Ai tempi di Brexit e Trump ha ancora un senso l’impresa sociale?

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Chi si ricorda degli imprenditori sociali? Erano molto di moda dalla metà dei 2000 fino a tempi relativamente recenti. L’idea era questa: i problemi del mondo sarebbero stati risolti da persone che avevano la propensione al rischio e la visione degli imprenditori alla Schumpeter, ma più interessati a risolvere problemi che non a fare soldi. Per queste persone, gli imprenditori sociali, fare soldi sarebbe stato semplicemente un modo per garantire risorse (e quindi indipendenza dal potere) a queste loro soluzioni. Come? Attraverso la disruption. Per esempio: per risolvere il problema degli alloggi, qualche imprenditore sociale avrebbe sviluppato case a buon mercato ed ecologiche, che una squadra di amici avrebbe potuto comprare per, diciamo, diecimila euro e montare in un paio di mesi.

Questo avrebbe messo fuori mercato i baroni della costruzione, ma avrebbe reso gli alloggi a buon mercato disponibili per tutti, spezzando la tirannia del mutuo. Un ecosistema di servizi (anche se non molto buoni) è emerso intorno a queste persone e ai loro progetti: impact investment invece del venture capital, acceleratori sociali, politiche pubbliche per favorire l’innovazione e l’impresa sociali. Due potenti soggetti politici, più di tutti gli altri, hanno investito su questa visione: la Commissione Europea guidata da José Manuel Barroso e il governo britannico durante il gabinetto Cameron-Clegg.

Vuoi mettere la soddisfazione di rendere il mondo migliore? Diverse persone si sono lasciate convincere, e ci hanno provato o ci stanno provando

Nonostante la retorica, tutti sapevano che non sarebbe stato facile.

Anche se hai un’idea brillante, anche se ottieni le risorse per realizzarla, le industrie non accettano di farsi rottamare senza combattere. Il combattimento sarebbe stato aspro e sleale. Ma il nostro eroe-imprenditore sociale avrebbe retto il gioco. Sì, è difficile. Sì, guadagna meno che persone in un’analoga posizione nel settore commerciale. Ma vuoi mettere la soddisfazione di rendere il mondo migliore? Diverse persone si sono lasciate convincere, e ci hanno provato o ci stanno provando. Probabilmente anch’io sono tra loro: Edgeryders è un’azienda nonprofit, e con tutti i suoi limiti si impegna seriamente per creare valore sociale (“lavoro pagato e costruttivo per il precariato”) insieme a quello economico. Stiamo cercando di occupare un angolo del mercato globale della consulenza, e se possibile di portarvi un po’ di disruption, sostituendo consulenti professionisti con comunità smart reclutate su ciascun problema da risolvere.

IL VOTO DI BREXIT

E poi c’è stato Brexit. Il voto di Brexit ha implicazioni molto negative per l’impresa sociale.

  1. Va nella direzione di frammentare il mercato unico europeo. Se la tua azienda, come la mia, parte colonizzando una nicchia ecologica, rischia di farsi male: una nicchia di un mercato grande può essere ancora abbastanza grande per sopravvivere, prosperare ed espandersi, ma la stessa nicchia in un mercato piccolo può diventare troppo piccola per sostenere l’impresa.
  2. Ostacola la libera circolazione delle persone. Anche questa è una cattiva notizia, perché il nostro pool di talenti è già limitato (ci vuole un certo tipo di persona per stare bene in un’impresa sociale. Ti prendi più rischi, anche da dipendente, e la paga è raramente al livello di quella delle startup commerciali). La libera circolazione ci dà più accesso a gente intelligente, appassionata e disposta a lavorare con noi – e infatti molte di queste aziende tendono ad avere una mentalità internazionale e collaboratori che vengono da tutto il mondo.
  3. Crea instabilità, che è una pessima cosa se stai cercando di fare cose nuove. L’investimento in innovazione viene de-prioritizzato durante i periodi di turbolenza.

C’è una notizia ancora peggiore. Brexit mostra che molte persone non vogliono vivere nel mondo che stiamo cercando di costruire per loro, e per noi stessi. Gli imprenditori sociali tendono a essere progressisti urbani. Amano la diversità, e molti di loro sono essi stessi expats. Sono fortemente meritocratici. Rispettano i fatti, e quando essi contraddicono le loro opinioni cercano di cambiare opinione. Ne conosco diversi: sono sicuro che non vivrebbero bene nella “Little England” evocata dalla campagna del Leave; e che siano disgustati dall’indifferenza per la verità mostrata dal dibattito. Semplicemente, non siamo le persone giuste per aiutare i Brexiters rancorosi a costruire il mondo che vogliono.

Il caso Trump

Molte persone intelligenti hanno cercato di capire il voto per Brexit, e il fenomeno parallelo dell’ascesa di Donald Trump (esempio, altro esempio). La narrativa prevalente è più o meno questa: la classe operaia bianca si sente lasciata indietro. Ci sono posti di lavoro (il tasso di partecipazione alla forza lavoro è a livelli record in UK), ma non sono “buoni” posti di lavoro. Non offrono “un senso di comunità e di valore di sé”. Pensano che il mondo debba loro (ma non ai siriani, agli iracheni o agli italiani a Londra) una certo tipo di vita. Non sono interessati a cose che la società ha da offrire, come l’accesso praticamente gratis alle arti e alla cultura (musei, eventi, biblioteche), a molti divertimenti, a moltissime opportunità di apprendimento. Astuti demagoghi hanno lavorato su questa insoddisfazione, e sono riusciti a convincere i bianchi dell’Inghilterra profonda a darne la colpa ai migranti. Gli elettori di Farage e Trump e gli altri non hanno nulla contro l’impresa sociale (tranne quelle che lavorano per integrare i migranti!), anzi probabilmente non sanno nemmeno che esiste. Ma hanno deciso di farsi sentire, e non gli importa di danneggiare gli altri mentre lo fanno.

Vale ancora la pena di fare impresa sociale?

Resisterò alla tentazione di dare la mia opinione su questa roba. È quello che è, e dobbiamo tenerne conto. Ma chi si è sentito coinvolto nell’avventura dell’impresa sociale, me compreso, deve prendere una decisione su questo: vale ancora la pena di fare impresa sociale? Le imprese tradizionali sono nostre avversarie sul mercato. Le persone che avremmo voluto aiutare sono nostre avversarie nell’arena politica. La nostra missione è ancora possibile? Vale ancora qualcosa per la società nel suo insieme?

ALBERTO COTTICA

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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