La protezione sismica degli edifici in Italia è un tema trasversale. Dall’edilizia privata alle strutture pubbliche, nel Paese la messa in sicurezza degli edifici è una questione urgente: si calcola che circa il 60% delle costruzioni da Nord a Sud sia stato eretto prima del 1971. Secondo l’Associazione nazionale costruttori edili, fra questi edifici 2,1 milioni sono in “stato pessimo o mediocre”. Negli ultimi anni, l’innovazione sta fornendo un grande contributo nel settore. Lo dimostra ISAAC, la startup che si occupa di soluzioni intelligenti per la protezione sismica. Alberto Bussini ne è il fondatore e CEO e ci racconta il segreto del suo successo.
Come è nata l’idea di fondare ISAAC?
“Di solito una società nasce da un problema circoscritto e si cerca la soluzione al problema.
Noi, al contrario, siamo partiti dalla soluzione. Abbiamo un dispositivo, una macchina, che messo sul tetto dell’edificio, permette di migliorarlo sismicamente. Siamo, così, entrati nel mondo dell’antisismica per proporlo perché abbiamo visto che quello che c’era sul mercato era fatto da interventi tradizionali, per lo più invasivi.
Spesso infatti per poter effettuare un intervento di miglioramento sismico si rischia di entrare nell’edificio, sgomberarlo per periodi di tempo importanti e successivamente rinforzare gli elementi strutturali come i pilastri.
Sono opere invasive, perché intaccano la struttura. Invece, mettendo le nostre macchine otteniamo lo stesso risultato con un tempo estremamente ridotto e senza operazioni invasive. Lo abbiamo proposto ed è piaciuto moltissimo sul mercato”.
Su quale tecnologia si basa la macchina che avete sviluppato?
“La tecnologia di base è un sistema brevettato per la prima volta nel 1905: si chiama Tuned Mass Damper. Si tratta di masse pesanti centinaia di tonnellate. Una delle più famose si trova sul Taipei 101, un grattacielo di Taiwan. Sono sistemi che, durante l’evento sismico, si mettono a oscillare insieme alla struttura e assorbono energia. Pian piano, queste masse sono state rese più leggere attaccandole a motori elettrici e poi siamo arrivati alla nostra innovazione: utilizzare dispositivi leggeri e compatti e forze molto spinte grazie all’innovazione industriale.
Questo ci ha permesso di realizzare il brevetto sul nostro sistema I-Pro 1“.
Finora non è mai stato pensato nulla di simile?
“Non ancora, non abbiamo competitor diretti. Ci sono state delle applicazioni di questi sistemi su grattacieli in Corea, Giappone, Cina, ma si parla di 3 o 4 applicazioni. Noi siamo i primi che stanno effettuando ‘applicazione di tali sistemi in Italia ed Europa, puntando in futuro anche ad altri Paesi come gli USA”.
Nel nostro Paese, oltre la metà degli edifici non rispetta norme antisismiche. Avete una soluzione per edifici di questo tipo?
“Assolutamente sì. Ci sono casi studio che ci vengono proposti tutti i giorni: per lo più, si tratta di edifici degli anni ’50, ’60, costruiti con quello che era lo stato dell’arte tecnologico di allora, cioè il massimo della tecnologia e conoscenza dell’epoca. Sono strutture che hanno resistito per oltre cinquant’anni, ma gli anni sono passati e la tecnologia è cambiata, così come le normative. Quegli edifici non sono più a norma: il nostro sistema permette di riportare anche quegli edifici non antisismici nelle condizioni previste dalle recenti normative sul tema”.
Quali vantaggi offre il dispositivo ISAAC I-Pro 1?
“Innanzitutto, invasività zero. Questo significa che tutto il costo di mancanza legato allo sgombero dell’edificio in questo caso non c’è. Citando degli esempi, siamo stati chiamati per un edificio in centro Italia con uffici che non potevano essere sgomberati. Interveniamo nei casi di ospedali e edifici che non è possibile sgomberare o dove il numero degli interventi prescritti sono troppi: con le nostre macchine, gli interventi su un edificio diminuiscono nettamente e anche i relativi costi. I tradizionali interventi di miglioramento sismico sugli edifici, comportano circa nove mesi fra progetto e intervento. Immaginiamo di chiudere un albergo, un ufficio, un condominio per oltre sei mesi, cioè per tutta la durata dell’intervento. Ne è un esempio il primo Sismabonus: nonostante l’incentivo fiscale che copriva fino all085% delle spese di intervento, lo hanno utilizzato in pochi per le conseguenze che avrebbe comportato fare interventi tradizionali di miglioramento sismico. Vedremo cosa succederà da adesso con il nuovo Sismabonus al 110% di rimborso”.
Da quanto siete sul mercato?
