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Avviso ai naviganti: Internet non è una tecnologia. È una nuova visione del mondo

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Oggi a Roma, all’Auditorium Parco della Musica, Confindustria Digitale promuove il primo Italian Digital Agenda Forum (live streaming dalle 11): dopo gli interventi dei ministri Passera e Profumo, chiuderà i lavori il vice presidente della commissione europea Neelie Kroes, responsabile della Agenda Digitale europea. Abbiamo chiesto a due dei maggiori esperti italiani del tema, Stefano Quintarelli e Francesco Sacco, di fare un punto della situazione: ne è nato il dialogo che segue.

Stefano – Se guardiamo al Networked Readiness Index del 2012 appena pubblicato dal World Economic Forum, il primo paese in classifica, la Svezia, appartiene alla UE e anche il terzo. Tra i primi 10 ben 5 appartengono alla UE. Ma se allarghiamo l’analisi all’intera Unione Europea, non si può dire che il processo di costruzione di una Società dell’Informazione fino ad ora sia stato convergente.

Francesco – Facciamo un po’ di storia. I primi tentativi dell’Unione Europea in materia di Internet risalgono al 1999. La Commissione Europea aveva lanciato nel dicembre la eEurope Initiative con l’obiettivo di “accelerare la transizione dell’Europa verso una knowledge based economy” e ottenerne i benefici in termini di “maggiore crescita, più lavoro e un accesso migliore per tutti i cittadini ai nuovi servizi dell’information age”. Poi, all’interno della Strategia di Lisbona, era stata lanciata la eEurope Initiative con eEurope 2002, un piano di azione focalizzato su tre obiettivi:

  1. connessioni ad Internet più a buon mercato, più veloci e più sicure;
  2. investire nelle persone e svilupparne le competenze;
  3. stimolare l’utilizzo di Internet.

In seguito, è stata la volta di eEurope 2005, lanciata a giugno del 2002 che, da una parte, puntava a creare condizioni più favorevoli per lo sviluppo delle infrastrutture Internet – la “supply side” – e, dall’altra, a stimolare la “demand side” nella convinzione che la diffusione del broadband incentivazione all’uso di applicazioni e servizi sempre più avanzati su Internet e che, insieme, potessero sviluppare la Società dell’Informazione.

Quindi, con l’insediamento della nuova Commissione, l’obiettivo viene riorientato verso la crescita e l’occupazione, come accadde per l’intera Strategia di Lisbona, lanciando “i2010 – A European information society for growth and employment”. I suoi tre obiettivi principali diventano ancora più ambiziosi rispetto al passato e più centrati sull’ICT, puntando a creare una “società dell’informazione europea”:

  • realizzando un mercato unico europeo per l’economia digitale, capace di sfruttarne le economia di scala collegate ai suoi 500 milioni di consumatori;
  • intensificando la ricerca e l’innovazione nell’ICT;
  • promuovendo l’inclusione e la qualità della vita all’interno della società dell’informazione.

Nonostante questo sforzo di riorientamento, il bilancio di i2010, come dell’intera Strategia di Lisbona, è stato negativo.

S. – Adesso siamo alla “Digital Agenda for Europe”. Ad essere buoni, è il terzo tentativo per realizzare la Società dell’Informazione in Europa.

Ad essere cattivi, il quarto. È vero che è una delle sette iniziative “faro” di Europe 2020 e che la seconda Commissione Barroso ci ha scommesso tanto creando un commissariato per la “Digital Agenda” e affidandolo a un commissario come Neelie Kroes, di grande esperienza e di notevole peso, essendo anche vice-presidente della Commissione. Ma anche un Commissario di grandi qualità e che si spenda molto, come sta facendo la Kroes, non può molto in un contesto in cui non ci siano strumenti “forti” per vincere l’inerzia degli stati membri.

Ad oggi, la Società dell’Informazione pare più un auspicio che una realtà. L’Europa non è riuscita a creare né un mercato unico digitale europeo né dei campioni continentali da opporre ai giganti di Internet americani.

Sembra piuttosto che i progressi fatti abbiano accentuato le differenze tra i migliori e i peggiori, che sono ancora maggiori quando le si guarda da vicino, che non creato opportunità. E il nostro Paese ne esce in una posizione preoccupante. Nell’ultimo anno siamo passati dal 51° posto al 48°. Ma nel 2007 eravamo al 38°. Oggi Internet è una realtà economica. Se fosse una “nazione”, starebbe nel G8. Ma non si può pensare di accaparrarsi un pezzo di un’economia così grande solo con delle buone intenzioni.

F. – Eppure l’obiettivo dell’Agenda Digitale Europea è ambizioso e non si può dire sbagliato: riuscire a realizzare in Europa una “fiorente economia digitale” entro il 2020 per ridare smalto all’economia del Vecchio Continente e creare «vantaggi socioeconomici sostenibili grazie a un mercato digitale unico basato su Internet veloce e superveloce e su applicazioni interoperabili», che devono innescare un ciclo virtuoso di crescita, posti di lavoro, competitività e sostenibilità.

S. – Quel che manca all’Unione Europea è una propria visione di Internet. Nella definizione delle politiche pesano ancora troppo le telecomunicazioni e poco Internet. Ma Internet non è un “di cui” delle telecomunicazioni, è al di sopra. Non è un settore, non è una tecnologia, è una rivoluzione per l’intera economia. Confinarlo come un tema “tecnico” è riduttivo se non un errore. Può cambiare il sistema della tassazione, rendere il sistema economico più competitivo, migliorare la sostenibilità delle politiche sociali e rendere la politica più trasparente. È uno strumento che se usato con consapevolezza può essere un’opportunità. Ma se questa opportunità non viene colta si trasformerà in una minaccia.

F. – Sono d’accordo. Se l’approccio è circoscritto e gli obiettivi che riguardano Internet sono intrecciati con altri che pure sono importanti, rischiamo di non ottenere né gli uni né gli altri.

S. – Capisco che fissare degli obiettivi numerici per degli stati membri riottosi sia già un traguardo importante. Ma ipotizziamo per un attimo di raggiungerli. Non ci si può immaginare che solo per questo nasca una Facebook svedese o una Amazon finlandese. Saremmo una grande area “tecnologicizzata”, un grande mercato di sbocco ma non una realtà trainante per la società dell’informazione.

F. – Internet è un cambiamento di paradigma. Come l’avvento dell’industrializzazione ha travolto le economie agricole, così la digitalizzazione rimetterà in discussione i rapporti di forza tra le economie più avanzate. Se l’Europa rimarrà una somma di stati nazionali, con approcci particolaristici e iniziative episodiche, non riuscirà a contare.

S. – Il punto è questo. Non basta cambiare i numeri. Si deve cambiare il modo di pensare. Se ci guardiamo i piedi, come possiamo decidere dove andare? Dobbiamo rivisitare la nostra politica industriale e rivederla alla luce della digitalizzazione. Non per ampliarla ad un nuovo settore ma per reinventare i vecchi.

Milano, 11 aprile 2012STEFANO QUINTARELLI E FRANCESCO SACCO

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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