveva scelto la parabola del buon samaritano, come immagine di riferimento del comunicatore.
Il concetto di comunicazione di cui egli parla fa perno non sul messaggio né, tanto meno, sulle tecniche, ma sulle persone che comunicano. Comunicare, dunque, significa condividere un messaggio all’interno di reti di prossimità; significa coinvolgersi, testimoniare ciò che si comunica, facendosi carico di chi ci sta accanto. Significa toccare l’altra persona, essendo consapevoli del contatto. Significa, in definitiva, prendere consapevolezza del sostanziale significato dell’essere uomini e figli di Dio.
È vero, d’altra parte, che oggi la comunicazione tende alla manipolazione e al consumismo, aggredisce come i banditi che ridussero in fin di vita l’uomo soccorso dal buon samaritano. È la sensazione che spesso proviamo, quando siamo bersagliati da raffiche di immagini seducenti o sconsolanti. Il buon samaritano oggi passa non solamente per le strade di città e villaggi, ma anche per le «“strade” digitali».La rete, dunque, può essere anche intesa come una peculiare «periferia esistenziale», affollata di una umanità che cerca una salvezza o una speranza.
4. Una Chiesa «accidentata», ma dalle porte aperte anche in rete
Dunque, se ci chiedessimo perché, in definitiva, la Chiesa e i cristiani devono essere presenti nell’ambiente digitale, la risposta sarebbe semplice: perché la Chiesa è chiamata ad essere dove sono gli uomini. E oggi gli uomini vivono anche nell’ambiente digitale. La comunità ecclesiale non può dunque sottrarsi a questa nuova chiamata, proprio per la sua vocazione missionaria fondamentale: «Lo ripeto spesso: tra una Chiesa accidentata che esce per strada, e una Chiesa ammalata di autoreferenzialità, non ho dubbi nel preferire la prima. E le strade sono quelle del mondo dove la gente vive, dove è raggiungibile effettivamente e affettivamente. Tra queste strade ci sono anche quelle digitali».
Se il Papa parla spesso di una Chiesa dalle porte aperte, nel suo messaggio per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni, afferma chiaramente che aprire le porte delle chiese, significa anche aprirle nell’ambiente digitale.
5. Per una comunicazione non «di massa» ma «popolare»
Il Papa, proponendo l’immagine del buon samaritano, in realtà, propone una immagine della comunicazione che taglia fuori l’onnipresenza mediatrice del mercato. La comunicazione non è marketing persuasivo, né tantomeno espressione del mercato, ma istanza fondamentale dell’essere umano, che riconosce se stesso nel momento in cui si avvicina agli altri. Essa, per il Papa, tende a coincidere con la prossimità. Per questo, nel suo ambito, occorre «saper discernere e riuscire a smascherare la presenza di interessi politici ed economici».
Come detto in precedenza, uno degli obiettivi della comunicazione mediatica, è al contrario quello di dar voce a chi non ce l’ha, di «rendere visibili volti altrimenti invisibili». Da qui discende una radicale distinzione tra la comunicazione e la cultura di massa e la comunicazione e la cultura popolare che andrebbe maggiormente approfondita. Da qui discende una radicale distinzione tra la comunicazione e la cultura di massa e la comunicazione e la cultura popolare che andrebbe maggiormente approfondita.
6. Dialogo e rapporto tra Ecclesia e Agorà
Il Papa conclude il suo messaggio con un appello: siamo davanti non a problemi dell’informazione ma a una grande e appassionante sfida, che richiede energie fresche e un’immaginazione nuova. «Non abbiate timore di farvi cittadini dell’ambiente digitale», scrive Francesco. Il termine non è nuovo, ma sappiamo bene che il termine «cittadino» ha per lui un significato rilevante. Aveva scritto tempo fa che esserlo significa «convocato ad associarsi in vista del ben comune», al fine di un progetto comune. Le nuove tecnologie digitali hanno dato origine ad un vero e proprio nuovo spazio sociale, i cui legami sono in grado di influire nella società e sulla cultura. Il Papa pone dunque il tema del rapporto tra ecclesia e agorà che va rimodulato di continuo a vari livelli. Quello della comunicazione digitale è un livello oggi molto sensibile. L’obiettivo resta il bene comune.
