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La biosorveglianza deve rimanere al centro anche dopo il Coronavirus

Perché la bioserveglianza deve rimanere al centro anche dopo la ripartenza post-Coronavirus (e non è più una missione impossibile).

Biosorveglianza
Biosorveglianza

È un dato di fatto che il sistema di biosorveglianza attivato a livello nazionale e internazionale non abbia funzionato. E gli esiti della pandemia che ha travolto tutti i paesi del mondo sono sotto gli occhi di tutti. Per evitare che la tragedia si ripeta, è necessario cambiare paradigma di vigilanza, sfruttando processi, tecnologie e metodologie di intelligence consolidate e di provata efficacia. Ma senza l’impiego dell’intelligenza artificiale, si tratta probabilmente di una missione impossibile.

La minaccia biologica

I germi non rispettano le frontiere. Ed è altrettanto chiaro che, a prescindere dalla loro origine, possono avere un silenzioso, veloce impatto globale. Silenzioso, veloce e globale: parole chiave che risuoneranno spesso nelle prossime righe. Lasciamo da parte per un attimo il COVID-19, di cui tutti oramai sanno tutto, per sottolineare la portata della minaccia: oltre che naturale, il virus può anche essere un prodotto della bioingegneria umana.

Infatti, sebbene pochi paesi siano detentori di arsenali biologici (ufficialmente meno di 20), sviluppare, armare e diffondere rapidamente agenti biologici è incredibilmente facile. Non è facile invece distinguere tra una ricerca biologica legittima e una finalizzata alla produzione di agenti patogeni. Lo stesso team di ricercatori, le stesse attrezzature possono essere utilizzati per entrambi gli scopi. Probabilmente, a livello globale, la maggior parte dei laboratori farmaceutici possiede know-how e mezzi per produrre e diffondere (magari involontariamente a causa di un incidente) un’arma letale.

In poco tempo, questi superbatteri possono diffondersi silenziosamente e colpire uomini, animali, vegetali. Per agire non hanno bisogno di particolari strumenti: non serve un missile per trasmettere un virus al proprio nemico. Lo sanno bene i gruppi terroristici che ne hanno già fatto un ampio impiego per la loro efficacia: costo limitato, trasmissione semplice, impatto sociale devastante.

A questo scenario, già di per sé preoccupante, si aggiunga il fatto che, nella maggior parte dei casi, i virus hanno origine naturale.

Il sistema tradizionale di biosorveglianza

Le infrastrutture sanitarie, storicamente, non sempre si sono dimostrate in grado di reagire in modo adeguato alle minacce biologiche. Non si pensi solo al Rwanda che, a distanza di quasi 7 anni, sta lottando ancora per sconfiggere l’Ebola, ma all’effetto del COVID-19 sui sistemi di sanità pubblica più evoluti del mondo. Ed è proprio per contrastare il rischio biologico che esistono i sistemi di biosorveglianza, cioè quei processi che si occupano di raccolta, integrazione, interpretazione e comunicazione delle informazioni essenziali relative alle minacce potenziali per la salute umana, animale o vegetale.

Obiettivo di questi sistemi è fornire le giuste informazioni per consentire un migliore processo decisionale a tutti i livelli.

In linea teorica, quindi, la biosorveglianza rappresenta un mezzo per anticipare e prevenire il disastro di un evento patologico. La realtà di questo periodo dimostra che la teoria si è dimostrata drammaticamente lontana dalla realtà. Più che sottoporre a processo i sistemi che non hanno funzionato, ha senso ora concentrarsi sulle ragioni del fallimento, che sono tante e diversificate, ripensando completamente il paradigma di riferimento per arrivare meno impreparati in futuro.

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I sistemi tradizionali di biosorveglianza sono caratterizzati da un iter composto da molti passaggi. Burocrazia necessaria per validare scientificamente una potenziale minaccia. Ma l’allarme mondiale scatta dopo molte settimane dai primi sintomi, a pandemia già innescata.

Digital disease detection

Il mondo digitale in continua crescita rappresenta un’opportunità per individuare nuovi strumenti e soluzioni per affrontare il rischio biologico. Il “metodo digitale di rilevazione delle malattie” (la cosiddetta digital disease detection) si è sviluppato come conseguenza della crescente influenza delle tecnologie, e di Internet in particolare, sulla vita quotidiana. I dati relativi a malattie ed epidemie vengono ora diffusi anche attraverso social network, blog, chat room, le versioni online dei mezzi di informazione locali, ecc.

Questi flussi, seppur espressi in modo informale e non validati scientificamente, presentano un vantaggio strategico rispetto alle informative ufficiali degli organismi mondiali della sanità: si manifestano molto più rapidamente, poiché correlati direttamente al territorio in cui si sta manifestando una determinata sintomatologia, dunque nel contesto temporale e geografico di un potenziale focolaio, così da fornire elementi utili a supporto di scienziati e virologi per l’identificazione, l’analisi e la validazione dell’evento nelle sue primissime fasi.

