La pandemia da Coronavirus ha mostrato l’importanza di un binomio fondante nel settore dell’innovazione: la ricerca scientifica e le startup che la sviluppano. Edoardo Negroni, Managing Partner di AurorA Science, una investment company supportata da tre partners, Rottapharm Biotech, Italfarmaco e AurorA-TT.
Fondamentalmente, il vostro scopo è di andare a individuare e supportare le scoperte scientifiche?
Corretto. Lo scopo è individuare progetti promettenti focalizzati sullo sviluppo di nuovi composti, siano essi biologici, piccole molecole, terapia genica, cellulare o terapie avanzate in generale. Il progetto ideale è il connubio di diversi fattori: una scienza elevata, un team eccellente, una proprietà intellettuale solida e dati incoraggianti per supportare lo sviluppo clinico. Investiamo tipicamente in fase preclinica e accompagniamo il progetto nella fase clinica fino alla prova di concetto nell’uomo.
Con queste premesse, possiamo poi trovare il partner migliore per sviluppare il composto affinché evolva in un farmaco e possa andare sul mercato.
Il progetto perfetto non esiste ma esistono progetti che possono diventare vincenti. Per individuarli ed accompagnarli nello sviluppo, servono molti anni di esperienza e un forte track record. Per questo abbiamo creato Aurora Science, con la visione illuminata di due investitori, Lucio Rovati e Francesco De Santis (vicepresidente di Confindustria con delega alla Ricerca e Sviluppo) rispettivamente alla guida di Rottapharm Biotech e Italfarmaco, e con la conduzione di una management company, AurorA-TT, il cui chairman è Guido Guidi, ex capo di Novartis Oncology Europe e Novartis Pharma Europe.
Il management di Aurora TT é collegato a due società di gene therapy, Genenta Science e AurorA Science che insieme hanno raccolto 50 milioni € di capitale in diversi round di investimento, un elemento di distinzione nel panorama italiano. All’interno di Aurora Science abbiamo quindi riunito competenze con più di due secoli di esperienza cumulata, un fattore indispensabile al momento di individuare e sviluppare opportunità su cui investire capitali importanti.
Infatti il biotech è alla portata di pochi e per questo serve track record e esperienza in un settore in cui serve molta capacità, profondità di analisi e network.
Quale strategia mettete in atto per individuare i progetti su cui andrete a investire?
Con Aurora Science cerchiamo progetti dove possiamo implementare una visione imprenditoriale, con un supporto diretto alla gestione delle companies dove investiamo. Vogliamo assicurare che i nostri progetti si sviluppino velocemente e per questo dobbiamo necessariamente influire sulla gestione nell’ambito di un portafoglio concentrato su poche iniziative molto selezionate. Cerchiamo di trovare progetti che possano fare la differenza, sia in settori di nicchia, sia in settori più ampi con un approccio innovativo in termini terapeutici rispondendo chiaramente a bisogni non soddisfatti.
Facciamo scouting in tutta Europa, Italia inclusa, e questo ci permette di avere massa critica per avere molti progetti da selezionare.
Per quanto riguarda l’Italia, l’offerta di opportunità di investimento, siano essi startup o progetti, è molto povera perché limitata ad una fase molto early, con prove di concetto spesso deboli. La situazione negli altri paesi europei è ben diversa perché le start-ups, tipicamente in preclinica, raggiungono una maturazione maggiore proprio perché hanno avuto di più investimenti. Questo porta a prove di concetto più solide che fanno scattare più facilmente una decisione di investimento da parte di investitori professionali.
Accanto alla scienza, che deve essere di alto livello, cerchiamo un team molto performante. Il progetto perfetto non esiste, ma se c’è un buon team si riesce quasi sempre a fare una correzione di rotta. Purtroppo in Italia scarseggiano buoni team, è un dato di fatto.
La selezione dei progetti è molto forte: per individuare il target ideale di investimento, i progetti passano una fase di screening, una prevalutazione da parte del management team, l’analisi di un comitato tecnico con gli esperti delle due società farmaceutiche che sostengono AurorA Science e infine il board of directors dove siedono i rappresentati dei tre partners (investors e management company) per strategia e decisione di investimento.n I progetti possono essere esclusi in qualsiasi fase per selezionare solo quelli più promettenti.
L’Italia non ha, quindi, team sufficientemente preparati. Qual è la ragione di questa carenza?
Gli italiani vantano managers internazionali di primo livello, come per esempio Guido Guidi, ex head di Novartis Oncology e Novartis Pharma Europe, o Giovanni Caforio, attuale CEO di BMS, ed hanno anche molti managers nelle prime e seconde linee di big pharma e delle pharma italiane che potrebbero essere CEO di società Biotech.
Non c’è però nessuna motivazione perché questi manager facciano il salto e prendendo il rischio imprenditoriale legato alla gestione di una biotech company. Infatti, l’Italia ha fallito nel sostegno alla propria industria del Biotech, un settore strategico che ha bisogno dei capitali crescenti nelle diverse fasi di sviluppo di una start-up.
