Cari prof, ecco come possiamo far crescere i nostri nativi digitali

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Una settimana fa sono stata invitata a Roma a partecipare al Convegno del Censis su “Nativi Digitali e emergenza Educativa” dal professor Mario Caligiuri. Occupandomi da anni di scuola, tecnologie & co. non potevo non andare a sentire gli esiti della ricerca promossa dalla Regione Calabria, (Assessorato alla Cultura) basata sui risultati di una indagine che ha coinvolto 2300 studenti di scuole medie e superiori calabresi e 1800 genitori.

Forse, per la prima volta, si tratta di dati certi sugli adolescenti e l’uso delle tecnologie e sull’impatto che device e social network hanno sull’apprendimento. Sono dati che offrono seri spunti di riflessione per una scuola che deve innovarsi e stare al passo delle modalità in campo educativo. E tutto questo è stato fatto dalla mia regione! Non potevo mancare.

Ecco i temi interessanti messi sul piatto del convegno: le giovani generazioni possiedono le chiavi d’accesso alla società digitale, semplicemente perché hanno le tecnologie in mano. Grazie alla moltiplicazione e all’integrazione degli strumenti di informazione e comunicazione, i giovani entrano in contatto da subito con un gran numero di device e canali comunicativi. Internet ha un elevatissimo tasso di penetrazione e ai primi posti nell’uso abituale dei media ci sono, ovviamente, telefono cellulare e social network.

Non è una vita parallela, è la loro vita che si allarga in altri spazi, che comprende il digitale.

I processi di apprendimento e di istruzione sono chiaramente influenzati da questo ecosistema digitale. Ormai le ripercussioni sui comportamenti – consapevoli o meno – dei più giovani date dal contatto e l’utilizzo spesso intensivo delle tecnologie digitali sono oramai palesi.

E spero lo siano anche all’occhio del meno tecnologico dei docenti che osservi ogni mattina i propri alunni in classe.

In sintesi le conclusioni della ricerca tendono a non creare i soliti schieramenti contrapposti di “tecnoentusiasti” da un lato e di “catastrofisti” dall’altro. L’approccio interpretativo adottato dalla ricerca sceglie di non rimanere intrappolato in posizioni radicali e prova a comprendere i fenomeni che stanno accompagnando la diffusione delle tecnologie digitali. Buona parte del dibattito è basata più sul potenziale (enorme, senza dubbio) delle tecnologie digitali che sull’uso effettivo che se ne fa quotidianamente e individualmente.

Non è affatto vero che “Internet ci rende stupidi”, mentre è assolutamente vero che, allo stato attuale, manca la chiara consapevolezza del potenziale di mercato. Così come manca un’idea del potenziale di controllo delle identità personali (profilo, preferenze, comportamenti d’acquisto, tracciabilità delle azioni sul Web) che le tecnologie digitali possono esprimere.

I temi intorno ai quali la ricerca prova a fornire un valore aggiunto di analisi sono:

  • le modalità di apprendimento dei nativi digitali;
  • la trasformazione degli ambienti di apprendimento;
  • il ruolo degli educatori e dei formatori rispetto a una discontinuità che ha modificato oggettivamente la relazione fra “chi sa” (utilizzare le tecnologie digitali) e “chi non sa”.

Ma veniamo ai dati concreti:

Libro vs e-book

  • i nostri nativi digitali non sono contrari ai testi cartacei: il 53,9% degli studenti dichiara di non trovare più facile consultare un testo su internet rispetto al classico testo;
  • quasi il 73% non trova nemmeno così difficile mantenere la concentrazione quando legge un libro.

Dotazione strumentale

  • ampia disponibilità di device digitali;
  • in due terzi delle case calabresi c’è un computer connesso alla rete;
  • l’88,1% dei ragazzi possiede un computer, 90,2% per gli studenti delle superiori;
  • diffusione di strumenti digitali: 48,2% telecamera, 22,3% smartphone, dal 10,4% al 17,2% tablet.

Emerge una diversa sollecitazione da tempi e modi con cui i ragazzi calabresi si relazionano con le tecnologie (o che le stesse tecnologie inducono o impongono): dalle risposte dei ragazzi traspare una maggiore enfatizzazione del learning by doing e del metodo di ”imparare provando”.

  • il 72,4% (medie) e il 76% (superiori) ritiene che l’uso del PC (e di internet) abbia effetti positivi sull’apprendimento;
  • il 36,3% ritiene, invece, che rispetto al rendimento scolastico, gli effetti possano essere neutri, per il 28,9% addirittura negativi e, positivi “solo” per il 34,9%;
  • una consistente maggioranza valuta positivamente l’uso delle tecnologie digitali, per dare seguito alla propria curiosità e al proprio spirito di iniziativa (64,9%);
  • il 39,7% e il 33,5% considerano negativi rispettivamente gli effetti sulla volontà di studiare e sulla capacità di concentrazione e riflessione.

Uso effettivo

La percezione prevalente che si ricava dalle risposte dei ragazzi è che le tecnologie digitali sono utilizzate soprattutto come mezzo di contatto, di ricerca d’informazioni e di comunicazione:

  • il 73,3% conosce e utilizza Facebook, percentuale che sale al 79,2% fra gli studenti delle superiori, mentre si ferma al 65% fra chi frequenta le scuole medie;
  • il 75,8% conosce e utilizza YouTube, la percentuale degli studenti delle superiori è maggiore rispetto a quella dei più giovani: 80,1% contro il 69,6%;
  • il 44,1% degli studenti superiori afferma di navigare quasi tutti i giorni alla ricerca di informazioni su idee, cose, persone. Allo stesso tempo oltre il 60% dichiara che l’utilizzo praticamente quotidiano del computer è finalizzato alla comunicazione e all’accesso ai social network;
  • le quattro applicazioni più importanti sono il motore di ricerca, il social network, l’accesso e lo scambio di video, la possibilità di scaricare musica;
  • il 60,7% degli studenti può navigare su internet anche per diverse ore, senza stancarsi;
  • il 56,9% non dimentica cosa stava cercando, mentre naviga su internet;
  • il 47,3% è convinto che l’uso del computer aumenti la propria capacità di imparare e memorizzare;
  • il 68,3% afferma di saltare da un’applicazione all’altra, 75,8% fra i più grandi.

