Al Moma il vino diventa moderno

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Con un titolo, “How Wine Became Modern”, installazioni multimediali, opere d’arte commissionate ad hoc, modelli architettonici che si snodano nelle sale del Moma, il design racconta l’evoluzione del vino e del suo mondo dal 1976 a oggi.

Pensata in collaborazione con lo studio d’architettura newyorchese Diller Scofidio + Renfro, l’esposizione resta aperta al pubblico fino al prossimo 17 aprile, e per chi ha la fortuna di trovarsi in California, il training può sì apparire insolitamente concettuale, ma convoglia in un piacere unanimemente condiviso, il bere (consapevole).

Certo, la sintesi dell’esperienza è la stessa delle cantine, del duro lavoro fra vigne e vendemmie, ciò che cambia, sostanzialmente, è il contesto. Gli antri bui deputati alla pratica di decantazione si trasformano in futuristiche costruzioni firmate da famosi designer; arnesi che accompagnano la degustazione diventano eccentrici oggetti d’avanguardia.

Per non parlare della mole mirabolante di riviste specializzate e guide settoriali che condizionano il mercato, accumunate ai talk show televisivi con tanto di sommelier, cinematografia in tema, nuove tendenze orientate alla viticoltura biodinamica e allora ci si rende conto che l’onnivora cultura del moderno si è esaurientemente appropriata dell’antico elisir e del suo ambito di tradizioni ormai desuete.

In un percorso di sensi e suggestione al Moma di San Francisco c’è un vino da bere e da guardare; il curatore, Henry Urbach, ha volutamente scomposto l’esperienza enoica affiancandole oggetti di design, opere d’arte, strumenti per la viticoltura con demo multimediali contemporanee. Il risultato è una full immersion quasi drammatica, avvincente. Le pareti diventano interattive per cimentarsi in una vera e propria degustazione, si spazia tra le foto degli hotel che ospitano il turismo enogastronomico in continua espansione, fino ai prototipi firmati da grandi designer, ai modelli in scala per le cantine progettate da grandi architetti: Norman Foster, Mario Botta, Renzo Piano, Calatrava, Alvaro Siza Vieira.

Tante le curiosità; la “Carafe n°5”, dello scultore francese Etienne Meneau, è un decanter che crea un particolare effetto scenico mescendoci il vino e il monumentale allestimento del “Judgment of Paris“, riassume il leggendario battesimo del vino californiano, con accenni all’Ultima Cena di Leonardo.

A questo proposito come non menzionare il film di Alexander Payne, quel “Sideway” che, nel 2004, tra un Oscar e due Golden Globe, narra di un breve viaggio on the road fra le vigne della “Wine Valley” californiana. Ancora, il vino come metafora della realtà, con i due disarmanti personaggi, Miles e Jack che, alla fine di sbornie, avventure e discernimenti decidono di dare una svolta improvvisa e un senso alle loro vite, riscoprendo il valore dell’amicizia.

La scintilla arriva dall’incontro di due donne straordinarie, ma al centro di tutto c’è il magico potere del vino e l’eterno conflitto tra Pinot e Cabernet.

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Scritto da luxu

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