La buona produttività scientifica italiana non è supportata da una politica lungimirante di sostegno dei progetti più promettenti: l’attribuzione dei grants e altri fondi non dilutivi è infatti governata spesso da logiche lontane da criteri meritocratici e di business che non permette ai buoni progetti di emergere. Nei pochi casi di progetti validi, la responsabilità dello sviluppo è spesso affidata agli scienziati, che in rarissimi casi hanno una preparazione manageriale. Il risultato è facilmente immaginabile e i progetti buoni difficilmente emergono. La scienza e il management sono due professioni ben diverse e né l’una, né l’altra si possono improvvisare ma necessitano di formazione, esperienza e cultura.
Infine, ai ricercatori in Italia si richiede una continua produzione di papers scientifici per poter conseguire finanziamenti per la ricerca ma non esistono criteri di finanziamento legati alla creazione di start-up. Questo sbilancia fortemente il sistema verso una produzione di scienza di scarso valore senza estrarre il reale valore attraverso il finanziamento delle scoperte più meritevoli.
Quando si parla di investimenti nella ricerca, soprattutto di tipo scientifico, la discussione è sempre molto aperta fra pubblico e privato. Come si può trovare un bilanciamento?
In generale il pubblico deve investire nel technology transfer, sia con team di alta professionalità, sia con risorse come grants e fondi di technology transfer mirati alla creazione e sviluppo di strat-up fin dalla loro creazione. Una volta raggiunta una prova di concetto sufficientemente solida, il capitale privato può intervenire sia direttamente, sia indirettamente in fondi di venture capital in cui anche il pubblico può giocare un ruolo di supporto più o meno rilevante. È chiaro che più il progetto matura, più il pubblico cede al privato il supporto finanziario del progetto.
Pubblico e privato hanno anche due visioni distinte: il primo con il trasferimento tecnologico può accettare un profilo di rischio molto, quale quello iniziale della creazione di una nuova tecnologia caratterizzato da un’elevata mortalità (90-95%), con una logica simile alla ricerca di base. Nella fase di sviluppo la mortalità scende al 70%, ed il rischio diventa più accettabile per il privato. Qui l’approccio industriale e il capitale privato possono supportare più adeguatamente i progetti in un’area dove professionalità e l’esperienza fanno la differenza.
Lo scenario italiano potrebbe cambiare, in un contesto recente dove è stato creato un Fondo Nazionale dell’Innovazione di quasi un miliardo di euro gestito da CDP Venture Capital (fondo all’interno di Cassa Depositi e Prestiti) gestito da Enrico Resmini e un nuovo team. Il mandato è di investire in nuovi fondi venture nelle varie fasi di sviluppo delle startup (technology transfer, early e late stage). C’è un ritardo da colmare di almeno 10 anni, in parte recuperabile mettendo le competenze del settore intorno a un tavolo in una sorta di Stati Generali del Biotech Italiano; un sistema più efficiente potrebbe di conseguenza smobilitare i capitali privati che sono ancora in attesa di buone opportunità di investimento.
In che termini la vostra realtà ha rivoluzionato il mercato di riferimento?
Noi agiamo con una logica industriale dove la ricerca proviene da progetti accademici sul territorio e lo sviluppo viene centralizzato supportando le diverse realtà in cui investiamo. È un modello in cui crediamo e ci stiamo lavorando da quando abbiamo cominciato ad operare nel 2020. Con partners come Rottapharm Biotech, Italfarmaco e AurorA-TT, che conta su un track record di più di 15 farmaci lanciati in Europa, exit di successo, due biotech in terapia genica e skills che coprono tutta la filiera del biotech, si può fare la differenza e selezionare opportunità di alto profilo, senza vincoli territoriali e con la libertà di decidere il taglio di investimento secondo logiche industriali.
La novità sta nell’applicare una logica industriale a progetti anche in fase precoce, cercando di industrializzare lo sviluppo di nuove iniziative. Per questo bisogna avere molta competenza e abilità, dato che bisogna scegliere e sviluppare i migliori progetti in una fase in cui la mortalità è molto alta.
Parlando invece di futuro, quali sono i progetti su cui state investendo in questo momento, quelli che si possono rivelare, e dove pensate di arrivare?
Non abbiamo fatto ancora investimenti perché abbiamo iniziato l’operatività a gennaio. Stiamo valutando investimenti in quasi tutti i paesi europei. Vediamo molto bene tutto il mondo delle terapie avanzate basate su cell and gene therapy e basate su nuovi approcci RNA. Sono molto interessanti i progetti con nuovi approcci biologici, insomma cerchiamo approcci innovativi che possano cambiare il care delivery. Per tutti i progetti, ripeto, cerchiamo di trovare team eccellenti proprio perché possono dare le migliori garanzie di exit ed essere in futuro impiegati su nuovi progetti.
La nostra ambizione è la creazione di una realtà industriale in grado di attrarre nuovi investimenti e creare valore con capitale e talenti principalmente italiani.