L’11 maggio scorso la concentrazione di anidride carbonica misurata dalla stazione meteorologica di Mauna Loa, alle Hawaii, ha superato il valore di 400 ppm (parti per milione). Si tratta del valore più alto mai registrato dalle stazioni di misurazione sparse nel mondo nel corso degli ultimi 50 anni. Lo studio a lungo termine , però, più spingersi molto più indietro. Cliccando QUI si può vedere, insieme al valore attuale, una presentazione delle misurazioni su base giornaliera, settimanale, mensile, annuale e decennale insieme alla visione a lunghissimo termine compilata a partire dall’analisi dei gas intrappolati nelle carote di ghiaccio che sono state prelevate in Antartide e in Groenlandia.
E’ il ghiaccio a darci la notizia più preoccupante: da quando l’uomo cammina sulla terra, è la prima volta che la CO2 supera il valore di 400 ppm.
Durante gli ultimi 100.000 anni, infatti, la concentrazione di CO2 è oscillata tra il valore di 180 ppm durante il periodo glaciale (quando l’uomo viveva nelle caverne a cacciava i mammut) e 280 ppm durante il periodo interglaciale, grossomodo gli ultimi 10.000 anni, a comprendere tutta la storia dell’uomo.
Mauna Loa ha iniziato a misurare la densità di anidride carbonica nel 1958, quando già si sentiva il contributo dell’industrializzazione del mondo e il valore si aggirava intorno a 318 ppm. E’ stato subito chiaro che il valore non era costante, e, sovrapposta ad una regolare oscillazione stagionale (chiaramente visibile nelle curve) , si notava una crescita di circa 0,7 ppm all’anno. Ma anche il tasso di crescita non è rimasto stabile, e, negli ultimi 10 anni, è diventato tre volte più rapido, facendo impennare la curva delle misure.
Il valore di 400 ppm non ha nulla di speciale, è semplicemente una soglia psicologica che i climatologi si erano dati per lanciare un monito, caduto per lo più nel vuoto.
L’aumento della CO2 nell’aria è uno dei maggiori responsabili del fenomeno del riscaldamento globale. L’anidride carbonica contribuisce ad intrappolare la radiazione solare ed aumenta l’effetto serra della nostra atmosfera. Attenzione a non demonizzare l’effetto serra, che non ha solo una valenza negativa. Senza l’effetto serra la terra sarebbe una landa ghiacciata, per contro, troppo effetto serra causa un innalzamento eccessivo delle temperature. Siamo (o dovremmo essere) tutti consapevoli che le conseguenze dell’aumento della CO2 (e quindi del riscaldamento globale) cambieranno le nostre vite. Lo scioglimento dei ghiacci polari causerà un innalzamento del livello dei mari, rendendo inabitabili molte regioni costiere, mentre l’aumento generalizzato delle temperature causerà desertificazione, rendendo inospitali molte regioni oggi abitate e facendo aumentare la frequenza degli eventi climatici estremi.
Se pensiamo che oggi 200 milioni di persone vivono a meno di 5 m dal livello del mare, è facile immaginare che l’umanità dovrà fare i conti con imponenti migrazioni “climatiche”. Vale la pena di ricordare che, alla fine della glaciazione, i bassi fondali del mare del Nord erano emersi e la regione pianeggiante era sicuramente abitata da comunità di cacciatori. Il graduale aumento del livello delle acqua obbligò le comunità a spostarsi, lasciandosi dietro tracce di insediamenti adesso sott’acqua, ma chiaramente riconoscibili, specie in occasione di basse maree più marcate.
L’aumento della CO2 ha anche degli effetti meno catastrofici che possono però influire molto negativamente sulla qualità della nostra vita. L’abbondanza di CO2 non risulta per nulla spiacevole alle piante che crescono meglio e diventano più produttive. Questo è positivo per l’industria agricola ma è, purtroppo, negativissimo per tutti quelli che soffrono di allergia, che si trovano ad affrontare una maggiore quantità di pollini che rimangono sospesi nell’aria per un tempo sempre più lungo, visto che il cambiamento climatico fa iniziare sempre più presto le fioriture primaverili. Facendo crescere Ambrosia artemisiifolia (un’erbaccia di origine americana che è responsabile di almeno il 40% di allergie in USA) in atmosfera con concentrazione di CO2 controllata, si nota che, passando da livelli di 280 ppm (il valore dell’inizio del ‘900) a 370 ppm (il valore del 2000), la produzione di polline raddoppia abbondantemente, con valori che vanno da 5 grammi per pianta a più di 10 grammi. Ripetendo l’esperimento con una densità di CO2 di 725 ppm (il valore che si prevede per il 2075, se non si farà nulla per mitigare la crescita dell’anidride carbonica) la produzione di polline quadruplica. L’aumento della quantità di pollini sospesi non è una novità per chi fa il monitoraggio dell’aria allo scopo di informare gli allergici dei giorni di maggior pericolo potenziale. In tutte le stazioni di conteggio pollini del Nord America la concentrazione è aumentata negli ultimi 20 anni. In New Jersey il valore medio degli ultimi 5 anni è il doppio di quanto rilevato in precedenza. Circa 1 americano su 5 è allergico all’ Ambrosia artemisiifolia e l’erbaccia cresce benissimo anche in Europa.
Ovviamente, la concentrazione dei pollini e il suo andamento temporale non dipendono solo dalla presenza di anidride carbonica: sono moltissimi i fattori da considerare. L’evoluzione stagionale delle temperature, la quantità e la distribuzione delle piogge (anche quelle dell’anno precedente), la presenza di vento sono tutti ingredienti importanti che possono combinarsi variamente per produrre picchi micidiali di polline, oppure no. L’anno scorso è stato pessimo (per gli allergici) a causa del caldo precoce, ma quest’anno potrebbe anche essere peggio perché la primavera fredda ha fatto scoppiare tutte assieme le fioriture invece che diluirle su un periodo più lungo.
La crescita della CO2 e il riscaldamento globale non sono però sufficienti a spiegare l’aumento continuo delle allergie a livello mondiale. In Giappone, per esempio, il numero degli allergici è salito dal 20% della popolazione nel 1998 al 33% nel 2008. Considerando il lasso di tempo abbastanza breve, è difficile dare la colpa solo al riscaldamento globale. Sicuramente la media del conteggio dei grani di polline nel decennio 2003-2012 è raddoppiato in alcune regione, mentre in altre è addirittura quintuplicato, rispetto ai valori 1983-1992. Colpa della politica di riforestazione applicata su larga scala, dicono gli esperti, fornendo un ottimo esempio di una buona pratica che può avere effetti collaterali negativi per una significativa frazione della popolazione. Altri sostengono che la nostra società soffre di troppa igiene e il nostro sistema immunitario perde l’abitudine a gestire il mondo esterno reagendo in modo esagerato a stimoli innocui.
L’uomo, il pianeta (con tutte le forme di vita che lo popolano), l’aria, l’acqua, il clima costituiscono un sistema interconnesso: la nostra “impronta” sull’ambiente ha riflessi importanti, molteplici e spesso impensati sulla qualità della vita dei singoli e dell’intera umanità. La consapevolezza è l’unico modo di difendere il futuro.