Cari startupper, non siete tutti Steve Jobs. Accettatelo qualche consiglio

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Non amo i luoghi comuni e gli slogan, ma talvolta alcune frasi mi colpiscono e senza che me ne renda conto piano piano diventano parte del mio modo di pensare. Una di queste recita: “l’innovazione viene da dove meno te lo aspetti”, un’altra è il motto di questo blog: “quelli che vogliono cambiare il mondo non aspettano, lo fanno!”.

Sono due frasi che rappresentano bene l’entusiasmo che si respira nel movimento maker e sono un po’ lo spirito di questi ultimi tempi dove comincia ad essere forte la volontà di uscire dalla crisi. I neolaureati sono bombardati da un continuo incitamento all’autoimprenditorialità, alla ricerca di idee originali, idee innovative, idee che rompano gli schemi, che siano “disruptive” come va di moda dire.

Che termine sgraziato che è “disruptive”, non suona meglio l’italiano “dirompente”?

Lessico a parte, il problema è che questa storia delle idee non è che sia proprio così vera. Intendiamoci, alla base di molte startup di successo c’è proprio un’idea realmente originale, ed è vero che molte idee originali a molti sono apparse quantomeno bizzarre ma alla fine si sono rivelate vincenti.

Credits: creativebits.org

Lavoro da troppo tempo nel campo dell’innovazione per non aver capito che qualsiasi nuova idea, per quanto apparentemente insensata, meriti una seconda opportunità. Anni fa l’idea di realizzare un telefono cellulare con un solo tasto mi sarebbe sembrata priva di qualunque speranza di successo, oggi non riuscirei ad usare un telefono diverso dal mio iPhone. Tuttavia, questo incitamento a pensare cose a cui nessuno abbia ancora pensato qualche danno lo produce.

Per il lavoro che svolgo mi trovo spesso all’interno di un Fablab. Nel Fablab, si sa, ci sono le tecnologie abilitanti all’innovazione, il Fablab è parte dell’ecosistema dell’innovazione, è naturale che gli aspiranti startupper si rechino in un Fablab per trovare il modo di dare corpo, meccanica e vita elettronica ai loro pensieri innovativi.

Io mi occupo di startup, per cui se al Fablab di Roma arrivano degli aspiranti startupper la probabilità che siano smistati verso di me equivale alla certezza. Parlare con persone entusiaste e dispensare consigli è una cosa che mi piace, per cui sono sempre contento di parlare con gli aspiranti startupper. Sempre contento tranne in un caso.

C’è una situazione che proprio non sopporto.

E’ il caso di quelli che hanno avuto un’idea così innovativa, così enormemente innovativa, un’idea addirittura dsruptive, che non te la possono dire.

– Perché siete qui?Perché dobbiamo fondare una start-up.

– E che dovrebbe fare questa start-up?Produrre un prodotto, molto, ma molto, innovativo.

– E quale sarebbe questo prodotto?Non lo possiamo rivelare.

– Ah, e perché?Perché sennò ci rubano l’idea.

– E come possiamo aiutarvi?Dovete aiutarci a realizzare il prodotto, perché noi non sappiamo come farlo.

E come facciamo ad aiutarvi se non sappiamo di che prodotto si tratta?

Credits: hadeninteractive.com

A questo punto la coppia di aspiranti startupper entra in meditazione.

Forse non ve l’ho ancora detto, ma gli startupper con le idee talmente innovative da non potertele dire arrivano sempre in coppia, di solito uno con il look da creativo e l’altro con il look da giovane manager rampante e si presentano con i loro ruoli aziendali, a seconda dei casi i ruoli possono essere diversi ma sono sempre ruoli che si chiamano con acronimi di tre lettere: il CEO e il CTO, il CFO e il CMO e tutte le possibili varianti.

La cosa che li accomuna è il fatto che nessuno dei due ha nelle tre lettere la competenza sul prodotto che hanno pensato.

Sì, alla fine sono costretti a dirtelo il prodotto. In realtà ci sarebbe un altro acronimo di tre lettere da firmare prima, il NDA, ma vabbé… ci sembrate persone serie per cui a voi ve lo possiamo dire. Vorrà dire che il NDA lo firmeremo quando inizieremo la nostra collaborazione.

Grazie della fiducia.

