Si dice che per una persona sono “nuove” tutte le tecnologie che non esistevano quando lui era piccolo. Io non sono un nativo digitale: faccio parte della generazione del baby boom. Pertanto le uniche tecnologie che avevo in casa, al di fuori degli elettrodomestici della cucina, erano il telefono (fisso), l’hi-fi, la radio e la televisione. Quindi per me, ancora oggi, è nuovo tutto ciò che è venuto dopo.
Carlo Alberto Pratesi
Ricordo l’emozione del mio primo cellulare Motorola (1993). Il giorno (era nel 1997) in cui ho mandato la mia prima mail dal mio indirizzo di posta elettronica. Le prime ricerche tra i siti con Altavista, ben presto sostituita da Google (sarà stato il 2001). Come consulente scientifico del Nokia University Program ho vissuto da vicino il passaggio dai cellulari agli smartphone (2005).
Poi nel 2007 ho aperto la mia pagina su Facebook, poi LinkedIn, Twitter e così via. Un primo acquisto su Ebay nel 2008 (un iPod usato per mia figlia) e il primo video caricato su YouTube nel 2010.
Nel frattempo il mio mestiere è stato quello di insegnare, scrivere e fare consulenza sui temi del marketing e della comunicazione. Due percorsi, quello professionale e quello di fruitore di nuove tecnologie, che hanno avuto alcuni punti di convergenza. Nel 1996 mi occupai di un’altra tecnologia, che oggi è curioso pensare che all’epoca potesse essere considerata “nuova”, ma di fatto lo era (almeno per il nostro gestore telefonico): il numero verde.
Ma fu solo nel 2003, per motivi che poco avevano a che fare con la mia attività professionale, che iniziai a capire come gli ambienti digitali stavano diventando un mercato a sé, con dinamiche del tutto diverse da quelle conosciute.
E quindi che il marketing on line è ben diverso da quello tradizionale, e non solo perché si utilizzano canali diversi
Era appena nato il nostro terzo figlio e ci eravamo resi conto che un bebè in una casa già abbastanza affollata − abbiamo anche due figlie di 10 anni più grandi − aveva bisogno di un suo spazio, e che la migliore sistemazione era nella stanza che avevamo adibito ai giochi delle bambine e, soprattutto, al loro coniglietto. Un bestiolina molto carina con un difetto insopportabile: quello di tagliare coi denti qualunque filo elettrico della casa. Non volendo costringerlo in una gabbia, lo potevamo tenere libero solo lì: fuori faceva danni. Coniglio e neonato non sembrava una combinazione opportuna e quindi arrivammo presto, non senza lunghe discussioni con le figlie, alla conclusione che per il coniglio sarebbe stato meglio cercare una nuova casa.
Ma come trovare una famiglia adatta e ospitale, considerato che nessuno dei parenti e amici accettò l’affido?Pensai che la soluzione migliore fosse quella di cercare sul web una comunità che riunisse i possessori di conigli per chiedere un aiuto. Trovai il “Forum di Protty”, un ambiente on line nel quale le persone si scambiavano consigli sulla cura dei coniglietti, con domande tipo “qual è il miglior veterinario a Vipiteno?“ oppure “capita anche al vostro cucciolo che quando piove perde l’appetito?” e così via. Insomma, avevo la prova: lì il nostro Carotino non avrebbe rischiato di trovarsi male.
La copertina del nuovo libro di C.A. Pratesi e A. Poggiani
Il 14 gennaio 2004 scrissi questo post (on line ho ritrovato – a distanza di ben 10 anni − il testo originale), inserendo la mia mail in calce: Mi chiamo Carotino, sono un coniglio nano, maschio (non sterilizzato) di due anni ho gli stessi colori dei conigli selvatici (grigio perla con contorno occhi e pancia bianchi), sono super affettuoso, pulitissimo e docile. Vivo in casa con una famiglia di umani, ma da due mesi il mio spazio si è molto ridotto perché è nato nella stessa casa un altro bambino (ora sono tre). Se ci fosse una famiglia che mi può offrire ospitalità (un terrazzo, un giardino o una camera) e molte carezze io trasferirei volentieri. Grazie!
Un paio di giorni dopo, non avendo ricevuto alcuna risposta via mail, tornai sul sito. Con grande stupore scoprii che il mio post aveva creato un pandemonio di commenti e discussioni. Su una cosa tutti erano concordi: chi dà via il proprio coniglio è una persona indegna e irresponsabile.
Rimasi davvero colpito e rammaricato. Mi stavo comportando davvero come un criminale o ero entrato in contatto con dei fondamentalisti fanatici? Chiesi a un mio amico psichiatra come interpretava questa strana situazione. Mi spiegò semplicemente che io era stato ingenuo. Entrando in una comunità di appassionati di conigli avrei dovuto immaginare che la mia proposta per loro sarebbe stata a dir poco inconcepibile. Prova a immaginare, mi disse, se qualcuno avesse scritto la stessa cosa su un forum di cinofili. Non pensi che liberarsi del proprio cane sarebbe stato considerata una azione come minimo immorale? Aveva ragione. Se fosse stato un cane (o un gatto) avrei avuto qualche remora in più. E comunque non mi sarebbe venuto in mente. Implicitamente mi ero comportato da razzista (o specista?) classificando il coniglio a un livello inferiore nella gerarchia degli animali da compagnia.