Public Health Intelligence

Per evitare un’altra catastrofe, causata da un nuovo virus come il COVID-1019 (chiamiamolo così per spostarlo idealmente mille anni avanti rispetto la tragica attualità), è fondamentale quindi ripensare profondamente il paradigma degli attuali sistemi di biosorveglianza. L’attività di intelligence risulta davvero adeguata quando dimostra di produrre in tempi rapidi la conoscenza tattica e strategica a disposizione. Se l’intelligence arriva tardi, infatti, forse meglio parlare di cronaca.

Tornando al COVID-1019, serve un nuovo sistema di biosorveglianza, caratterizzato innanzitutto da “bioresponsività”, altrimenti la futura resilienza globale in caso di calamità non sarà tanto diversa da quella che stiamo sperimentando in questi mesi. Non serve reinventarsi la ruota, ma applicare le stesse logiche di chi produce intelligence per scopi di sicurezza e difesa nazionale. L’intelligence deriva dalle attività di raccolta costante, elaborazione in tempo reale, validazione e fusione di tutti i “segnali virtualmente utili”. I vari organismi di intelligence mondiali intercettano le comunicazioni, analizzano le immagini satellitari, studiano le fonti aperte, leggono i rapporti dei propri agenti sul campo… mantenendo una mappa sempre aggiornata della situazione e rivelando così potenziali elementi di novità.

Il nuovo sistema di biosorveglianza (da qui in avanti “Public Health Intelligence”) deve seguire la logica dell’intelligence militare ed essere dotato di moltissimi sensori per raccogliere e correlare in tempo reale dati da tutte le sorgenti utili. Sia dai flussi interni della sanità che da quelli della digital disease detection.

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Il nuovo sistema di biosorveglianza basato sulla Medical Intelligence Platform (MIP) di Expert System, acquisisce i dati dalle diverse sorgenti, li correla ed estrae in tempo reale “eventi sanitari” collegabili alla potenziale minaccia. E, per i dati validati dagli specialisti medici, gestisce l’immediata condivisione tra i nodi della sua rete.

Un esempio può essere utile: il sistema software dovrà essere in grado di collezionare il messaggio Twitter pubblicato dal signor Rossi di Casalpusterlengo (che si lamenta perché da giorni ha “tosse secca, respiro affannoso, febbre alta”), i referti di radiologia dell’ospedale di Codogno (che segnalano una significativa crescita di lastre ai polmoni), i certificati dei medici di base dell’ASL del distretto di Bergamo Est (da cui si evince la diagnosi di “dispnea”), le chiamate al 118, le informative dei veterinari (importante non dimenticarsi della febbre aviaria, il morbo della mucca pazza, e molte altre malattie animali trasmissibili all’uomo…), e così via.

Biosorveglianza

Il sistema software di Public Health Intelligence opererà uno screening H24, senza stancarsi mai. In dialogo continuo con i suoi sensori, sarà in grado di identificare segnali di “possibile allarme”. Quindi, applicando logiche appropriate (trend, algoritmi statistici, euristiche, ecc.) identificherà automaticamente gli “eventi attenzionati”, quelli da sottoporre alla fase di validazione. Ed è qui che entrano in gioco gli specialisti medici che potranno (supportati dal software di Public Health Intelligence) avviare indagini epidemiologiche e azioni di controllo sul territorio.

L’ultimo passaggio è l’analisi del rischio, fase in cui gli eventi validati verranno messi a fattor comune con altre informazioni per supportare il processo decisionale umano.

Perché l’Artificial Intelligence è indispensabile

L’efficacia del sistema di Public Health Intelligence è direttamente proporzionale alla quantità dei dati acquisiti ed alla capacità di filtrare con efficienza gli scenari da validare. In termini pratici, si tratta di processare senza sosta enormi volumi di dati alla ricerca di combinazioni di segnali di potenziale attenzione. Una sfida impossibile da affrontare con le tecnologie informatiche tradizionali.

Provate a cercare con un motore di ricerca il termine “dispnea”, tra le tante risposte fornite non troverete i documenti che parlano di “respirazione alterata” o i messaggi social in cui qualche utente dichiara “faccio fatica a respirare”. Per catturarli dovremo fare ricerche diverse (o combinare diversi parametri nella stessa ricerca), poi fondere i dati. E non solo per catturare dispnea, ma per tutte le altre malattie, sintomatologie, …

La presenza di falsi negativi (risultati di interesse ma non forniti tra le risposte) è incompatibile con la necessità del sensore del Public Health Intelligence che deve intercettare “Problemi respiratori” e con molti altri sensori che devono cogliere e classificare con la massima precisione altre sintomatologie.

Per catturare tutte le informazioni di potenziale interesse e costruire dei cluster (ad es. l’argomento “Problemi respiratori”) servono tecnologie in grado di gestire il linguaggio naturale, che simulano il processo di analisi del cervello umano. Questi dati sono già in possesso delle autorità sanitarie, le fonti web sono facilmente acquisibili. E le soluzioni tecnologiche di Artificial Intelligence per processare miliardi di dati in tempo reale, con capacità simili a quelle del cervello umano, sono consolidate, pronte all’uso.

Insomma, realizzare un sistema di Public Health Intelligence in grado di fornire un’allerta sanitaria precoce è possibile. Allora perché aspettare?

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Scritto da Andrea Melegari

Andrea Melegari è Senior Executive Vice President, Defense, Intelligence & Security di Expert System.

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