Brexit, 10 domande e 10 risposte su territori ancora inesplorati

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Dato il carattere inatteso dell’esito referendario del 23 giugno scorso, né i leader britannici né europei sono apparsi preparati a questo evento epocale. Queste 10 domande e risposte rivelano quali sono gli scenari possibili di un’Europa senza il Regno Unito.

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Che valore ha il risultato del referendum del Brexit?

Il referendum britannico sul c.d. Brexit (exit of Britain dall’Unione europea) non vincola il parlamento del Regno Unito ad alcuna decisione. Il responso del referendum ha solamente un valore consultivo. Infatti, con il EU Referendum Act 2015 che ha convocato la consultazione popolare è stato proprio il parlamento britannico a decidere che ogni risultato non sarebbe stato vincolante. Insomma, il parlamento inglese resta sovrano.

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Dobbiamo comunque aspettarci qualche immediata conseguenza legale dalla vittoria del “Leave” della settimana scorsa?

Da un punto di vista giuridico, nonostante il risultato del referendum, il Regno Unito mantiene inalterato il proprio status di membro dell’Unione Europea.

Inoltre, data la natura meramente consultiva del referendum, il diritto dei cittadini dell’Unione Europea di risiedere e lavorare nel Regno Unito, così come garantito dal diritto dell’Unione Europea, resta inalterato.

Allo stesso tempo è anche vero che, teoricamente, il parlamento britannico potrebbe adottare provvedimenti legislativi in contrasto con il diritto dell’Unione Europea. Questo porterebbe quasi certamente ad un inasprimento dei rapporti con gli altri paesi membri dell’UE e date le catastrofiche conseguenze che questo comporterebbe, questo scenario sembra fortemente inverosimile.

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I cittadini dell’Unione Europea che attualmente vivono e lavorano nel Regno Unito o, viceversa, i cittadini del Regno Unito che attualmente vivono e lavorano in uno dei paesi dell’Unione Europea, rischiano di perdere il loro diritto alla libera circolazione?

Senza alcun dubbio tutti i cittadini europei e britannici che vivono e lavorano nel Regno Unito o in uno degli altri 27 stati membri continueranno a godere di tale diritto fino a quando un accordo sull’uscita non verrà raggiunto.

Anzi, lo scenario futuro più probabile è che la situazione riguardante questi cittadini residenti non subirà cambiamenti.

A tal proposito, durante la campagna referendaria è stato ben argomentato che – in virtù del diritto internazionale – i cittadini europei, inclusi i cittadini britannici residenti negli altri paesi membri, che hanno esercitato il loro diritto alla libera circolazione non possono essere deprivati dei loro diritti già acquisiti. Ad ogni modo, questa affermazione sembra, dal punto di vista giuridico, quantomeno dubbia e sarebbe opportuno che il futuro accordo UK-EU chiarisse la questione. Nel frattempo alcune iniziative cittadine stanno nascendo al fine di tutelare la cittadinanza europea già acquisita al fine di renderla irrevocabile.

La scheda del referendum

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Come fa uno stato membro a lasciare l’Unione Europea?

La procedura di recesso per uno stato membro è descritta, seppur a grandi linee, dall’articolo 50 del Trattato sull’Unione europea.

Questa norma dispone l’unico modo valido per uno stato membro di recedere dall’Unione. L’articolo 50 non è mai stato attivato prima d’ora ed è stato inserito nel Trattato dell’Unione europea soltanto nel 2009. Non vi è pertanto alcun precedente a cui poter fare riferimento.

Al fine di poter iniziare la procedura, lo stato che ha deciso di recedere deve notificare agli altri stati membri la sua intenzione di lasciare l’Unione. Una volta che questa notifica ufficiale è stata fatta, un accordo deve essere concluso entro due anni. Al termine del periodo di due anni, e in assenza di un accordo per estendere questo periodo, lo stato che ha notificato la sua intenzione cessa completamente di essere uno stato membro dell’Unione. Ad oggi, il Regno Unito non ha ancora notificato la sua intenzione di lasciare l’UE e così facendo il periodo di due anni non è ancora cominciato a decorrere.

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Quando il Regno Unito deciderà di attivare la procedura dell’Articolo 50?

Questo è sicuramente la questione più importante da risolvere nel breve periodo. Inizialmente, David Cameron promise che avrebbe cominciato la procedura prevista dall’articolo 50 immediatamente dopo il voto, ma durante il suo discorso di dimissioni ha annunciato che questo sarà un compito per il suo successore.

Il Consiglio europeo del 29 giugno, che si è riunito per la prima volta senza il Regno Unito, ha espresso la richiesta di iniziare la procedura immediatamente. Ad ogni modo, da un punto di vista giuridico, l’UE non può forzare il Regno Unito ad attivare la procedura dell’articolo 50. Lo scenario ad oggi più plausibile è che il nuovo governo del Regno Unito (il primo ministro David Cameron è uscente) decida di far scattare la procedura a seguito del suo insediamento il settembre. Il presidente della Commissione europea Jean-Claude Junker ha dato al nuovo primo ministro britannico entrante ventiquattro ore (qualora di tratti di un politico che ha fatto campagna per il Leave Vote oppure due settimane qualora si tratti di un fautore del Remain Vote). Ad ogni modo, non è chiaro se per arrivare a tale momento sarà necessario convocare elezioni generali e/o indire un secondo referendum.

