Capoca! O di come Peppino vuole cambiare il Mezzogiorno a suon di mandolino

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Il Sud sono le persone che lo abitano: i suoi uomini, le sue donne, i suoi ragazzi. Come Peppino, per esempio. Peppino è un mandolinista bizzarro. Ha occhi sottili e svegli e parla una lingua tutta sua: una specie di dialetto di tutti i Sud Italia, variopinto, sincopato, zeppo di espressioni e modi di dire. Ascoltarlo è un piacere.

Peppino è un giovane appassionato di storie antiche. Ti racconta come se l’avesse vissuto di quando nelle case di San Vito dei Normanni non c’era l’acqua corrente. O di quando l’unico mestiere da queste parti era andare in campagna. Il top è quando ti spiega di come, una volta, la musica si tramandava di maestro in allievo nei saloni dei barbieri. Si, dei barbieri. Perché a San Vito se volevi imparare a suonare la chitarra, il violino o il mandolino dovevi andare a bottega da un maestro di pettine e forbici.

Era lui, depositario della tecnica e della tradizione, ad introdurti alle note e al ritmo.

Decine, forse centinaia di ragazzi di San Vito hanno cominciato a suonare così. Una tradizione oggi scomparsa ma viva nel ricordo di molti. Peppino ha studiato fuori, a Brescia e a Roma: musica al conservatorio e antropologia all’università. Da un anno è tornato a San Vito, perché ha un’idea che ti spiega in maniera semplice ed efficace: “Qui la tradizione del mandolino è fortissima, ha radici profonde, è un patrimonio culturale originale e grande. Noi dobbiamo valorizzarlo!”.

Da qualche mese, Peppino è il nuovo presidente dello storico Circolo Mandolinistico di San Vito dei Normanni, fondato nel 1934.Peppino ha 27 anni, è il mandolinista più giovane, ma tutti i soci hanno avuto fiducia in lui.

A partire dallo storico presidente Federico Di Viesto, il Compay Segundo di questo Buena Vista Social Club alla pugliese. D’altronde, Peppino il circolo lo frequenta da quando aveva 15 anni per imparare a suonare il mandolino, “che la chitarra già un po’ la suonavo”. “Nessuno ti diceva niente osservavi e apprendevi. Non era una lezione, dove c’era un maestro. Era libera la situazione, l’importante era che se ti prendevi l’impegno dovevi essere costante”. Peppino ha talento, osserva e studia. La passione negli anni è diventata un mestiere e oggi suona il mandolino sui palchi di tutto il mondo. Ma il pallino resta fare qualcosa di utile e di bello per il suo paese.

Dobbiamo collaborare, ci siamo detti. Pochi incontri hanno partorito un’idea semplice: una sera prendiamo i vecchi mandolinisti e li facciamo suonare nelle barberie del centro, mentre i clienti sono ancora lì a farsi barba e capelli.

Troviamo qualche azienda amica che ci doni del vino e del cibo, organizziamo dei piccoli banchetti per strada e offriamo da bere e da mangiare a chi viene.

Comunichiamo questa storia con un bel nome e con la grafica giusta, facciamola girare su Facebook, invitiamo i nostri amici e vediamo cosa succede.

La sera di Musica nei Saloni Peppino ha indossato la camicia buona, ma al primo brindisi se l’è macchiata di vino. Ma non fa niente: ci sono i mandolini, c’è tanta gente, va tutto bene. Il tour musicale nelle barberie è stata una bellissima festa, per i sanvitesi divertiti e coinvolti, per gli amanti di musica popolare da tutta la Puglia, per i turisti (specie stranieri) armati di macchine fotografiche. “E questo è niente, ancora” dice Peppino. “Il mandolino ha tanto da dare a San Vito”. Come dire: abbiamo individuato il genius loci, abbiamo fatto il prototipo, adesso dobbiamo sforzarci di innescare un processo.Peppino pensa ad un festival internazionale. E intanto ha in testa Antonio che è un giovane liutaio del posto e potrebbe avviare un’attività in proprio, diventare un punto di riferimento per i mandolinisti e per tutti quelli che verranno qui per visitare la Città del Mandolino. Oppure ricorda Cosimo Conte, barbiere, che nel suo salone aveva anche il diurno, una specie di hamman pugliese in cui “ti lavavano da capo a piedi e ti tolettavano”. “Robbè, ma sai che potenza sarebbe riproporre il diurno in chiave contemporanea? Vengono qui da tutte le parti!”.

Siamo partiti dal mandolino e siamo arrivati allo sviluppo locale di un paese del Sud Italia, a come creare nuovo lavoro, a come rendere attrattiva una comunità di periferia.

Non è che un principio, certo. Vale quel che vale. Non sappiamo se funzionerà o resterà solo una bellissima visione. Tuttavia, noi sappiamo solo che dobbiamo provarci. Ma già oggi, Peppin qualcosa ce l’ha spiegata. Per immaginare il futuro dobbiamo guardare con occhi nuovi al passato, agli elementi caratteristici ed originali della nostra identità. Non per riproporre ciò che fu come folklore cristallizzato. Non ci interessa la cartolina illustrata. Il museo del c’era una volta non ci appassiona. E’ quello che c’è qui e non altrove, è la nostra unicità – quella di cui in passato ci siamo vergognati e abbiamo ripudiato in nome di una monocoltura economica, sociale e culturale – a renderci speciali.

Ci salviamo se puntiamo tutto su quello che siamo, non su progetti che altri proiettano su di noi e per noi. Abbiamo un futuro se Peppino non perderà la fiducia nei confronti della sua terra e del suo progetto. E se politica e istituzioni avranno fiducia in lui. Se Peppino avvertirà di potercela fare e se ne assumerà la responsabilità. Se saremo capaci di costruire intorno al suo sogno alleanze e collaborazioni. Se l’ecosistema comincerà a fare il tifo per il mandolino di Peppino come bene pubblico.

Qui, al Sud, diamo gambe al nostro desiderio di cambiare se ci impratichiamo con la mescola di tradizione e innovazione, se ci alleniamo a riconoscere le mille risorse latenti intorno a noi, se impariamo ad applicare le nuove competenze delle generazioni dell’oggi alla densità delle storie di ieri, se varchiamo la soglia mentale della sagra di paese per intraprendere la strada dell’apertura al mondo, della collaborazione, di un intreccio inedito tra cultura, società ed economia.

Il sud di domani non ha bisogno delle parole di altri per farsi raccontare. Non ha più il cappello in mano difronte al potente di turno. Se lo toglie, il cappello, solo per farti un inchino teatrale ed esclamare, orgoglioso: Capoca!

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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