La collezione Peggy Guggenheim presenta “Gottlieb. Una retrospettiva” in mostra a Venezia fino al 9 gennaio. Si tratta della prima antologica in Italia dedicata al grande espressionista astratto americano. La mostra prosegue la linea di indagine del museo veneziano, che ha già compreso personali dedicate a William Baziotes, Jackson Pollock e Richard Pousette-Dart, incentrata su quell’emblematica generazione di artisti d’oltreoceano del secondo dopoguerra, il cui linguaggio era nato e si era maturato negli anni in cui Penny Guggenheim aveva aperto a New York la sua galleria Art of This Century.
Carismatico artista e intellettuale, la storia di Gottlieb va di pari passo con quella dell’Espressionismo Astratto e con quella di Barnett Newman e Mark Rothko, soci fondatori nel 1935 di “The Ten”, gruppo di artisti consacrati alla pittura espressionista.
Ma lo stesso Sanford Hirsch, direttore della Fondazione Adolph e Esther Gottlieb, ha affermato che «Gottlieb è stato etichettato come pittore espressionista astratto ed è vero che egli fu uno dei fondatori dell’Espressionismo astratto (…). Eppure il termine è troppo ristretto per contenere l’ampiezza dell’arte di Gottlieb (…)».
La mostra vuole infatti dimostrare la diversità e la continua evoluzione della produzione di Gottlieb, secondo il suo stesso motto “Tempi diversi richiedono immagini diverse”.
L’esibizione si articola dunque in un percorso che va dai lavori iniziali d’influenza surrealista, all’approdo all’espressionismo e all’astrattismo. Si parte dunque con dipinti, disegni e acqueforti degli anni ’30, tra cui ritratti di Rothko e Milton Avery e opere ispirate a un importante soggiorno in Arizona negli anni ’37-’38.
Si prosegue poi con una selezione, per la prima volta riunita in Italia, della prima serie dei dipinti di Gottlieb, i “Pictographs”, lavori che collocano Gottlieb tra i pionieri dell’avanguardia americana. Lo spettatore si trova di fronte a griglie in cui l’immagine è sezionata per simboli come traduzione di un’arte primitiva e di matrice mitologica elaborata attraverso lo studio degli indiani d’America e della culture visive primitive.
Dei primi anni ’50 sono composizioni note come i “Labirinti” e i “Paesaggi Immaginari”, opere di grande valore estetico e simboli di una forma cosmica e universale. In mostra non manca poi una selezione di piccole sculture, opere in cartone colorato, affiancate alle tematiche pittoriche che li hanno ispirati. L’esposizione si chiude con una serie di tele create dall’artista nei primi anni ’70, in cui l’espressione si contrae e affiorano forme e colori freddi.