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Alla ricerca del gemello della Terra, cosa abbiamo scoperto in 20 anni fuori dal nostro sistema solare

scienze

La ricerca dei pianeti extrasolari è sicuramente uno degli argomenti più caldi dell’astronomia mondiale. E’ una disciplina giovane, nata giusto 20 anni fa con l’annuncio della scoperta di un pianeta in orbita attorno alla stella 51 Peg (la cinquantunesima stella, in ordine di brillantezza, nella costellazione del cavallo alato). Gli scopritori svizzeri, Michel Mayor (il professore) e Didier Queloz (lo studente), decisero di fare l’annuncio durante una conferenza che si teneva a Firenze e così, il 6 ottobre 1995, scoprimmo che il sistema solare non era unico nell’Universo.

Contemporaneamente, fummo costretti a constatare che il template “sistema solare” non era l’unico possibile per un sistema planetario. Il pianeta in orbita intorno alla stella 51 Peg era piuttosto stravagante: la sua massa era simile a quella di Giove, ma orbitava vicinissimo alla sua stella, compiendo un giro completo in poco più di 4 giorni, molto meno del periodo orbitale di Mercurio.

Gli svizzeri non avevano visto il pianeta, ma, piuttosto, avevano indovinato la sua presenza, misurando il movimento ritmico nelle righe dello spettro della stella 51Peg. Da questa oscillazione avevano dedotto che la stella si muoveva per “rispondere” alla presenza di un pianeta che, descrivendo la sua orbita intorno alla stella, le faceva fare un balletto cosmico. E’ un metodo che funziona bene per pianeti massicci e vicino alla loro stella, perchè sono quelli che producono lo spostamento maggiore.Mayor e Queloz avevano battuto un gruppo americano concorrente che, mordendosi le mani per avere esitato a divulgare prima i loro dati, pochi giorni dopo annunciava la scoperta di un altro sistema planetario.

Era nata una nuova branca dell’astronomia e la gara per la scoperta di nuovi sistemi planetari era cominciata.

E’ una disciplina in continua espansione ed il tasso di crescita del numero dei pianeti extrasolari è sempre più accelerato. Strumenti a terra e in orbita sfornano nuovi pianeti a getto continuo.

Ci sono voluti 15 anni per passare da 0 a 500 pianeti, ma negli ultimi 5 anni siamo arrivati a quasi 2mila.

Per la maggior parte dei casi, si tratta di pianeti singoli ma, grazie all’affinamento delle nostre capacità di misura, sono sempre più numerose le rivelazioni di sistemi multi-pianeti. L’ultimo censimento planetario riporta diverse centinaia sistemi multipli. Per essere sempre aggiornati sullo stato della ricerca di pianeti extrasolari si può consultare il sito Exoplanet oppure scaricare l’App gratuita (sugli store Apple, Android e Microsoft, ndr) che fornisce tutte le informazione disponibili su ogni esopianeta e che, volendo, avvisa ad ogni nuova scoperta.

COME SI DANNO I NOMI AI PIANETI

Mentre le caratteristiche dei pianeti sono decisamente affascinanti i loro nomi sono veramente poco originali: il nome della stella, come appare in appositi cataloghi, seguito da una lettera: “b” per il primo pianeta scoperto, “c” per il secondo, “d” per il terzo, eccetera. Nessun pianeta ha diritto alla “a” che viene riservata alla stella. La situazione, però, è in evoluzione: l’Unione Astronomica Internazionale, che assegna i nomi ai nuovi oggetti astronomici, ha promosso l’iniziativa “Name Exoworlds” dove invita il pubblico a votare per assegnare un nome a 20 sistemi planetari, si va dal più semplice stella+pianeta a quello più complesso, formato da uno o più stelle con un massimo di 5 pianeti. Per votare, andate su nameexoworlds.iau.org e cliccate nella sezione For Individuals. Si aprirà una pagina dove sono elencati i 20 sistemi planetari con i nomi che sono stati proposti da organizzazioni astronomiche di ogni parte del mondo. Per avere qualche dettaglio sui nomi proposti da INAF (Istituto Nazionale di Astrofisica) e SAIT (Società Astronomica Italiana) andate su http://altrimondi.inaf.it/iaucontest/. Avete tempo fino al 31 ottobre per contribuire alla scelta di nomi più evocativi per 20 sistemi planetari.

LA MISSIONE KEPLER

Torniamo alla ricerca di pianeti: la sorgente più prolifica di nuove scoperte è la missione Kepler della NASA che ha passato anni della sua vita orbitale a raccogliere dati sulla stessa regione del cielo nella costellazione del Cigno, scelta perché sempre visibile dalla sua orbita. A prima vista sembrerebbe la quintessenza della noia: sempre la stessa regione di cielo, misurata a ripetizione, fino alla nausea. Invece è un’idea che ha la semplicità del genio. Quello che Kepler cerca è la diminuzione di brillanza che si verifica quando un pianeta passa davanti alla sua stella. Per capire cosa si vada a cercare guardate questa foto del transito di Venere che oscura una minuscola porzione del disco solare.

