Già il fatto che gli amici chiamino te Paolino e l’altro Paolone potrebbe non andarti giù. Se poi quando passi nel gruppo proprio nessuno ti nota, allora potrebbe davvero venirti qualche complesso di inferiorità. Probabilmente il neutrino non è sensibile a questi problemi, ma anche se lo fosse in questi giorni si sta prendendo una bella rivincita, dato che oggi tutti parlano di lui e continueranno a farlo anche in futuro, perché potrebbe costituire la nuova frontiera delle comunicazioni ed aiutarci a vivere in un mondo più sicuro.
Credits: www-sk.icrr.u-tokyo.ac.jp
Oggi neutrino significa Nobel. È infatti notizia recente che il premio Nobel 2015 per la fisica è stato assegnato agli scienziati Takaaki Kajita e Arthur B. McDonald.
La scoperta che li ha portati nel pantheon della fisica riguarda proprio il neutrino, uno dei microscopici mattoni della materia. Una particella elementare che entra nel vocabolario della fisica moderna con un “battesimo” tutto italiano. Erano infatti i primi anni ’30 del secolo scorso quando nei laboratori di Via Panisperna a Roma Enrico Fermi sviluppava una nuova teoria per spiegare delle reazioni nucleari spontanee nelle quali elementi chimici radioattivi si trasformavano in altri (il decadimento beta), e includeva in essa una particella priva di carica elettrica e quindi neutra. Come il neutrone, altra particella scoperta solo pochi anni prima, che era però senz’altro molto più “in carne” – con una “massa” molto più grande, per essere precisi. Pare quindi che il gioco di parole sia venuto spontaneo in una conversazione tra Fermi e Amaldi: il neonato era elettricamente neutro come il neutrone, ma certamente molto più leggero.
Quindi fu chiamato neutrino.
Se il neutrino ha una massa, i fisici prendono il Nobel
Kajita e McDonald hanno determinato, grazie ad una serie di osservazioni sperimentali, che il neutrino ha una massa. Piccola, molto piccola, così piccola che per scriverla in chilogrammi occorre mettere 36 zeri dopo la virgola. Può sorgere quindi spontanea la domanda sul perché un oggetto così piccolo sia così importante da meritare tanta attenzione, fino addirittura a diventare protagonista del Nobel. E un domani di tecnologia d’avanguardia.
Certo, in anni recenti i neutrini sono diventati famosi nell’opinione pubblica per un fantomatico tunnel che avrebbe dovuto portarli da Ginevra al Gran Sasso – frutto della creatività di un comunicato dell’ufficio stampa dell’allora ministro Mariastella Gelmini – ma in realtà essi sono così studiati perché sono dei messaggeri.
Messaggeri rapidissimi che letteralmente non si fanno fermare da nessuno (o quasi) e possono quindi portare informazioni assai preziose per capire come è nato e come è fatto il nostro universo.
I neutrini interagiscono in maniera debolissima con l’ambiente che li circonda e possono attraversare la materia senza essere fermati.
Basti pensare che cento milioni di miliardi di neutrini attraversano ogni secondo ciascuno di noi e per rivelarne uno solo con un rivelatore delle dimensioni di un corpo umano dovremmo aspettare qualcosa come cent’anni.Quindi, dato che da quel che sappiamo neutrini furono creati un istante dopo il big bang e che queste particelle si muovono alla velocità della luce praticamente indisturbate, molti di quei neutrini primordiali sono ancora in circolazione e sono messaggeri che ci portano notizie di quanto accadde quindici miliardi di anni fa.I neutrini si possono però produrre anche sulla terra, ad esempio in acceleratori di particelle e reattori nucleari. Sono proprio queste sorgenti artificiali che potrebbero aprire la strada ad usi pratici e renderli messaggeri non solo del passato, ma anche del futuro.