Il Papa ha molto a cuore il dialogo quotidiano con tutti coloro che ci stanno accanto, il dialogo della condivisione pratica. L’atteggiamento necessario da questo tipo di dialogo è per il Papa «l’essere convinti che l’altro abbia qualcosa di buono da dire, fare spazio al suo punto di vista, alle sue proposte». Tutto ciò che è «idea» personale, opinione, adesione partitica oppure tradizione, linguaggio, modo di fare non può essere considerato un assoluto, scrive Papa Francesco. Aveva già detto Benedetto XVI (discorso alla Curia, 21/12/12) che per dialogare occorre «imparare ad accettare l’altro nel suo essere e pensare in modo diverso». Questa è la premessa per un dialogo autentico.
Gli sforzi di comprensione diventano dunque un processo in cui, mediante l’ascolto dell’altro, ambedue le parti possono trovare purificazione e arricchimento. Anche quando le scelte di fondo non devono essere cambiate – la fede, ad esempio – questi sforzi hanno «il significato di passi comuni verso l’unica verità» (ivi). E’ dunque necessario, scrive Papa Francesco, «sapersi inserire nel dialogo con gli uomini e le donne di oggi, per comprenderne le attese, i dubbi, le speranze».
Ecco il testo completo del Messaggio:
48ª GIORNATA MONDIALE DELLE COMUNICAZIONI SOCIALIComunicazione al servizio di un’autentica cultura dell’incontro
Messaggio del Santo Padre
Cari fratelli e sorelle,
oggi viviamo in un mondo che sta diventando sempre più “piccolo” e dove, quindi, sembrerebbe essere facile farsi prossimi gli uni agli altri. Gli sviluppi dei trasporti e delle tecnologie di comunicazione ci stanno avvicinando, connettendoci sempre di più, e la globalizzazione ci fa interdipendenti. Tuttavia all’interno dell’umanità permangono divisioni, a volte molto marcate. A livello globale vediamo la scandalosa distanza tra il lusso dei più ricchi e la miseria dei più poveri. Spesso basta andare in giro per le strade di una città per vedere il contrasto tra la gente che vive sui marciapiedi e le luci sfavillanti dei negozi. Ci siamo talmente abituati a tutto ciò che non ci colpisce più. Il mondo soffre di molteplici forme di esclusione, emarginazione e povertà; come pure di conflitti in cui si mescolano cause economiche, politiche, ideologiche e, purtroppo, anche religiose.
In questo mondo, i media possono aiutare a farci sentire più prossimi gli uni agli altri; a farci percepire un rinnovato senso di unità della famiglia umana che spinge alla solidarietà e all’impegno serio per una vita più dignitosa. Comunicare bene ci aiuta ad essere più vicini e a conoscerci meglio tra di noi, ad essere più uniti. I muri che ci dividono possono essere superati solamente se siamo pronti ad ascoltarci e ad imparare gli uni dagli altri. Abbiamo bisogno di comporre le differenze attraverso forme di dialogo che ci permettano di crescere nella comprensione e nel rispetto. La cultura dell’incontro richiede che siamo disposti non soltanto a dare, ma anche a ricevere dagli altri. I media possono aiutarci in questo, particolarmente oggi, quando le reti della comunicazione umana hanno raggiunto sviluppi inauditi. In particolare internet può offrire maggiori possibilità di incontro e di solidarietà tra tutti, e questa è una cosa buona, è un dono di Dio.
