«Oggi in Italia se vuoi puntare sul video con una società di produzione, di fatto devi essere più un’artista che un imprenditore». Così ha dichiarato Lorenzo Mieli, a capo di Fremantle Media Italia, intervenendo al meeting promosso da Corecom Lazio venerdì 27 settembre. Una dichiarazione che mette in luce le difficoltà strutturali (oltre che di visione) nelle quali si trova il mercato legato all’audiovisivo. Un mercato che fa fatica ad inserirsi in un sistema concorrenziale: da un lato la difficile sostenibilità economica, con una soglia di accesso molto alta per poter sperimentare ed investire. Dall’altro lato il tema legato a diritti e regolamentazione, la cui mancanza di definizione – è emerso nel corso del convegno – va a danneggiare soprattutto le piccole e medie imprese.
Detto questo, è pur vero che il video online sta vivendo una nuova generazione di impulsi, sostenuto a livello mondiale (ed anche in Italia) dallo sviluppo esponenziale di social network e dalla fruizione in mobilità, grazie al boom di smarthone e tablet. E così si riescono a cogliere ancora meglio le ottimistiche previsioni di Cisco, che già tre anni fa aveva stimato come entro il 2014 il 90% del traffico IP sarebbe stato caratterizzato da video online.
Una ricerca promossa da Pixability, società americana specializzata in video marketing, ha indagato la diffusione del video online su YouTube da parte dei 100 brand appartenenti alla classifica Best Global Brands di Interbrand. E i dati appaiono incredibili se solo paragonati a pochi anni fa: il 99% dei brand ha adottato YouTube come proprio canale di comunicazione video e la crescita di anno in anno è del +73%,
Pixability ha rilevato che i tutti i 100 maggiori brand globali hanno una forte presenza su YouTube: soltanto uno non ha un canale dedicato, Addirittura il 56% dei brand ha dieci o più canali su YouTube, differenziando l’offerta e verticalizzando la fruizione.
Ma attenzione: il 37% di questi canali è lasciato senza nuovi contenuti anche oltre i quattro mesi. Ad oggi le 100 aziende monitorate hanno pubblicato complessivamente 258mila video su 1.378 canali, per un totale di 9,5 miliardi di visualizzazioni.
Il primato per il numero di video va a MTV, che ne ha prodotti 23.756; seguono Thomson Reuters, Disney, Google e Samsung. Il primato per numero di visualizzazioni spetta invece a Disney. Tasto dolente però resta la distribuzione, la diffusione: “Molti brand – si legge nella ricerca – non riescono a raggiungere il proprio target perché si concentrano troppo sugli aspetti di produzione del video e troppo poco sugli aspetti legati alla sua diffusione, con il risultato che più della metà dei video delle aziende considerate ha meno di 1.000 views”.
Insomma, si osa di più e con costi più contenuti, ma siamo ancora lontani da una migrazione tv-rete e soprattutto da una valorizzazione efficace dei video prodotti. Dalla ricerca alle azioni: in questo post vorrei soffermami sulle 7 buone pratiche che Pixability ha individuato per poter operare e che si possono evincere dalle attività dei 25 brand “top performer” su YouTube. Una sintesi delle 7 azioni è stata anche riportata da Eventreport.it:
Azione 1: produrre molti video. I brand che hanno più successo su YouTube (Disney, Google, Sony) sono quelli che producono un elevato numero di prodotti. Si tratta spesso di piccole produzioni video, ma costanti nel tempo e proposti con una linea strategica di contenuti ben definita.
Azione 2: ottimizzare i video per la ricerca. YouTube è soprattutto un motore di ricerca, e occorre quindi fare in modo che il proprio video sia trovato facilmente dagli utenti. Le regole dell’ottimizzazione di un video sono diverse da quelle del tradizionale SEO per i siti, e occorre padroneggiarle per avere buoni risultati di visualizzazione.
Azione 3: produrre diversi tipi di video a seconda dei diversi messaggi e in base ai diversi “pubblici”. Pur mantenendo una coerenza di brand, i video si devono differenziare per rispondere alle diverse esigenze del target: video lunghi e brevi, di maggiore o minore qualità tecnica, con contenuti che vanno dalla brand awareness ai testimonial fino al customer service.
Azione 4: integrare i video alle campagne di marketing. I maggiori brand affiancano in modo sinergico i video alle rispettive campagne di marketing anche tradizionali, integrando di fatto YouTube nelle strategie del brand. In occasione di particolari eventi, risulta efficace per alcuni brand produrre contenuti esclusivi in logica “limited edition” per una parte selezionata del target.
Azione 5: assicurarsi che i video veicolino il nome del brand. Questo punto contraddice alcune considerazioni passate, ovvero quelle che hanno da sempre sostenuto come un brand si debba mettere tra parentesi, accantonare per favorire uno scambio più autentico all’interno della community. In realtà è importante che il brand sia visibile non soltanto nel contenuto del video, ma anche nei metadati, nel titolo, nella descrizione e nei tag.
Azione 6: investire su più contenuti è meglio che investire su più canali. Diventa fondamentale presidiare gli strumenti attivati, e quindi riuscire a dialogare con costanza. Ecco allora che disporre di un elevato numero di canali su YouTube non significa necessariamente che i video avranno più views.
Azione 7: coinvolgere la propria community attraverso i social media. Così come è necessario integrare le attività di video marketing con quelle di marketing offline, è altrettanto importante integrarle con quelle di social media marketing per amplificare la portata dei video attraverso condivisioni, like, e tweet.
Di tutto questo avremo occasione di parlare nel nuovo meeting delle web tv e dei media digitali Punto it: le Italie digitali fanno il punto, che si terrà all’Università di Bologna venerdì 29 e sabato 30 novembre (ingresso gratuito ma inscrizione obbligatoria e valida fino ad esaurimento posti).