Visto da un astronomo alieno, il Sole, durante il transito, è un tantino meno brillante del solito (guardate, per esempio, questa animazione)Kepler va proprio a cercare questi piccoli effetti, che si misurano in frazioni di punto percentuale, che possono essere facilmente confusi con la normale attività delle stelle, oppure con i giochi a nascondino di stelle in sistemi binari o multipli. Per evitare confusioni, per essere riconosciuto come un pianeta, ogni candidato deve fare registrare almeno tre passaggi di fronte alla sua stella. In più, in un mondo ideale, con risorse illimitate, tutti i pianeti dovrebbero essere controllati con metodi indipendenti da terra: uno sforzo immenso.

Nel caso i pianeti siano più di uno, bisogna imparare a distinguere i passaggi degli uni da quelli degli altri. Ogni pianeta, infatti, ha la sua orbita e quindi la sua periodicità. Kepler è arrivato a distinguere 7 pianeti, un bel rompicapo di passaggi.

Si tratta, per lo più, di sistemi planetari intorno stelle più piccole del Sole che ospitano diversi pianeti all’interno dell’orbita di Mercurio.

Per avere un’idea della ricchezza dei dati Kepler guardate questo fantastico compendio grafico dei risultati ottenuti (ma abbiate cura di abbassare il volume perché la cavalcata delle Valchirie è un po’ troppo).

I PIANETI EXTRASOLARI E LA RICERCA DI GEMELLI DELLA TERRA

Quello che tutti cercano è un sistema planetario simile al nostro sistema solare, con un numero ed una distribuzione di pianeti paragonabili a quello nel quale abitiamo. Ovviamente, il fine ultimo è la scoperta di una nuova Terra. Sappiamo che ci stiamo avvicinando, forse l’abbiamo già vista ma non siamo ancora in grado di riconoscerla.

Oltre ad avere le dimensioni giuste, in modo da essere presumibilmente roccioso e poter trattenere una ragionevole atmosfera, il pianeta che cerchiamo deve anche trovarsi nella zona di abitabilità della sua stella, non troppo vicino per evitare di andare arrosto, come succede a Venere, e non troppo lontano per evitare di congelare, come succede a Marte. La zona di abitabilità, che dovrebbe garantire la possibilità di avere acqua liquida in superficie, è più o meno vicina alla stella a seconda che si tratti di una stella piccola e freddina oppure una stella più grande e più calda. Ovviamente la distanza è solo uno dei parametri da considerare. Non dobbiamo dimenticare che gli oceani terrestri sarebbero perennemente gelati se l’atmosfera, con il suo effetto serra, non contribuisse ad alzare la temperatura media sulla superficie terrestre (senza nessun nesso con il riscaldamento globale, naturalmente).

Per individuare i candidati più promettenti, viene calcolato l’indice di somiglianza alla Terra, un parametro che è 1 per la Terra e 0,64 per Marte.

Attualmente ci sono 25 pianeti con il valore dell’indice superiore a quello di Marte.

Credits: www.starship.no

Alcuni mesi fa la NASA ha annunciato con grande fanfara la scoperta di Kepler 452b quello che voleva vendere come il miglior candidato ad essere la Terra 2.0. In base al parametro ESI è il sesto della lista ma alla NASA era piaciuto moltissimo perché è il primo candidato ad orbitare intorno ad una stella simile al Sole con un periodo orbitale vicino a quello della Terra, 380 giorni. Non bisogna dimenticare che, per scoprire pianeti con periodi orbitali simili a quello terrestre, occorre disporre di una base di dati più lunga di tre anni, visto che vale sempre la regola che bisogna vedere almeno 3 passaggi per poter affermare di avere visto un pianeta.

KEPLER 452B E’ IL GEMELLO DELLA TERRA? CALMA, RAGAZZI.

Per poter dire qualcosa di più dovremmo poter studiare la composizione dell’atmosfera. Cerchiamo acqua, metano, ossigeno. In particolare, ci piacerebbe poter misurare l’ossigeno, un gas molto reattivo che può esistere allo stato libero solo se continuamente prodotto. Sulla Terra è la firma della presenza di organismi viventi. Con i telescopi attuali non siamo ancora in grado di farlo, ma i telescopi di prossima generazione ci permetteranno di fare passi avanti e non potremo fare a meno di pensare a Giordano Bruno e ai suoi “innumerevoli soli; innumerevoli terre ruotano attorno … Questi mondi sono abitati da esseri viventi”.

Giordano Bruno non aveva dati per sostanziare queste rivoluzionarie affermazioni, eppure, la sola idea era bastata per attirare le ire della Chiesa.

Chissà che la scoperta di nuove terre in orbita attorno ad altri soli porti alla riabilitazione dello sfortunato monaco.Magari l’iniziativa potrebbe venire dal mondo scientifico che, sia a livello europeo sia a livello americano, ha riconosciuto lo studio dei pianeti extrasolari come uno dei cardini della ricerca astronomica per la prossima decade. Perché non dare il nome di Giordano Bruno una delle prossime missioni spaziali dedicate alla ricerca ed allo studio di nuovi mondi? Anche se tardivo, sarebbe il riconoscimento di una straordinaria intuizione.

PATRIZIA CARAVEO6 ottobre 2015

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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