I neutrini ci dicono se qualcuno prova costruire una bomba nucleare
Messaggeri di cattive intenzioni, ad esempio. I neutrini prodotti in un reattore a fissione potrebbero fornire uno strumento assai efficace per controllare e dissuadere la proliferazione nucleare a fini bellici. Un moderno reattore a fissione può infatti essere trasformato in una sorgente di combustibile, plutonio 239, per ordigni nucleari. Ciò è proibito dalle convenzioni internazionali, ma il rischio della proliferazione esiste, e l’agenzia internazionale dell’energia atomica dell’Onu (Iaea) deve controllare che ciò non accada. La recente vicenda dell’accordo sul nucleare iraniano dimostra quanto questo problema sia preso sul serio dalla comunità internazionale. Il monitoraggio del flusso di neutrini che esce da un reattore fornisce agli ispettori una strumento efficace per verificarne l’uso anche a distanza e costituisce una firma inequivocabile sia della produzione illecita di combustibile per ordigni che dell’eventuale rimozione del plutonio dal reattore. Iaea e vari gruppi di ricerca stanno attivamente lavorando su questo progetto.
I neutrini possono farci predire i terremoti?
E c’è anche chi studia i neutrini come messaggeri del sottosuolo. Si vorrebbe infatti usare i neutrini per analizzare gli strati profondi della terra e cercare cavità sotterranee con densità diverse da quella media della crosta terrestre, che potrebbero contenere quindi depositi di minerali o petrolio. O per rilevare l’eventuale accumulo di carica elettrica vicino alle faglie, che si pensa avvenga prima dei terremoti e – se misurato – potrebbe essere usato per predire l’attività sismica. Il problema qui però è che, per raggiungere questi obiettivi, occorrerebbero fasci di neutrini assai più potenti di quelli oggi disponibili – e soprattutto trasportabili, il che rende per il momento questa tecnica praticamente irrealizzabile.
I neutrini poi potrebbero funzionare anche per trasmettere ancor più velocemente l’informazione.
Se si potesse immagazzinare informazione nei neutrini così come facciamo nelle onde elettromagnetiche e se fossimo poi in grado di leggerla potremmo ad esempio far viaggiare l’informazione attraverso la terra invece che girarci intorno, o comunicare con sottomarini in profondità, laddove le trasmissioni tradizionali non arrivano. In un esperimento negli USA un gruppo di ricercatori ha trasmesso la parola “neutrino” ad una distanza di circa un chilometro attraversando uno spessore di oltre duecento metri di roccia, usando proprio un fascio di neutrini. Anche se la velocità di trasmissione era molto bassa, circa 0.1 bit al secondo, si tratta di una dimostrazione di principio promettente. Ma, come sempre quando si parla di neutrini, la realizzazione di qualcosa di uso pratico richiederà prima notevoli progressi in termini di sorgenti e di rivelatori, che al momento sono di dimensioni e complicazioni rilevanti.
Quindi, per ora, i neutrini rimangono appannaggio della fisica di base e dell’astrofisica, che li usa per studiare eventi tra i più violenti e meno conosciuti nell’universo, come buchi neri, nuclei galattici attivi, esplosioni di stelle, in particolare dalla supernovae.Sono numerosi gli esperimenti nel mondo dedicati alla rivelazione dei neutrini, come ad esempio quelli nei quali hanno lavorato i due premi Nobel 2015: Super-Kamiokande in Giappone e il Sudbury Neutrino Observatory in Canada. Ma anche IceCube, un particolarissimo rivelatore posizionato al polo sud e fatto da un chilometro cubo di ghiaccio – che potrebbe riempire circa un milione di piscine, giusto per fare un esempio – e che va alla caccia di neutrini anche per svelare il mistero di materia ed energia oscure. E l’Italia è in prima linea, con rivelatori come Opera al laboratorio Infn del Gran Sasso e varie altre iniziative scientifiche.
Scienza di frontiera e applicazioni futuribili: insomma, sarà anche “ino”, ma il protagonista del Nobel 2015 è senz’altro un protagonista della scienza moderna e un domani lo sarà forse anche della tecnologia. E per finire, una curiosità. Il neutrino potrebbe averci aiutato a proteggere i nostri denti dalla carie. Secondo un recente studio pubblicato dagli astronomi Catherine Pilachowski e Cameron Pace sulla rivista Astronomical Journal potrebbero proprio essere stata l’enorme quantità di neutrini rilasciati durante le esplosioni di supernovae ad aver prodotto il fluoro presente nell’universo, la cui origine è ancora in parte misteriosa. Incluso quello che troviamo nel dentifricio o nei collutori che usiamo per proteggerci dalla carie, proprio lui.
*PIERO MARTIN
Padova, 6 Novembre, 2015
Professor, Department of Physics and Astronomy, University of PadovaConsorzio RFX, PadovaEUROfusion Medium Size Tokamak Task Force