Esistono però aspetti problematici: la velocità dell’informazione supera la nostra capacità di riflessione e giudizio e non permette un’espressione di sé misurata e corretta. La varietà delle opinioni espresse può essere percepita come ricchezza, ma è anche possibile chiudersi in una sfera di informazioni che corrispondono solo alle nostre attese e alle nostre idee, o anche a determinati interessi politici ed economici. L’ambiente comunicativo può aiutarci a crescere o, al contrario, a disorientarci. Il desiderio di connessione digitale può finire per isolarci dal nostro prossimo, da chi ci sta più vicino. Senza dimenticare che chi, per diversi motivi, non ha accesso ai media sociali, rischia di essere escluso.
Questi limiti sono reali, tuttavia non giustificano un rifiuto dei media sociali; piuttosto ci ricordano che la comunicazione è, in definitiva, una conquista più umana che tecnologica. Dunque, che cosa ci aiuta nell’ambiente digitale a crescere in umanità e nella comprensione reciproca? Ad esempio, dobbiamo recuperare un certo senso di lentezza e di calma. Questo richiede tempo e capacità di fare silenzio per ascoltare. Abbiamo anche bisogno di essere pazienti se vogliamo capire chi è diverso da noi: la persona esprime pienamente se stessa non quando è semplicemente tollerata, ma quando sa di essere davvero accolta. Se siamo veramente desiderosi di ascoltare gli altri, allora impareremo a guardare il mondo con occhi diversi e ad apprezzare l’esperienza umana come si manifesta nelle varie culture e tradizioni. Ma sapremo anche meglio apprezzare i grandi valori ispirati dal Cristianesimo, ad esempio la visione dell’uomo come persona, il matrimonio e la famiglia, la distinzione tra sfera religiosa e sfera politica, i principi di solidarietà e sussidiarietà, e altri.
Come allora la comunicazione può essere a servizio di un’autentica cultura dell’incontro? E per noi discepoli del Signore, che cosa significa incontrare una persona secondo il Vangelo? Come è possibile, nonostante tutti i nostri limiti e peccati, essere veramente vicini gli uni agli altri? Queste domande si riassumono in quella che un giorno uno scriba, cioè un comunicatore, rivolse a Gesù: «E chi è mio prossimo?» (Lc 10,29). Questa domanda ci aiuta a capire la comunicazione in termini di prossimità. Potremmo tradurla così: come si manifesta la “prossimità” nell’uso dei mezzi di comunicazione e nel nuovo ambiente creato dalle tecnologie digitali? Trovo una risposta nella parabola del buon samaritano, che è anche una parabola del comunicatore. Chi comunica, infatti, si fa prossimo. E il buon samaritano non solo si fa prossimo, ma si fa carico di quell’uomo che vede mezzo morto sul ciglio della strada. Gesù inverte la prospettiva: non si tratta di riconoscere l’altro come un mio simile, ma della mia capacità di farmi simile all’altro. Comunicare significa quindi prendere consapevolezza di essere umani, figli di Dio. Mi piace definire questo potere della comunicazione come “prossimità”.
Quando la comunicazione ha il prevalente scopo di indurre al consumo o alla manipolazione delle persone, ci troviamo di fronte a un’aggressione violenta come quella subita dall’uomo percosso dai briganti e abbandonato lungo la strada, come leggiamo nella parabola. In lui il levita e il sacerdote non vedono un loro prossimo, ma un estraneo da cui era meglio tenersi a distanza. A quel tempo, ciò che li condizionava erano le regole della purità rituale. Oggi, noi corriamo il rischio che alcunimedia ci condizionino al punto da farci ignorare il nostro prossimo reale.
