Siamo una generazione di schiavi felici. Questo ho scritto nel mio ultimo articolo. E ho scritto che siamo pigri, vuoti, viziati, irresponsabili, irrispettosi. Che non sappiamo soffrire, non sappiamo cosa significa sudare e guadagnarsi le cose, non vogliamo crescere ed assumerci le nostre responsabilità. Ma ho anche scritto che la causa di ciò è che siamo stati cresciuti in uno zoo. Siamo stati cresciuti in una Prigione Felice, una bolla che ci ha schermato dalla vita reale, quella del dolore, della fatica, dell’impegno, della necessità, dell’incertezza, dell’ambiguità.
I nostri genitori ci crescono in una prigione felice, ci dicono di non mettere il dito sul fuoco, invece di lasciarci imparare da nostri errori. Poi ci mandano ogni giorno a studiare in una prigione felice, in cui veniamo convinti che la vita è come un biglietto a Disneyland, che dobbiamo scegliere la nostra corsa, dobbiamo seguire le istruzioni su come fare la fila e come essere diligenti, che c’è un prezzo da pagare all’inizio, ma una volta entrati la giostra sarà esattamente quella che ti aspettavi, con un percorso chiaro e prevedibile e una foto ricordo sorridente alla fine.
E da una prigione felice all’altra, si arriva ad essere adulti, e l’aspirazione più alta è quella di trovare la prigione felice di un lavoro dipendente stabile e sicuro, senza troppo stress, senza troppe responsabilità. Per poter infine accedere alla più ambita delle prigioni felici, la pensione; l’obiettivo di una vita, il paradiso del poter vivere senza lavorare, essere mantenuti.
Nell’ultimi mesi ho letto Antifragile, di Nassim Taleb, e un concetto in particolare ha catturato la mia attenzione: l’idea della turistificazione. Taleb spiega che:
Touristification castrates systems and organisms that like uncertainty by sucking randomness out of them to the last drop_while providing them with the illusion of benefit. […] This is my term for an aspect of modern life that treats humans as washing machines, with simplified mechanical responses_and a detailed user’s manual.
It is the systematic removal of uncertainty and randomness from things, trying to make matters highly predictable in their smallest details. All that for the sake of comfort, convenience, and efficiency.
Leggere le critiche di Taleb alla vita moderna è illuminante.
Il turista è il viaggiatore che vuole che il suo viaggio sia chiaro, sicuro e prevedibile. Vuole che non ci siano frizioni, stress o incertezze nel suo programma. Il turista si limita a seguire il percorso più comune ed efficiente, e il suo fine è scattare un selfie nei luoghi più conosciuti per mostrare al mondo dove è stato. Non è vivere il presente con le persone accanto a sé, è far vedere dove è stato agli amici a casa.
All’opposto del turista sta invece il flâneur, il viaggiatore che gironzola senza una meta chiara, che è aperto alla causalità degli incontri e delle circostanze, all’incertezza del viaggio, e che vede il mondo come un complesso ed infinito intreccio di colore, concetti, esperienze, umanità, fisica, suoni; un immenso spazio da vivere, scoprire e in cui esprimersi e creare.
Tutti noi abbiamo la tendenza a turistificare le nostre vite rimuovendo volatilità e caos. E’ così che la modernità cerca di funzionare: sicurezza e prevedibilità. Le nostre istituzioni sociali moderne turistificano ogni nostra esperienza. Questa è la grande sfida per tutte le istituzioni che invece aspirano ad essere alternative responsabili al sistema educativo tradizionale: come creare esperienze educative che NON siano turistificazioni.
Perché il turista forse è sicuro, ma è anche dipendente e impotente.
Quando eliminiamo ogni incertezza e stress, non ci rendiamo conto che così eliminiamo anche ogni possibilità di imparare assumendo la responsabilità delle proprie scelte.
La strada per sviluppare maturità e self-reliance è tutt’altro che prevedibile. Le cose importanti, ciò di cui sono fatte le persone intraprendenti e di spirito, possono essere sviluppate solo in ambienti di incertezza, volatilità e dinamicità, non in agenzie di turismo formativo.
