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Basta crisi: facciamo un New Deal italiano della cultura

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La Grande Stupidità italiana è sprecare – se non mortificare – la nostra Grande Risorsa: l’intelligenza. Lo dico senza mezzi termini, siamo un Paese (inteso come sistema) stupido. Abbiamo a disposizione risorse quali storia, cultura, gastronomia (che poi è cultura anch’essa), paesaggio, innovazione, idee. E non le mettiamo in rete tra loro. Le lasciamo disperse – soprattutto le intelligenze e le creatività. Sono intelligenze disoccupate.

Ok, non ci riusciamo. Non ci riusciamo proprio.

Allora vediamo se in mancanza di buone idee riusciamo almeno a ripescare qualcosa di buono fatto nel passato. Così, per avere qualche spunto…

Pensavo questo, qualche giorno fa, chiacchierando con mio padre. E lui mi fa “ma guarda che Roosevelt, nel ‘35 aveva capito benissimo cosa fare per cultura. Nel bel mezzo della grande crisi”.

Così vado a studiare. E in effetti…

Proprio nel 1935 – nel pieno della grande crisi economica – il presidente americano F.D. Roosvelt lanciò nell’ambito del New Deal il programma Federal Writers’ Project allo scopo di dare lavoro non solo a scrittori ma anche a storici, archeologi, geografi, critici d’arte, geologi, fotografi, cartografi, ecc. che la recessione aveva lasciato senza occupazione e, soprattutto, senza speranze per il futuro. In quattro anni vennero impiegati, con salari modesti ma con mansioni adeguate alle competenze di ciascuno, oltre seimila persone. Il primo e più importante risultato furono le straordinarie guide degli Stati USA nonché quelle più famose delle maggiori città americane

(le American Guide Series). La guida di New York ( “New York Panorama” del 1939) è ancora considerata la descrizione più ricca ed intelligente mai fatta della grande mela.

A questo e ad altri volumi contribuirono personaggi straordinari come il più grande degli storici urbani Lewis Mumford e scrittori divenuti famosi come John Steinbeck e Saul Bellow – entrambi Premi Nobel per la letteratura, il primo nel 1962 ed il secondo nel 1976 -. Per non parlare di autori come Nelson Algren, John Cheever, Ralph Ellison, Zora Neale Hurston, Studs Terkel, Margaret Walker e Richard Wright che proprio grazie a quel progetto potettero mettersi alla prova ed iniziare una storia di successo.

Si devono anche al Federal Writers’ Project le ricerche di America Eats (l’America mangia) che, solo in parte pubblicate, forniscono un’eccezionale documentazione sulle abitudini alimentari degli americani ed in particolare sulle persistenze delle culture di origine degli immigrati europei.

Ora, lancio una provocazione come Shoot4Change.

E se lo facessimo anche qui, noi? In fondo cosa serve? Magari un’amministrazione illuminata che capisca la portata di un’operazione del genere, una Regione o un Comune pilota per provare a coinvolgere le migliori menti disoccupate e i tanti cittadini che hanno voglia di raccontare il loro territorio: scrittori, fotografi, pittori, creativi, musicisti, archeologi.

Tutti impegnati in un grande racconto collettivo, orizzontale, democratico, multimediale. Un racconto promosso, sostenuto, finanziato dallo stesso territorio che chiede di essere raccontato.

Mi rivolgo al Ministro Franceschini, ad esempio. Ma anche al Ministero dello Sviluppo Economico (perché la cultura è un ottimo affare per l’Italia) e al Sottosegretario Giacomelli, perché si possano – perché no – sostenere start-up innovative che facciano della valorizzazione dei beni culturali e del patrimonio artistico l’asset del rilancio innovativo della nostra economia.

Io dico che si può fare. E’ stato già fatto. Se non riusciamo ad avere nuove idee per rilanciare la Cultura nel nostro Paese, almeno ispiriamoci a quelle del passato.

Non c’è scampo, il futuro passa anche attraverso (buone) idee vecchie.

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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Scritto da chef

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