Purtroppo, non so perché, ma le idee così tanto innovative sono accomunate dal fatto che appaiono essere proprio quelle più prive di senso commerciale. Per forza, direte voi, sono originalissime, ti sembrano prive di senso perché nessuno mai le aveva pensate prima! Ricordi la storia del cellulare con un tasto solo?

E invece no. Le idee che sputano fuori dopo il dialogo surreale di cui sopra sono sempre le stesse.

Ho maturato la convinzione che nell’immaginario dell’aspirante startupper esistono delle idee ricorrenti che, per qualche incomprensibile motivo, suscitano l’entusiasmo da uovo di Colombo e la pulsione alla massima segretezza. Di dialoghi kafkiani di questo tipo ne ricordo decine, ma delle relative idee disruptive non riesco a ricordarne più di due o tre.

Tra queste, ce n’è una che per frequenza sovrasta tutte le altre. E’ la valigia intelligente, anzi la Valigia Smart! Una valigia smart è una valigia da viaggiatore incallito, un frequent flyer alla George Clooney nel film “Sopra le nuvole”, un trolley per la precisione, un trolley di lusso per dirla proprio tutta, dotato di tecnologia.

– E che farebbe questa tecnologia?Ci sono i sensori, temperatura, pressione, altri sensori che ci direte voi, c’è sicuramente il GPRS, meglio il 4G, il Bluetooth, sul Wi-fi ci dobbiamo pensare, forse ci dovrebbe essere il GPS, ma sicuramente il bluetooth, quello light, di ultima generazione il BLE (è un acronimo di tre lettere quindi un must)… E poi c’è da fare il sito, il sito per la “app”…

– E che dovrebbe fare la app?La app e il sito servono per il social, sarà una valigia social, l’Internet of Things 2.0, e comunque deve fornire le previsioni del tempo, la nostra analisi di mercato dimostra chiaramente che i frequent flyer hanno bisogno delle previsioni del tempo (chi lo avrebbe mai detto), … tanto poi firmiamo il NDA vero?

La conversazione andrebbe troncata qui, ma cortesia ed educazione impongono l’ascolto dell’idea di business fino alla fine, e, alla fine, la storia è sempre la stessa: una valigia smart fa più o meno tutte le cose che fa uno smartphone, però è una valigia di lusso, il lusso è importante, non ci interessa il junky market, quello lasciamolo ai cinesi. Per questo penso che l’idea sia priva di senso.

Perché dovrei comprarmi la valigia smart per fare con un trolley in connessione bluetooth sul telefono quello che faccio già col telefono senza avere la valigia con dentro la batteria ai polimeri di litio che prima o poi ti esplode macchiandoti in maniera indelebile le cravatte?

Lo sapevo! T’avevo detto che non c’era da fidarsi di questi qua. Siamo in Italia, dobbiamo andare all’estero a fare la startup.

Buon viaggio. E salutateci Clooney se lo incontrate in aeroporto.

Ragazzi, per fare innovazione sul serio le idee non bastano.

Non funziona che ti chiudi dentro una stanza e ti sforzi per farti venire un’idea innovativa, una qualsiasi, basta che sia innovativa, e poi esci, trovi un CFO, un CTO, altra gente a cui dare titoli di tre lettere, e poi ci fai una start-up.

I fondatori della Apple Computer, Steve Jobs e Steve Wozniak. Foto: extremetech.com

Steve Jobs pensava ad un telefono con un solo tasto quando nessuno pensava che i telefoni cellulari dovessero essere così ricchi di funzioni e così semplici nell’interfaccia, ma soprattutto Jobs aveva la passione per le interfacce software e per l’high-tech. Pensava l’high-tech indirizzato ai target di mercato più elevati e lo pensava già secondo le “leggi della semplicità” quando John Maeda non le aveva ancora pubblicate.

E’ stata la passione per il suo progetto a garantire che l’idea innovativa diventasse una realtà. Jobs sapeva come progettare un iPhone così come anni prima il suo socio sapeva progettare e realizzare un personal computer, i due Steve non erano andati all’Home Brew Computer Club a cercare qualcuno che avesse le competenze per realizzargli il prodotto, erano lì per presentarlo dal vivo il loro prodotto.

(Continua…)

STEFANO CAPEZZONE

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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