Si fa presto a dire banda larga, e meglio ancora ultralarga. Tutti vorremmo la fibra ottica, ovunque e fino all’ultimo miglio, ma per portarla tocca scavare. E scavare nelle grandi città costa, provoca disagi ai cittadini, comporta sempre il rischio di bucare qualche tubo dell’acqua o del gas che poi va riparato, e sono altri costi. È l’aspetto più “old” della New Economy, ma pesa eccome: circa l’80 per cento degli investimenti necessari per portare la banda larga sul territorio italiano (dove scavare è reso spesso ancora più complicato dai patrimoni archeologici che vanno tutelati a ogni costo) è legato a scavi e opere civili.
Ecco perché è di importanza strategica il tema del catasto elettronico delle infrastrutture, di cui si è parlato il 18 settembre a Bologna, in un convegno organizzato dalla Regione Emilia Romagna assieme a Laboratori Marconi spa (spinoff della gloriosa Fondazione Guglielmo Marconi) e Telecom Italia.
In sintesi, un catasto delle infrastrutture è una mappa navigabile del sottosuolo in grado di mostrare palmo a palmo dove stanno le tubature del gas e dell’acqua, dove corrono le linee elettriche e quelle telefoniche, dove sono i pozzetti e gli altri punti di accesso al sottosuolo, di che tipo sono cavi e tubi.
In questo modo, chi si appresta a posare la fibra ottica in una città sa in anticipo dove può scavare e dove no, e soprattutto come fare per scavare il meno possibile, riutilizzando canaline e tubature esistenti. Nella grande maggioranza dei casi, infatti, niente impedisce di piazzare il cavo in fibra ottica a fianco della linea elettrica che alimenta i lampioni, o persino (almeno per le dorsali) farlo correre assieme alle tubature dell’acqua.
Così diventa più facile e rapido pianificare gli scavi, e calano drammaticamente costi e tempi. Non a caso il governo Monti aveva inserito il catasto delle infrastrutture tra i punti chiave dell’Agenda Digitale, anche se poi il tema è rimasto fuori dal Decreto del Fare.
Agenda o no, per fortuna alcune amministrazioni locali si stanno dando da fare. I primi a mettersi all’opera sono stati i Comuni di Bologna e di Riccione, che con l’aiuto dei Laboratori Marconi hanno realizzato il proprio catasto del sottosuolo. Lo hanno fatto usando un software sviluppato per l’occasione dai Marconi Labs, Invento, che permette di costruire passo passo un catasto e metterlo a disposizione di aziende e amministrazioni sul territorio. Prima viene il censimento di gasdotti, reti idriche e fognarie, reti per illuminazione pubblica e teleriscaldamento, reti di telecomunicazioni.
Poi l’uniformazione dei dati (spesso in formati e sistemi di riferimento diversi). E infine la sistemazione su una mappa navigabile e interrogabile via web.
In questo modo amministratori e imprese possono accedere a una mappa dettagliata delle infrastrutture nel sottosuolo, e usarla per pianificare i lavori di posa della rete, individuando facilmente le opportunità di riutilizzo di condutture esistenti. E anche il singolo operatore che sta lavorando “sulla strada” può consultare la mappa su un tablet, andare a colpo sicuro alla snodo di rete che sta cercando, eventualmente aggiornare i dati se quello che trova sottoterra non corrisponde a quanto documentato nel catasto.
Altri Comuni seguiranno, e la Regione Emilia Romagna già guarda a un catasto federato che riunirà in un’unica mappa i dati provenienti dai diversi comuni. Le cose si muovono anche in altre regioni: con una legge regionale approvata a metà dello scorso anno, la Lombardia ha imposto la creazione un catasto georeferenziato delle infrastrutture nel sottosuolo. Monza e Varese sono già all’opera (anche in questo caso usando Invento), le altre città seguiranno perché entro il 2014 si dovrà arrivare a un catasto unico regionale.
Si è mossa anche la Regione Toscana, che sta chiedendo a tutti gli operatori la mappa delle loro reti, per costruirne una unica. E ha realizzato una mappa delle proprie infrastrutture Telecom Italia, aperta ad altri operatori che vogliano aggiungervi le proprie. Nel frattempo proprio Telecom Italia ha fatto squadra con i Laboratori Marconi per offrire il loro software in modalità cloud sulla Nuvola Italiana a tutte le amministrazioni interessate.
Certo, costruire un catasto completo delle infrastrutture è un lavoro mastodontico, come hanno spiegato i partecipanti all’incontro di Bologna. Provate a immaginare cosa significhi recuperare i dati sulle tubature del gas o sulla rete elettrica in un tipico comune italiano. Nella maggior parte dei casi si tratta di mappe cartacee, vecchie e malamente aggiornate, con scale e simbologie diverse, archiviate in polverosi faldoni. Aggiungiamo che i dati in mano ai Comuni rigurdano più che altro le autorizzazioni (a scavare, si intende) che hanno concesso nel corso dei decenni.
Ma le vere mappe su cosa poi è davvero finito nel sottosuolo le hanno le aziende di servizi, che non sempre le forniscono volentieri. Per questo, spiegano ai Laboratori Guglielmo Marconi, è importante partire presto, e assicurarsi che almeno da ora in poi tutti i nuovi scavi, tubi e cavi finiscano su mappe digitali e in formati standard. Quanto al passato, recuperare quelle montagne di carta e costruire un catasto elettronico nazionale completo richiederà anni: è a sua volta una “grande opera”, ma è un passaggio quasi obbligato verso la rete di nuova generazione.