Insomma i nativi digitali sono più o meno così. E questo è il profilo che emerge dalla ricerca su nativi digitali, scuola e tecnologie:

  • l’83,9% degli studenti afferma che, per le materie umanistiche, durante la settimana il computer non viene usato mai;
  • la percentuale si riduce di poco nel caso delle materie scientifiche (78,6%) e di quelle tecniche (66,1%);
  • questa percentuale non scende mai sotto la soglia dell’80% nel caso delle scuole medie, confermando una sorta di ipoteca che la scuola sta imponendo al proprio futuro e alla capacità di incidere sulle opportunità di crescita delle singole persone e della collettività.

Dai docenti in particolare emerge:

  • la resistenza culturale motivata dalla convinzione che l’approccio tradizionale al trasferimento del sapere sia quello più efficace (non avevo dubbi, conoscendo i colleghi);
  • la consapevolezza che le nuove tecnologie siano comunque imprescindibili per cercare un dialogo con i ragazzi e per svolgere meglio la propria funzione, ma diffidano di un apprendimento partecipativo che metta troppo in discussione il loro ruolo.

Un bel po’ di carne al fuoco. Dopo i saluti di Giuseppe Scopelliti, presidente della Regione Calabria, la ricerca viene presentata da Giuseppe Roma, direttore Generale del Censis. Interviene subito Francesco Profumo, ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca che poi deve subito scappare via per altri impegni istituzionali.

La tavola rotonda, introdotta da Mario Caligiuri, assessore alla Cultura della Regione Calabria, vede gli interventi di Tonino Cantelmi, psichiatra, professore di Psicologia dello sviluppo e dell’educazione, Università Lumsa di Roma; Angela Costabile, professore di psicologia dello sviluppo, Università della Calabria (unica donna tra i relatori); Tullio De Mauro, professore emerito di Linguistica generale, Università La Sapienza di Roma; Giuseppe Longo, professore emerito di Teoria dell’informazione, Università degli Studi di Trieste; Riccardo Luna – editor di innovazione, La Repubblica; Mario Morcellini – professore di Sociologia della comunicazione, Università La Sapienza di Roma; Raffaele Simone – professore di Linguistica generale, Università Roma Tre; Marco Zamperini – Chief Innovation Officer, Ntt Data Italia; Luca De Biase – editor di innovazione, Il Sole 24 Ore. Conclude Giuseppe De Rita – presidente del Censis.

Chiaramente, dato che c’ero ho deciso di utilizzare l’hashtag #censisND per Twitter e ho cominciato il live twitting. Eccolo organizzato in uno storify con tutti gli interventi, o almeno le frasi salienti di ognuno dei relatori: “Nativi digitali e emergenza educativa”. Dai miei tweet credo si capisca chiaramente cosa mi è piaciuto e cosa meno del convegno, quali interventi hanno portato una ventata di innovazione vera (o almeno auspicata) per la scuola e quali, invece, mi abbiano lasciato con il consueto amaro in bocca di quando senti cose da bollare subito con “aria fritta”.

Qual è la visione? Il Ministro Profumo è entusiasta, ben venga. De Mauro forse l’unico nativo digitale vero, malgrado l’età. Qualcuno ha parlato di cose già obsolete anche se solo di 2 anni fa, qualcuno ha sollevato problemi e rischi, qualcuno ha incarnato le paure e l’incertezza di un mondo adulto che non è al passo e non comprende, arroccandosi dietro posizioni che non hanno più senso.

I docenti sono pronti? No, non credo. È necessaria una formazione seria, sono necessari incentivi. Perché un docente italiano dovrebbe imbarcarsi in questo mondo che lo terrorizza (nella maggioranza dei casi)? Non basta riempire le aule di LIM o di tablet o di e-book senza conoscerne la grammatica. Non basta far fare ai ragazzi – perché no, non è vero che sanno già fare tutto da soli. Il dato sull’uso dei fogli di lavoro o dei documenti di testo nella ricerca parla chiaro. I ragazzi chattano, sono su Facebook, ascoltano musica, condividono video e foto. Fanno poco altro se nessuno spiega loro come utilizzare questi strumenti per studiare, per lavorare, per essere anche produttivi e pronti al mondo del lavoro.

La sfida è grande. Spero che al convegno del Censis e alla ricerca seguano azioni concrete. Abbiamo bisogno veramente di svecchiare la scuola e di usare le tecnologie, di parlare la stessa lingua dei ragazzi, di usare gli strumenti di comunicazione e i nuovi media (che non son più nemmeno tanto nuovi, io me ne occupo da 10 anni oramai e sembra siamo sempre allo stesso punto). Abbiamo bisogno soprattutto di crederci, noi prof. Chi ci aiuta?

P.S. nel mentre da una ricerca americana emerge che gli adolescenti si starebbero anche stancando dei social. Diciamo che abbiamo un annetto di tempo perché succeda anche ai nostri studenti, ma succederà. Cambierà qualche paradigma, presto. Cari colleghi, l’aggiornamento sui nativi digitali è praticamente continuo. Io vi ho avvisato.

Potenza, 12 luglio 2012CATERINA POLICARO

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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