Non basta passare lungo le “strade” digitali, cioè semplicemente essere connessi: occorre che la connessione sia accompagnata dall’incontro vero. Non possiamo vivere da soli, rinchiusi in noi stessi. Abbiamo bisogno di amare ed essere amati. Abbiamo bisogno di tenerezza. Non sono le strategie comunicative a garantire la bellezza, la bontà e la verità della comunicazione. Anche il mondo dei media non può essere alieno dalla cura per l’umanità, ed è chiamato ad esprimere tenerezza. La rete digitale può essere un luogo ricco di umanità, non una rete di fili ma di persone umane. La neutralità dei media è solo apparente: solo chi comunica mettendo in gioco se stesso può rappresentare un punto di riferimento. Il coinvolgimento personale è la radice stessa dell’affidabilità di un comunicatore. Proprio per questo la testimonianza cristiana, grazie alla rete, può raggiungere le periferie esistenziali.
Lo ripeto spesso: tra una Chiesa accidentata che esce per strada, e una Chiesa ammalata di autoreferenzialità, non ho dubbi nel preferire la prima. E le strade sono quelle del mondo dove la gente vive, dove è raggiungibile effettivamente e affettivamente. Tra queste strade ci sono anche quelle digitali, affollate di umanità, spesso ferita: uomini e donne che cercano una salvezza o una speranza. Anche grazie alla rete il messaggio cristiano può viaggiare «fino ai confini della terra» (At 1,8). Aprire le porte delle chiese significa anche aprirle nell’ambiente digitale, sia perché la gente entri, in qualunque condizione di vita essa si trovi, sia perché il Vangelo possa varcare le soglie del tempio e uscire incontro a tutti. Siamo chiamati a testimoniare una Chiesa che sia casa di tutti. Siamo capaci di comunicare il volto di una Chiesa così? La comunicazione concorre a dare forma alla vocazione missionaria di tutta la Chiesa, e le reti sociali sono oggi uno dei luoghi in cui vivere questa vocazione a riscoprire la bellezza della fede, la bellezza dell’incontro con Cristo. Anche nel contesto della comunicazione serve una Chiesa che riesca a portare calore, ad accendere il cuore.
La testimonianza cristiana non si fa con il bombardamento di messaggi religiosi, ma con la volontà di donare se stessi agli altri «attraverso la disponibilità a coinvolgersi pazientemente e con rispetto nelle loro domande e nei loro dubbi, nel cammino di ricerca della verità e del senso dell’esistenza umana» (Benedetto XVI, Messaggio per la XLVII Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, 2013). Pensiamo all’episodio dei discepoli di Emmaus. Occorre sapersi inserire nel dialogo con gli uomini e le donne di oggi, per comprenderne le attese, i dubbi, le speranze, e offrire loro il Vangelo, cioè Gesù Cristo, Dio fatto uomo, morto e risorto per liberarci dal peccato e dalla morte. La sfida richiede profondità, attenzione alla vita, sensibilità spirituale. Dialogare significa essere convinti che l’altro abbia qualcosa di buono da dire, fare spazio al suo punto di vista, alle sue proposte. Dialogare non significa rinunciare alle proprie idee e tradizioni, ma alla pretesa che siano uniche ed assolute.
L’icona del buon samaritano, che fascia le ferite dell’uomo percosso versandovi sopra olio e vino, ci sia di guida. La nostra comunicazione sia olio profumato per il dolore e vino buono per l’allegria. La nostra luminosità non provenga da trucchi o effetti speciali, ma dal nostro farci prossimo di chi incontriamo ferito lungo il cammino, con amore, con tenerezza. Non abbiate timore di farvi cittadini dell’ambiente digitale. È importante l’attenzione e la presenza della Chiesa nel mondo della comunicazione, per dialogare con l’uomo d’oggi e portarlo all’incontro con Cristo: una Chiesa che accompagna il cammino sa mettersi in cammino con tutti. In questo contesto la rivoluzione dei mezzi di comunicazione e dell’informazione è una grande e appassionante sfida, che richiede energie fresche e un’immaginazione nuova per trasmettere agli altri la bellezza di Dio.
Dal Vaticano, 24 gennaio 2014, memoria di san Francesco di Sales