Blockchain, ovvero la mano invisibile della fiducia

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La mano invisibile è la famosa metafora del ‘700 usata da Adam Smith per descrivere i benefici sociali derivanti dalle azioni quotidiane delle persone – a loro insaputa. E, oggi, come fare in modo che un comportamento egoistico da parte dei singoli soggetti possa arrecare beneficio alla società nel suo complesso? Nello specifico contesto del mondo online, come aver fiducia in una rete di persone, che potrebbero tradire, per trasferire valori in rete?

LA REALTA’ E’ DIFFERENTE

In un mondo dove regna la piena fiducia non avremmo bisogno di regole per far valere le nostre ragioni. Purtroppo la realtà è differente, e dove c’è tanta sfiducia nell’altro trovare l’accordo sulle regole diventa difficile. Oggi si può fare, con la tecnologia. Ma qual è l’infrastruttura che supporta questo scambio di valori? La blockchain, con le sue diverse opzioni tra chi preferisce più apertura, più sicurezza, più velocità, più decentralizzazione, o minor costo.

Gli utenti possono fidarsi di questo registro senza confidare nei singoli operatori. Così si consente a più parti di trasferire la proprietà di un valore (sia materiale sia immateriale), anche se non si fidano degli altri.

Si doveva decidere: realizzare un sistema gerarchico o no? Se gerarchico, chi mettere a regolarlo?

Sotto la spinta della crisi finanziaria del 2008, è emersa una proposta per trasferire valori senza una governance predefinita in una rete tra pari. A parte i problemi tecnici ed economici, la più importante scelta è quella del governo, ossia la decisione politica. Si doveva decidere: realizzare un sistema gerarchico o no? Se gerarchico, chi mettere a regolarlo? Una macchina o delle persone? E chi controlla il regolatore? Vecchi problemi da applicare alle nuove tecnologie.

Pochi apprezzano che il creatore, Satoshi Nakamoto, voleva essere solo un architetto del sistema, non anche il regolatore ex post. Anche Internet era iniziata con una rete p2p, poi sono nati i grandi nodi, Google, Facebook, etc., secondo la legge di crescita a invarianza di scala, studiata da Albert-László Barabási. Ora tutti i modelli coesistono. Per la blockchain si prevede lo stesso percorso, se resta una rete “stupida” allora le innovazioni le avremo agli estremi della rete. Cioè da noi, per noi.

BLOCKCHAIN E SPOSTAMENTO DEL RISCHIO

Cosa rischiamo? Quando parliamo di persone dobbiamo tenere in conto la loro privacy. Nelle reti in cui l’identità è conosciuta, un comportamento illegale, quando viene scoperto, è punito e si perde la reputazione. Qui si tratta di uno spostamento del rischio, dalla trasmissione alla custodia.

In altre parole, abbiamo risolto i problemi di trasferimento sicuro e senza intermediari, ora il problema della custodia diventa sempre più importante.È un tecnicismo ma è importante: La comunicazione è senza stato (stateless): il trasferimento dati è momentaneo, può avere esito positivo o negativo, in quest’ultimo caso si genera una nuova trasmissione che non dipende dalla precedente e non la cambia.– I dispositivi sono statici (stateful): essi devono conservare le chiavi in modo sicuro per un tempo indefinito, fino al successivo cambiamento di stato, che dipende dal precedente. Prima c’erano soggetti che ci trasferivano il valore e che ci conservavano il valore (chiamati tecnicamente custodian).

Ora con la blockchain abbiamo eliminato i rischi di trasferimento, ma abbiamo lasciato opzionale il rischio di custodia.

Nel puro ideale, anche la custodia ora può essere personale, infatti è consigliata. Oggi che c’è la possibilità di essere la propria banca, ossia di evitare di delegare altri soggetti alla tenuta del proprio conto, siamo lenti a decidere, pur con tanti scandali. Ciò comporta che il tempo di adozione di queste tecnologie sarà lungo, se non escono fuori davvero ottime e semplici interfacce informatiche.

LA CUSTODIA

Quindi, se deleghiamo la custodia dei valori digitali, rischiamo, poiché tutti gli scandali e i furti amplificati dai media sono stati causati da problemi di custodi infedeli o tecnicamente sprovveduti. Non esiste un custode decentralizzato per tutti. L’online ha abbassato le barriere di ingresso al mercato. Con il bitcoin si sono addirittura azzerate, o quasi.Chiunque, teoricamente, può essere una banca. Si vuol realizzare un nuovo servizio? Prima bisognava chiedere il permesso di collegarsi a un’infrastruttura già esistente con criteri e costi decisi centralmente.Abbiamo un’altra chance: ci si collega e si inizia a collaborare. L’abbiamo già sperimentato in tante altre industrie grazie a internet, ora anche con l’industria finanziaria. Ormai internet è diventata una piattaforma standard per comunicare, non ci facciamo più caso. Lo sarà lo stesso con la blockchain per trasferire valori. La tecnologia del trasferimento di valori è relativamente facile. Molto più difficile è cambiare la nostra cultura, l’abitudine di gestire il denaro che abbiamo a disposizione da centinaia di anni. Le banche ne approfittano, infatti diciamo ancora la frase “L’abbiamo messa in banca” come sinonimo di sicurezza. Ma dovrebbero approfittare di questi momenti fintech per cambiare. Prima la finanza aiutava le aziende di tecnologie. Ora il processo si è invertito: è la fiducia nella tecnologia blockchain che dà una mano (di nuovo invisibile, perché rappresenta la società nel suo complesso) all’industria finanziaria, se riuscirà a prenderla.

MASSIMO CHIRIATTI

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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