“Sul mercato proponiamo questa tecnologia da sette mesi e abbiamo già molte richieste. Siamo, però, nel settore da quattro anni e mezzo, da quando è partita la ricerca sul sistema I-Pro 1. Finora operiamo su edifici di zone sismiche come Emilia-Romagna, Abruzzo, Umbria, Marche, Puglia, Campania, Calabria, Sicilia, etc”.
Su quali edifici offrite la vostra tecnologia?
“Per lo stato di sviluppo della tecnologia, noi ora operiamo su edifici in cemento armato o acciaio, possibilmente con tetto piatto. Ci sono altri tipi di tetto, i cosiddetti tetti a falde, che richiedono un’applicazione leggermente più complessa. Negli altri casi, l’installazione delle macchine è molto semplice: si tratta di portarle e installarle sul tetto, che è già piano. Siamo stati contattati anche per delle gare pubbliche da alcuni strutturisti che volevano includere le nostre macchine nelle loro proposte”.
Quanto è importante in ISAAC il lavoro di ricerca nella protezione sismica?
“Tantissimo. Noi siamo in una fase di applicazione dei sistemi, ma tuttora è una continua ricerca e sviluppo. Ogni giorno troviamo nuovi sistemi, creiamo standard. In pratica, creiamo parametri di sicurezza per applicazione di sistemi innovativi nell’edilizia. Siamo noi che, in questo modo, definiamo la sicurezza minima che ci deve essere: stiamo ponendo i paletti per chi verrà successivamente e vorrà applicare sistemi attivi di questo tipo. Si tratta di paletti di sicurezza minimi che faranno sì che certi criteri di sicurezza vengano rispettati. Ripetiamo sempre: la sicurezza, prima di tutto. Inoltre, ogni giorno creiamo collaborazioni con nuovi studi di progettazione, che scelgono di adottare la nostra tecnologia”.
Oltre all’Italia, operate anche all’estero?
“Sì, abbiamo richieste da Portogallo e Turchia, per esempio. La nostra idea è espanderci anche in altri Paesi. All’estero, c’è una tendenza all’acquisto della macchina senza il progetto. In altre parole, noi formiamo loro per l’installazione delle macchine e forniamo solo le macchine”.
Non vi turba trasmettere il vostro know-how?
“Assolutamente no. Abbiamo brevetti che coprono l’applicazione della nostra tecnologia e la macchina stessa, ma per esempio sul nostro sito è possibile scaricare tutti i report tecnici. La prima cosa che vogliamo è vedere questa tecnologia applicata perché è davvero la soluzione ottimale vincente rispetto a interventi invasivi, in un Paese, come l’Italia, dove il problema dei terremoti è molto sentito. Oggettivamente, non potremmo fare da soli tutte le applicazioni del sistema. Quindi, vorremmo che altra gente possa applicare queste macchine”.
Per quanto riguarda la comunicazione, lavorate anche su questo?
“All’inizio pensavamo che investire su marketing e comunicazione fosse rischioso. Poi abbiamo capito che si trattava della scelta giusta. Comunicare in ambito B2B, dove il marketing è diverso da una strategia B2C, è stato fortemente impattante. Nel settore dell’edilizia, comunicazione e marketing sono pressoché nulli. Noi facendo questa attività, abbiamo avuto richieste anche da Facebook, per fare un esempio. È difficile che un professionista voglia fruire di servizi così specialistici guardando semplicemente un social network.
Invece, comunicando – anche tecnicamente – i miglioramenti che riusciamo ad apportare, abbiamo notato importantissimi sviluppi commerciali grazie alle piattaforme social. Questo senza ancora utilizzare comunicazione verticale, per esempio con riviste di settore. Gradualmente, vorremmo muoverci anche sul B2C: proporremo sempre una comunicazione tecnica, ma vorremmo rivolgerci anche ai clienti finali, come gli amministratori di condominio e i condomini stessi. Abbiamo, cioè, notato che nel settore c’è poca sensibilizzazione del cliente finale. E così questi è titubante, spesso si rivolge a noi senza avere la minima idea di cosa andrebbe fatto. Manca proprio sensibilizzazione sul tema. Il nostro reparto di comunicazione è stato molto bravo nell’aver saputo instaurare il giusto dialogo sia con il cliente finale che con i professionisti del settore“.
La vostra è una startup. C’è stata una fase difficile, quale di solito è la Death Valley Curve?
“La fase più difficile è stata trovare chi credesse nel progetto e mettesse i finanziamenti iniziali. Il fondo di investimento italo-francese 360 Capital Partners ha creduto in noi e ha fornito i finanziamenti necessari a prototipare e sviluppare la tecnologia nonostante i rischi tecnologici. I rischi erano tanti, soprattutto commerciali: allora non avevamo nemmeno una richiesta. Loro, invece, hanno creduto nel nostro progetto e hanno avuto ragione”.