Osvaldo De Falco è un giovane calabrese nato a Cariati, in provincia di Cosenza, esattamente trent’anni fa. Il suo percorso è simile a molti, fino a un certo punto, ma è diventato unico per la svolta che ha preso. Dopo la maturità classica e una laurea in Economia, decide per qualche mese di trasferirsi a New York, lavorando come cameriere insieme a migliaia di altri ragazzi italiani. Torna poi in Europa, per uno stage in Lituania, e poi ancora una volta in Italia, a Milano precisamente, città in cui lavora per due anni come consulente finanziario e che gli fornisce l’input per cambiare la sua vita. «Un giorno passeggiavo per via Torino» mi racconta al telefono, «e ho visto le clementine calabresi vendute a 3,90 euro al chilo, quando mio padre a Rossano la cede a soli 20 centesimi».
«Quindi è stato questo il punto di partenza?».«Sì, la mia avventura è cominciata così».
L’albero di clementine di Biorfarm
Avventura che ha alle spalle un’azienda familiare che produce clementine e l’esigenza visionaria di provare a cambiare le cose, mettendosi veramente in gioco. «È così che è nata la startup Biorfarm, tra la fine del 2013 e l’inizio del 2014. In otto mesi sono riuscito a concretizzare un sogno e mettere su un gruppo di lavoro importante. Non siamo in tanti, cinque in tutto, ma lavoriamo bene». Di che si occupa la startup? Semplice, permette di adottare alberi di clementine biologiche a distanza, seguirne fioritura, crescita e maturazione frutti, dopodiché ricevere a casa il rispettivo prodotto. «L’intento è specificato già nel nome che abbiamo scelto, Biorfarm, una sorta di termine italianizzato nato dall’unione di tre parole inglesi: “be your farm”, e cioè sii tu stesso la tua fattoria».
«Direi che le cose stanno andando benissimo. Siamo scelti da Expo e nominati Google ambassador. Inoltre da qualche tempo, oltre alle clementine, sul sito è disponibile anche uno dei migliori oli in circolazione, vincitore del Premio Gambero Rosso 2014 e 2015. L’utente, o meglio l’adottante, sceglie in totale libertà uno o più alberi di ulivo secolare, e riceve a casa l’olio della molitura. E non è tutto, fra poco entrerà a far parte del team anche un’azienda del Trentino Alto Adige, produttrice di una grande varietà di mele e pere».
Ordini anche dall’estero
«Chi sono i vostri clienti?» domando ancora a Osvaldo. «La maggior parte sono residenti in Lombardia e Lazio, hinterland di Roma e Milano per lo più. In seconda posizione invece toscani e romagnoli.
Pochi i meridionali. Qualcuno ordina anche dall’estero e moltissime sono le richieste inoltrate da donne. Al momento contiamo 300 clienti fissi, che non è un numero piccolo, se si tiene conto del legame duraturo che si instaura con l’azienda. Vorremmo naturalmente diventare più grandi, e pian piano ci stiamo riuscendo, ma vorremmo pure mantenere i nostri standard che sono elevatissimi». L’obiettivo è dunque di espandersi, ma non perdendo nulla in qualità. Il sogno di Osvaldo è quello di un’app dove sia gli agricoltori veri e propri possano dialogare e scambiare informazioni e sia gli agricoltori virtuali decidano, all’interno di uno shop online in continua crescita, quale prodotto farsi spedire a casa.
Anche la terra è tecnologia, anche la terra è un campo su cui sono applicabili genialità e innovazione
Sembra allora un paradosso, quello di Internet che restituisce un contatto umano. La digitalizzazione applicata all’agricoltura riconsegna alla persone qualcosa che sembrava perso. È quello che succede nelle corsie dei supermercati, dove tutto è sempre più impacchettato e anonimo, dove l’indicazione della provenienza di qualsiasi cosa è volentieri occultata oppure dispersa fra numerose altre indicazioni. L’origine passa in sordina e così pure la nostra attenzione. Non abbiamo tempo e forse neppure voglia di sapere da dove viene ciò che mangeremo. Non è solo un fatto alimentare, è anche una questione sociale per non dire filosofica. E la strategia di Biorfarm punta proprio su questo: far riavvicinare a qualcosa che prima ci apparteneva; investire della tradizione ma in modo nuovo; tornare alla terra, nel vero senso del termine, presupponendo però una visione differente. «Non lo trovi curioso?», chiedo sempre a Osvaldo. «Il digitale che restituisce una dimensione più genuina e concreta del cibo…». «Non lo trovo affatto un controsenso. Se davvero sono due cose opposte – le zolle da coltivare e Internet –, oramai non si possono più scindere. E per un motivo semplicissimo: anche la terra è tecnologia, anche la terra è un campo su cui sono applicabili genialità e innovazione. Per me sarebbe difficile immaginare di sfruttare i vecchi metodi di coltivazione e commercializzazione. Per non parlare del fatto che un contadino, in questo momento storico, è una figura sempre più digitalizzata. Digitalizzare anche l’agricoltura, quindi, promuoverebbe un eccezionale avvicinamento tra le persone, soprattutto quelle che vivono nelle grandi città, e uno degli elementi più importanti della vita, cioè il cibo». Per quanto stridente possa sembrare, è proprio il virtuale che oggi salva, rafforza e riconsegna dignità al materiale, a quegli alberi adottati a distanza e che ogni utente vede crescere, pian piano, dalla finestrella del proprio account.
ANGELA BUBBA