Attenti, le consultazioni online non significano sempre trasparenza

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Un momento del 30C3 ad Amburgo. Photo: Moritz Petersen on flicker.com

Immaginate questa scena.

Siete ad Amburgo per 30C3, il trentesimo congresso annuale del leggendario Chaos Computer Club (wikipedia), la prima e più grande associazione europea di hackers. State facendo politica: partecipate a una riunione convocata all’ultimo minuto da una giovane attivista del Partito Pirata islandese, Ásta Helgadóttir. La persona che sta parlando ora è Amelia Andersdotter, europarlamentare svedese di 26 anni, pirata anche lei. Spiega che la Commissione Europea è alle prese con una riforma del diritto d’autore. E che questa riforma, se condotta male, rischia di danneggiare la libertà e l’integrità di Internet. Di recente la Commissione ha lanciato una consultazione pubblica online sul tema, ma partecipare è così difficile, e costa così tanto tempo, che gli attivisti temono che a partecipare saranno soltanto i lobbisti dell’industria del copyright.

Andersdotter e i suoi collaboratori, aiutati da parecchi volontari, hanno realizzato sul web, una guida alla consultazione in tredici lingue, ma questo non basta. Perché tutti possano partecipare, è essenziale rendere la partecipazione molto più semplice e intuitiva. Il gruppo decide di intervenire realizzando un sito che parta dall’esperienza quotidiana delle difficioltà che i cittadini hanno con il diritto d’autore in rete (per esempio: “Ho paura a fare un remix per paura di ripercussioni legali”) e da questa guidi il cittadino a condividere il suo punto di vista, che poi viene inserito nei punti giusti del questionario. Alla fine dell’operazione, il cittadino potrà scaricare un file con il questionario compilato e inviarlo alla Commissione.

Allo sciogliersi della riunione, un gruppo di programmatori e designers apre i laptop e si mette al lavoro.

Per prima cosa, Stefan Wehrmeyer della Open Knowledge Foundation tedesca scrive il codice per un nuovo sito web, e lo carica su un repository su GitHub (la piattaforma di collaborazione più usata dai programmatori open source) in modo che tutti i partecipanti possano migliorarlo ed estenderlo. Mathias Schindler di Wikimedia Germania riscrive le domande del questionario in termini di situazioni che un cittadino può riportare alla propria esperienza. A questo punto Juliana Okropiridse, Bernhard Hayden, Christopher Clay e Peter Grassberger del Partito Pirata austriaco iniziano un hackathon per finire il sito. Vengono ospitati dallo spazio occupato dal Metalab (il più noto hackerspace viennese) nell’ambito di 30C3. Scrivono codice tutta la notte; alle 8 del mattino dopo inaugurano copywrongs.eu. È il 30 dicembre 2013.

Tutto questo è veramente accaduto.

Come ci siamo arrivati? Perché un tema apparentemente astratto e asettico come la riforma della legge europea sul diritto d’autore viene dibattuto, e fatto oggetto di interventi così concreti, in una conferenza hacker? Per capirlo dobbiamo fare un passo indietro.

Il 5 dicembre 2013 la Commissione Europea ha lanciato una consultazione pubblica online sulla riforma della legge europea sul copyright. Nell’era digitale, la legislazione sul copyright ha assunto nuova importanza; pensata per stampa, radio e televisione, ha finito per entrare in collisione con l’infrastruttura tecnica e sociale di Internet. La tecnologia di rete consente di fare velocemente e a costo zero copie esatte di contenuti (libri, musica, film, articoli scientifici e così via) e di redistribuirle in tutto il mondo. In più consente (e a volte impone) operazioni che non hanno un equivalente esatto nel mondo pre-digitale. Per esempio linkarli, o copiarli provvisoriamente nella memoria del vostro computer per la riproduzione in streaming, o remixarli. Queste cose sono legali o no? A che condizioni? Com’era prevedibile, è andata a finire che le persone che usano molto la rete hanno finito per chiedersi per quale ragione alcune o tutte queste cose – utili, semplici ed economiche – non si debbano potere fare; e i teenager nativi digitali hanno finito per farle.

I detentori dei diritti di sfruttamento di questi contenuti hanno reagito in modo aggressivo a quello che ritengono un abuso ai loro danni. Hanno chiesto e ottenuto ai legislatori un inasprimento delle pene per reati contro il copyright (soprattutto negli USA), e intentato cause legali per forti somme a ragazzi anche minorenni, probabilmente secondo la logica di “colpirne uno per educarne cento”. La discussione si è ideologizzata: esattamente un anno fa, l’11 gennaio 2013, Aaron Swartz, imprenditore di successo e brillante informatico, si è suicidato a 26 anni. Affrontava una causa penale per violazione di diritto d’autore (aveva scaricato un grande numero di articoli accademici protetti da copyright utilizzando il suo accesso in quanto studente del MIT).

Il copyright è importante, e l’apertura della consultazione della Commissione Europea potrebbe essere una buona notizia. Ma c’è un problema. La consultazione consiste in un questionario da scaricare, compilare e inviare per posta elettronica alla Commissione. Il questionario è disponibile solo in inglese; completarlo richiede parecchie ore (è lungo 36 pagine e comprende 80 domande); è scritto in linguaggio tecnico-giuridico; e rimarrà aperto solo 60 giorni, comprese le vacanze di Natale [Aggiornamento – dopo la pubblicazione di questo articolo la Commissione ha esteso la scadenza di 28 giorni, fino al 5 marzo 2014].