La sfida è riuscire a mantenere il giusto equilibrio tra struttura e volatilità, affinché le persone possano allo stesso tempo affrontare i problemi, la crescita e lo sforzo necessario inevitabili per uno stile di vita e mentalità imprenditoriali, senza essere completamente isolati al punto di poter fallire e non aver più la forza di rialzarsi.
Prendendo in prestito un altro termine da Taleb, è di capitale importanza per il successo dei partecipanti che le nuove alternative educative adottino il concetto di skin in the game. E’ fondamentale che abbiano skine in the game, cioè abbiano qualcosa da perdere. Altrimenti è una presa in giro. Le istituzioni oggi non hanno alcuna potenziale perdita, e perciò nessun attenzione al risultato di lungo termine. Per questo non si preoccupano quando entri nel mondo reale e affronti i problemi reali senza alcuna preparazione. Ti danno il loro pezzo di carta e ti dicono buona fortuna, e la realtà poi ti colpisce in faccia senza preavviso.
Sarebbe molto più semplice per noi creare un’esperienza turistificata e non essere responsabili per come i nostri partecipanti si comportano. Dopotutto, che critiche potremmo mai ricevere se forniamo un’esperienza prevedibile ed efficiente che inizia e finisce allo stesso punto per tutti? Saremmo degli ingannatori. Una volta che l’esperienza finisce e i partecipanti tornano da dove sono venuti, potremmo semplicemente biasimarli per non essersi dati abbastanza da fare se non otterranno in futuro ciò che speravano, o aver credito per i loro futuri successi perché “sono passati da Exosphere”. Per questo non lo facciamo. Perché non vogliamo imitare la codardia delle istituzioni tradizionali, quando si disconnettono dal processo e dai risultati dei loro studenti perché devono rendere le cose facili a sé stesse.
Parleremo sempre con sincerità e diremo ai nostri membri sempre la verità, anche quando non volessero vederla perché difficile da accettare. Ricorderemo loro sempre che sia dei loro successi che dei loro fallimenti saranno responsabili loro tanto quanto noi.
Siamo sulla stessa barca. Preferiremmo far morire Exosphere avendo sostenuto i giusti valori e perché abbiamo skin in the game con ogni membro, piuttosto che farla crescere evitando ogni rischio e lasciando avvelenare le future generazioni con passività, fragilità e paternalismo.
Ciò di cui abbiamo bisogno sono istituzioni che forniscano percorsi educativi alla “Flâneur”. Percorsi da cui aspettarsi incertezza, incognite, e un senso di avventura; da cui aspettarsi di assumere responsabilità per le conseguenze delle proprie azioni e delle proprie inazioni; di avere supporto e risorse a disposizione, ma non una direzione su come e quando usarle (a meno che tu non lo chieda esplicitamente); di sentirsi triste e sperso a volte, perché è un buon feedback: è la tua mente che sta riorganizzando le informazioni per saper fare meglio le cose la prossima volta. Esperienze da cui aspettarsi di provare eccitazione ed emozioni mai sentite prima, quando risolvi problemi reali e ottieni risultati concreti insieme ad altre persone. Da cui aspettarsi di scoprire un’innata creatività e risorse nascoste che si risvegliano solo quando si ha a che fare con problemi reali, quando hai qualcosa da perdere davvero; di sentirsi pieni di vita, di intraprendere una crescita spirituale, e di sviluppare forza e disciplina; di sentire che la vita ha valore, e abbracciare il fatto di essere un elemento unico ed indispensabile per rendere la vita degli altri migliore.
La sfida è di vendere broccoli, invece di caramelle. Se vuoi imparare e crescere in modo sano, dovresti iniziare a controllare i fattori nutrizionali sulle etichette delle istituzioni tradizionali. Troppo zucchero. Niente zucchero a Exosphere. A Exosphere, vogliamo solo imprenditori flaneur e studenti curiosi. Quelli che vengono per i broccoli, e per le impareggiabili ricompense e soddisfazioni di una vita coraggiosa e incerta.
Niccolò Viviani