Dire dissesto idrogeologico e dire “evergreen” è la stessa cosa. È anche l’albero della cuccagna della narrazione facile. Il paniere di frasi fatte è il solito: “cronica fragilità”, “bomba d’acqua” “abusivismo dilagante”, “cambiamento climatico”, “la vergogna dei condoni”, “la cementificazione degli alvei”, “due giorni di piogge torrenziali”, “abbandono del territorio”, “la mancanza di risorse”, “flagellato dal maltempo”, “urbanizzazione selvaggia”. Messe insieme in un sacchetto e poi estratte e assemblate a casodicono comunque qualcosa di giusto e magari pure “molto progressista”.
In realtà c’è una complessità strutturale che sfugge alla semplificazione a tutti i costi, una sorta di irriducibile ostinazione ribelle che, fermo restando l’effettivo strazio del territorio, il clima in movimento e quant’altro, rende la questione apparentemente inattaccabile.
Ogni anno, ogni autunno siamo punto e daccapo.
Il problema è difficile, stratificato e, soprattutto, non ammette una soluzione unica e preconfezionata. Per questo rivediamo le stesse scene, gli stessi disastri, spesso negli stessi luoghi, come se tutti gli sforzi fatti, le azioni intraprese, le tante parole spese ai tavoli degli esperti, fossero del tutto inutili. Un disco rotto che macina miliardi, quantomeno uno l’anno, solo di danni diretti e, ben peggio, miete vittime, distrugge impegno, ricchezza, posti di lavoro. Il Governo ci ha messo la faccia con la Struttura di Missione di Palazzo Chigi affidata ad Erasmo D’Angelis per aggregare, in un unico centro, le mille questioni sparse, mettere ordine e dare un segno deciso. Come minimo è un elemento di forte novità che sta già dando una quantità di frutti.
Si diceva della futilità delle parole. Bisognerebbe aggiungere quella dei numeri. Questo problema, per quanto così cronico, ècronicamente privo di numeri fermi e affidabili. Tanto che decine di profeti improvvisati, possono spesso dire quello che vogliono. Gli interventi per la prevenzione, l’estensione delle aree a rischio, i milioni di danni, ribalzano tra estremi parossisticamente lontani a seconda della fonte di informazione: “si fa troppo di qua e niente di là” oppure viceversa, o, ancora: “non si fa niente da nessuna parte!”
Eppure una delle chiavi per ridurre il danno, per fornire una potente iniezione di sicurezza, al pari delle opere indispensabili alla difesa, è proprio la consapevolezza dei cittadini, il coinvolgimento proattivo, la loro voglia di ridurre il pericolo, di comprendere il problema, di essere parte attiva di una questione che, manco a dirlo, passa sopra le loro teste.
La comunità resiliente, coesa e organizzata sulle proprie esigenze, quella che resiste e, se colpita, risorge più forte di prima, ha molto a che vedere con la consapevolezza, l’engagement, la collaborazione. L’Italia è il paese del volontariato, il materiale è senz’altro buono.
Per questo abbiamo sviluppato mappa.italiasicura.gov.it. Un punto fermo, un caposaldo, un appiglio al quale affidarsi per provare a capire. Lo abbiamo fatto per la Struttura di Missione #italiasicura della Presidenza del Consiglio insieme ad Agid, con l’aiuto fondamentale di ISPRA e del Dipartimento della Protezione Civile. Abbiamo collaborato con loro sulle strutture dati per integrarle ancora di più in formato aperto e accessibile come servizio.
Non è l’ennesima repository ma una semplice piattaforma di integrazione ed analisi di dati.
Dati cui ognuno può accedere anche direttamente per conto proprio, dalla fonte primaria, là dove sono creati, esposti e dove sono aggiornati ad ogni cambiamento.La mappa si naviga dal livello nazionale per scendere alla singola località. Si può esplorare la pericolosità e l’esposizione al rischio,ma pure le forze messe in campo dalla strategia del Paese per combattere quella pericolosità e quel rischio. Ogni intervento è descritto con propri i dati tecnici e amministrativi e con una dashboard, si colloca anche nel contesto nazionale. La piattaforma ci dice come siamo messi nell’area dove abitiamo, digitando l’indirizzo o con il “locate me”. Ogni informazione può essere immediatamente condivisa sui social esattamente così come la vediamo e chi ci ascolta saprà subito cosa vogliamo raccontargli e su cosa lo chiamiamo a collaborare.
Nella sezione “Emergenze” troviamo, regione per regione, i frutti amari delle calamità. La Protezione Civile ci racconta, solo per dirne una, che i danni censiti per catastrofi idrogeologiche, solo per gli ultimi due anni, ammontano a oltre 3 miliardi e 200 milioni. Ed è un quadro che attende ancora di essere completato da parte dei Commissari delegati (perché è una continua rincorsa con l’evento del giorno) e dunque una stima certamente per difetto. Si capisce allora che il senso del Piano da 9 miliardi avviato dal Governo da adesso al 2020, oltre l’importante valore etico per il Paese, è un investimento a elevato tasso di ritorno.
Vedete, non è con “i portali” che si cambia il mondo. Anzi spesso è proprio il proliferare dei siti che confonde le idee e rallenta i processi di innovazione. Il risultato “vero” di questo lavoro non sta nelle mappe colorate, per belle o brutte che possano essere. È un risultato comune, di tutti quelli che hanno partecipato al lavoro, e non di questo o quello. Sta nel fatto che, nel percorso verso #italiasicura, ognuna delle Amministrazioni coinvolte ha migliorato il processo di analisi e pubblicazione dei propri serviziverso il resto del mondo. ISPRA espone la mappa delle aree a pericolosità da alluvione per tutto il paese, gli indici di rischio per territorio, scuole e popolazione. Il Dipartimento della Protezione civile rilascia importanti open data sulla gestione delle emergenze. La Struttura di missione, assieme ad ISPRA prosegue nel suo immane sforzo di censimento, analisi razionalizzazione degli interventi per ottimizzare la propria preziosa programmazione. E i risultati sono pubblici, esposti come servizio in tutti i dettagli per i cittadini.
Questo, come si è detto più volte, è il valore aggiunto degli open data, un processo di miglioramento interno dettato dalla volontà di accountability. Numeri “veri” che allontanano l’albero della cuccagna e aiutano la protezione del territorio.
GIOVANNI MENDUNI