Che tipo di cittadino hanno in mente i funzionari europei che hanno progettato questa consultazione? A me viene in mente un solo tipo di persona con le caratteristiche adatte: i lobbisti professionisti che lavorano per le industrie del copyright – case discografiche, produttori cinematografici e simili. I lobbisti sanno l’inglese; conoscono le norme che cercano di modificare; e non hanno problemi a trovare il tempo e la voglia per un questionario di 80 domande, visto che – a differenza di noi cittadini comuni – sono pagati per farlo.

Non c’è niente di male se un lobbista esprime un’opinione nel corso di una consultazione. Ma è uno spreco: i lobbisti hanno già i loro canali. Hanno uffici a Bruxelles, gruppi di lavoro, conferenze di settore, soldi per comprare competenze e usarle per perseguire i propri fini. Una consultazione aperta a tutti, e che usa uno strumento pervasivo come Internet, potrebbe fare qualche sforzo in più per arricchire la discussione, allargandola a un numero il più alto possibile di cittadini comuni.

Perché questo non è avvenuto? Secondo Andersdotter, la Direzione Generale per il mercato unico (DG MARKT) tiene un profilo basso per evitare controversie e conflitti – ma questi sono inevitabili. “I cittadini europei sono in continua tensione con la legislazione sul copyright – dice Andersdotter – Per esempio, è comune che gli insegnanti di lingue straniere usino film in DVD o CD musicali come sussidi didattici, anche se acquistati privatamente [sì, è vietato – ndr]. Oppure, capita che un cittadino francese condivida un video musicale su YouTube con un amico tedesco, che però non riesce a vederlo perché gli autori francesi hanno fatto un accordo con YouTube e quelli tedeschi no. Molti europei, soprattutto giovani, hanno problemi di questo tipo.” E non si tratta solo dei giovani: a maggio del 2013 LIBER, l’associazione delle biblioteche europee per la ricerca, ha abbandonato il tavolo di lavoro di DG MARKT sul diritto d’autore, protestando che “le comunità della ricerca e della tecnologia sono state messe di fronte non a un dialogo, ma a un processo con uno sbocco già predeterminato” (fonte). L’ufficio del Commissario al Mercato Unico Michel Barnier non ha risposto alle nostre richieste di un commento.

Cosa possiamo imparare da questa storia? A mio avviso, le conclusioni più importanti sono tre.

La prima: le consultazioni online rischiano di giocare un ruolo antidemocratico. Possono venire presentate come un gesto di apertura e trasparenza (“è su internet! Tutti possono partecipare!”), ma in realtà offrire solo un nuovo canale di partecipazione agli interessi già rappresentati – una specie di “lato oscuro” della partecipazione online, come nella saga di Guerre Stellari. Per evitare questo, i cittadini devono esigere dalle loro istituzioni non solo di essere consultati, ma che le consultazioni siano progettate in modo da ottenere la massima diversità possibile di partecipanti.

La seconda: i cittadini possono intervenire per riportarle in carreggiata. Nel caso della consultazione europea del copyright, e in altri simili (ricordate ACTA?) una società civile culturalmente e tecnologicamente attrezzata si è mobilitata in difesa di un bene comune globale, la libertà e la salute dell’ecosistema Internet. Questa società civile ha prodotto organizzazioni come Wikimedia e Open Knowledge Foundation, e punti di ritrovo come 30C3. Insomma, c’è il lato oscuro ma ci sono anche i cavalieri Jedi (e se volete fare la vostra parte, andate su copywrongs.eu e rispondete alla consultazione)

La terza: lo spazio politico aperto da questi precursori è sovranazionale, e lo è con una naturalezza e un grado di convinzione che non si era mai visto. All’operazione per democratizzare la consultazione europea sulla riforma del copyright hanno collaborato persone di molte nazionalità, senza che nessuno sentisse il bisogno di fare riferimento alle posizioni di un paese o l’altro. Una nota interessante: la leadership tende ad essere in capo a giovani donne come Helgadottir (a 23 anni ricopre la carica di vice-membro del parlamento islandese – è una carica tipica dei paesi nordici) o Andersdotter.

(Sono affascinato dalla figura di Amelia Andersdotter. Eletta a soli 21 anni, ha dato prova di una grinta formidabile, acquisendo una competenza impressionante sulle convenzioni e i trattati internazionali che regolamentano l’Internet in Europa e diventando un punto di riferimento per tutto il movimento open source e in generale la scena hacker. Ha preso posizioni chiare e ben documentate a difesa della libertà di Internet, accettando anche qualche conflitto. Ha fatto del suo meglio per rendere l’Europarlamento aperto e accogliente nei confronti di hackers e attivisti, per esempio organizzando una proiezione del film su Wikileaks We steal secrets aperta al pubblico; e hackers e attivisti di tutta Europa la ricambiano circondandola di un affetto quasi palpabile, come se fosse – dopo Lady Ada Byron – una seconda Regina della Macchine. Potrebbe essere la prima di una nuova razza di leaders europei nativi digitali, cresciuti a hackathon e repliche di The Big bang Theory.)

La storia che ho raccontato in apertura sembra più una scena di Matrix che un episodio di cronaca politica europea. Eppure, a pensarci bene, questa è esattamente l’Unione Europea come la sognavano i padri fondatori: hackers, designers, attivisti ed esponenti della società civile, rappresentanti politici eletti di vari paesi europei che collaborano per allargare i canali di partecipazione democratica sulla politica dell’Unione. Se potessi dare un consiglio ai prossimi presidenti della Commissione, del Parlamento e del Consiglio Europeo, direi loro: state vicini agli hackers, coinvolgeteli, chiedete loro di aiutarvi a progettare le consultazioni online dell’Unione. Stanno costruendo l’agorà europea che voi non siete stati capaci di darci. E il loro codice è molto, molto meglio del vostro.

Alberto Cottica

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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