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La decisione del Regno Unito di lasciare l’UE ha generato molta incertezza riguardo il futuro sia del paese stesso (vedi la Scozia che rifiuta di uscire dall’Unione) che dell’Unione. Ipotizzando che l’articolo 50 venga attivato, il Regno Unito potrebbe poi tornare sui propri passi?

L’articolo 50 non esclude esplicitamente lo scenario nel quale un paese che ha attivato la procedura di recesso, nel corso delle trattative per lasciare l’Unione, cambi intenzione. In altre parole, il “divorzio” dovrebbe essere considerato definitivo soltanto quando l’accordo di recesso diventa effettivo, oppure quando il periodo di due anni previsto dall’articolo 50 è trascorso senza che nessun accordo o proroga del termine sia venuta alla luce.

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Ipotizzando che l’articolo 50 venga attivato, quanto tempo ci vorrà affinché un accordo di recesso venga raggiunto?

A meno che l’UE a ventisette stati accordi un’estensione del periodo di due anni previsto dall’articolo 50, l’accordo di recesso deve essere concluso entro il periodo previsto. L’accordo di recesso dovrà essere accompagnato da un altro accordo il quale disciplini le future relazioni UK-EU.

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Cosa succede se nessun accordo sul post-Brexit viene raggiunto?

Brutalmente, se nessun accordo sulle future relazioni UK-EU venisse raggiunto allora questi due dovrebbero basare le loro relazioni secondo i principi del diritto internazionale e le regole dettate dalla Organizzazione Mondiale del Commercio. Il risultato concreto più probabile sarebbe l’emersione di nuove barriere commerciali di natura tariffaria, doganale e ostacoli non tariffari. Ad esempio, l’imposizione di tariffe per l’import e l’export o il dovere di conformarsi a diversi standard normativi per la salute e la sicurezza. Barriere fiscali e regolamentari renderebbero il commercio Oltremanica quanto mai oneroso.

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Ipotizzando che l’accordo “post-Brexit” venga raggiunto, quale potrebbero essere le sue caratteristiche principali?

Possiamo distinguere due tipi di accordo possibili:

Uno è il “modello Norvegia” tramite l’accesso all’accordo sullo Spazio Economico Europeo. Questo tipo di accordo consentirebbe al Regno Unito di continuare ad avere accesso al mercato unico ma questo significherebbe continuare ad accettare i vincoli del diritto europeo, incluso il diritto alla libera circolazione delle persone, continuare a contribuire al budget europeo e continuare ad essere soggetti alla giurisdizione di una corte sovranazionale, la Corte di Giustizia dell’Unione europea. Sarebbe tuttavia possibile per il Regno Unito derogare ad alcune norme EU, in particolare a quelle sulla libera circolazione delle persone (grazie ad una ‘safeguard exception’), ma questo non sarebbe sicuramente a costo zero. Gli altri Paesi potrebbero introdurre misure di ritorsione contro il Regno Unito, imponendo dazi doganali sulle sue automobili esportate (un paio di milioni all’anno) o sui famosi servizi e prodotti finanziari.

L’altro invece è il “modello Canada”. Un accordo di libero scambio commerciale che consentirebbe al Regno Unito di non accettare alcuni obblighi del diritto europeo, ad esempio il diritto alla libera circolazione delle persone, ma in compenso avrebbe un accesso molto più limitato al mercato unico. Questa opzione sarebbe molto meno interessante e più onerosa per l’economia britannica. Questo sarebbe particolarmente problematico per il suo settore finanziario, dato che in questo caso gli enti finanziari basati in Regno Unito perderebbero il cosiddetto “Passaporto europeo”. Questo consente loro di operare sull’intero territorio europeo pur essendo stabiliti soltanto in un Paese, il Regno Unito.

David Cameron

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Alla fine, il Regno Unito potrebbe non lasciare mai l’Unione europea?

Da un punto di vista giuridico è possibile. Il pulsante d’emergenza dell’articolo 50 potrebbe non essere mai premuto. Non è difficile immaginare, soprattutto a seguito della rinuncia di Boris Johnson, paladino del Leave Vote, a candidarsi primo ministro, una nuova elezione politica dove a trionfare sarebbe un partito del Remain, evitando così l’attivazione della procedura di recesso. Oppure, una maggioranza degli attuali parlamentari britannici potrebbe decidere che date le nuove circostanze economiche e/o politiche è opportuno indire un nuovo referendum. Ancora, è possibile che il Regno Unito cambi idea anche in seguito alla notifica di uscita prevista dall’articolo 50 e prima che un accordo di recesso divenga effettivo. Insomma, gli esiti del referendum ci hanno portato in un campo inesplorato del diritto europeo e gli scenari possibili sono diversi ed imprevedibili.

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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