Basta gufi! Ecco come l’Italia farà “Ritorno al futuro”

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Mancano pochi mesi al trentesimo compleanno di “Ritorno al futuro” e almeno dieci delle cose immaginate nella trilogia oggi esistono davvero.

Una scena del film “Ritorno al futuro”, di Robert Zemeckis (1985)

Immaginare il futuro, anche se soltanto in un film, serve insomma a costruirlo.

D’altronde è come quando, in un’ipotesi un tantino meno onirica, ottieni un nuovo posto di lavoro: l’HR manager di turno ti racconta quanto l’azienda crescerà e quali sono le straordinarie possibilità di carriera per te. Ti aiuta, insomma, a immaginare il tuo futuro, forse in maniera un po’ forzata ma di certo utile a far sì che ti impegni al massimo. Perché quel futuro, sebbene ipotetico, ognuno di noi vuole raggiungerlo.

Siamo fatti così, noi esseri umani: quando facciamo un sogno, vogliamo che si realizzi, e così i più bravi lo trasformano in un obiettivo, lo scompongono in progetti, lavorano giorno e notte per renderlo realtà.

Ma se il sogno ci viene tolto, se ci viene detto che non si potrà mai e poi mai realizzare, noi cosa facciamo? La stessa cosa che ci capitava da bambini davanti a un no secco: abbassiamo il capo, ruotiamo in avanti le spalle, ci chiudiamo in noi stessi e modifichiamo il sorriso in una smorfia di desolazione. E non alziamo più nemmeno un dito per inseguire il sogno. Perché non esiste più.

Ora, perché tutto questo ragionamento? Perché questa è la situazione che stiamo vivendo oggi in Italia.

Ci viene continuamente detto che non c’è futuro. Che studiare non serve, perché tanto la preparazione non è premiata.

Che cercare lavoro non serve, perché tanto il lavoro non c’è. Che lavorare non serve, perché tanto tutto finisce in tasse.

Che… che… che.Che, soprattutto, il PIL crescerà dell’1%, che poi diventa lo 0,1, l’anno prossimo e pure quello dopo.

Un racconto fosco, senza speranze, si somma a numeri foschi, questi davvero senza speranze.

Spostiamoci per un attimo a Tel Aviv o in Cile, in Lituania o in Silicon Valley o in Paesi con tassi di crescita ancora più alti: chi vive qui ha davanti la speranza, la possibilità, il sogno.

In un Paese che cresce non tutti realizzeranno i propri sogni, ma tutti hanno diritto di crederci. Di provarci. Di concorrere a quel successo che è la somma di tante storie.

E che è la storia dell’Italia degli anni 60 e 70: ci provavano tutti, perché il Paese cresceva e tutti avevano la possibilità di arrivare in vetta.

Metto insieme i due ragionamenti: vivere in un Paese destinato a migliorare le sue condizioni economiche e sociali regala gioia, energia, proattività.

Vivere in un Paese destinato a rimanere fermo restituisce fatica, sfiducia, immobilismo.

È circolare, in senso positivo da una parte, negativo dall’altra: più c’è crescita più si contribuisce alla crescita, più c’è stagnazione più la si favorisce, seppur involontariamente. Con questo non voglio gettare sconforto ma fare un invito a noi stessi, a chi ci governa, a chi investe, a chi crede – e io ne sono profondamente convinto – che l’Italia possa avere un futuro: un invito basato sull’innovazione.

“Tutti i nostri sogni possono diventare realtà, se abbiamo il coraggio di inseguirli” (Walt Disney)

Si deve lavorare su un film che contribuisca a creare un altro Paese: Ritorno al futuro 4, l’Italia degli innovatori. In cui ci siano dieci o anche cento cose che non tra trenta, ma tra cinque anni devono essere realizzate. Non è un pensiero folle, è quello che il mondo dell’innovazione sta già facendo e che libri come La Top 100 del 2015 di Startup Italia! raccontano alla perfezione.

La chiamata è allora per i protagonisti di questo mondo dell’innovazione: uscite dai gusci, spingete ancora più sull’acceleratore e fate sempre più rete, contribuite alla narrazione di un Paese che ce la fa e aggregate nuove persone ed energie.

Abbiamo il coworking, l’innovazione sociale, l’e-commerce, il design, la moda, lo sviluppo di App, l’ecosistema digitale, il turismo, l’agricoltura, l’enogastronomia, il fintech, il gaming, il mondo dei maker e la cultura.

Fabiola Giannotti, direttrice del CERN di Ginevra

Abbiamo una capacità di sperimentare, di fare e di far succedere che è da primato: ma da soli non bastiamo, dobbiamo contaminare e contaminarci, unire la l’Italia degli innovatori a quella delle grandi industrie, dei vecchi artigiani, delle piccole imprese e degli imprenditori un po’ scorbutici.

Non c’è una ricetta da Cotto e Mangiato, c’è la ricerca degli ingredienti e la loro sapiente miscelazione, la necessità di impastare anche a mano e l’attesa della cottura. C’è la condivisione delle idee, dei saperi, degli obiettivi: è così che nel futuro ci ritorniamo per davvero. Facendolo. E ricordandoci di farlo insieme.

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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Scritto da chef

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