Però la situazione mi intrigava e per capire meglio le dinamiche di quella comunità chiesi a un mio amico, di professione copywriter, di inserirsi nel forum e provare a rilanciare ulteriormente la discussione con un suo commento. Paolo scrisse questo post: cari Genitori di Carotino e altri Giovani Animaletti, avete suscitato un bel putiferio! Evidentemente il tema stimola un po’ tutti, e anche me, che porto qui una testimonianza sofferta ma spero utile per il dibattito. Due anni fa mio marito e io avevamo dovuto, per ragioni di lavoro, “cambiare vita”: un periodo relativamente tranquillo è sfociato in un nomadismo senza regole e a tempo indeterminato, che ci ha costretti ad immaginare un nuovo futuro per il nostro Pizzilini. Dopo avere preso in esame tutte le possibilità, la nostra decisione si è ispirata all’Amore Zen e al coraggio che il vero amore infonde: ora Pizzilini è parte di noi, con le sue molecole ormai stabilmente assimilate alle nostre, finché vivremo o non verremo comunque mangiati da qualcun altro. Non voglio dare consigli, non intendo dare esempi; quanto, piuttosto, riflettere assieme a voi sulla meravigliosa molteplicità delle forme e dei modi dell’Amore. Vi abbraccio, Federica70 (assieme a Ugo e a Nuvoletto, il nuovo membro della famiglia)
Ero curiosissimo di sapere come avrebbero reagito i fondamentalisti del forum. Altra sorpresa: nessuno commentò. Nei giorni successivi ci fu un solo post “Se è vero quello che racconti ti auguro la stessa fine”, che tra l’altro deve essere stato successivamente eliminato dai moderatori, perché non l’ho più ritrovato. Da questa esperienza ho imparato le prime regole del marketing on line di cui ho fatto tesoro.
1. Capire prima di interagire
Quando si vuole entrare in contatto con una comunità che si è costituita sul web con l’intenzione di offrire qualcosa, occorre tempo ed estrema sensibilità. Prima di interagire è bene ascoltare per comprendere. Qualche anno dopo la mia storia con Carotino uscì un libro fondamentale di Cova che spiegava bene come l’approccio a questo tipo di marketing debba essere di tipo etnologico.
Nessun antropologo studiando una comunità si permetterebbe di interagire immediatamente con essa, senza averla prima osservate e conosciuta a fondo, e soprattutto senza essere stato accetto da loro come un pari. Insomma: è un processo un bel po’ più lungo di quello che io avevo avviato per liberarmi rapidamente del coniglietto. Un comunità per definizione esclude chiunque non dimostri di condividere (o almeno rispettare) gli stessi valori e le stesse passioni.
2. Essere onesti, veritieri, corretti
Nella comunicazione negli ambienti digitali è molto, molto, difficile bluffare. Troppe volte anche le aziende hanno cercato di camuffarsi da clienti entusiasti per modificare la loro reputazione on line. Non funziona. Quando la comunicazione si evolve da one-to-many a many-to-many cambia totalmente il paradigma. Non c’è più un’azienda che si pone su un piedistallo e un pubblico che ascolta passivamente: si è tutti alla pari e tutti hanno il diritto e la possibilità di ribattere, verificare e, nel caso, smascherare i messaggi ambigui. Si parla in modo diretto, senza possibilità di mascherarsi dietro
3. Non essere impulsivi: non c’è sempre tempo per correggere gli errori
Nel 2005 in qualità di consulente scientifico coordinavo il progetto NUP – Nokia University Program, nell’ambito del quale organizzai presso la mia università un convegno dal titolo “Il telefono cellulare nell’era del web 2.0”. L’obiettivo era quello di spiegare, ai giovani in primis, quali interessanti opportunità offrisse il collegamento internet in modalità mobile. Durante la tavola rotonda, alla domanda rivolta al pubblico sul perché (allora) i giovani fossero poco propensi ad attivare la connessione internet sul loro cellulare, qualcuno del pubblico alzò la mano per dire che secondo lui il motivo era riconducibile soprattutto ai costi eccessivi delle connessioni. “Non è vero”, tuonò il Responsabile Marketing Multimedia di uno dei principali player della telefonia seduto al tavolo dei relatori. “Siete poco informati sulle nostre offerte! La vostra ingenuità la dimostrate anche spendendo inutilmente i vostri soldi con l’attivazione di servizi idioti come quelli della società X che vi truffa con inutili loghi e suonerie”.
Un’oretta dopo, durante il coffe break, il manager fu chiamato al cellulare dall’ufficio stampa della sua azienda. Era successo il finimondo. Qualcuno (poi si scoprì che era un giovane blogger presente in sala) aveva postato seduta stante (e usando guarda caso proprio la connessione dati mobile) la frase polemica relativa alla società X, con tanto di fonte. Molti altri siti l’avevano immediatamente ripresa dandole una diffusione ampia e immediata. Purtroppo quel fornitore di servizi mobile denigrato in pubblico era partner ufficiale della società per la quale lavorava il manager. Inutili i tentativi del preoccupatissimo relatore di chiedere a noi, organizzatori dell’evento, di convincere il blogger a rimuovere il post. Una divertente situazione (non certo per il manager) che mi fece capire quale fosse la rapidità della comunicazione on line. Quando qualcosa è interessante per il pubblico circola in tempo reale, ed è praticamente impossibile arginarne la propagazione. Il quarto insegnamento l’ho ricevuta molto più di recente, all’inizio del 2013, quando accettai la proposta di candidarmi come consigliere regionale del Lazio. Avevo a disposizione poco più di quattro settimane di tempo per raccogliere (così mi dissero) 3.000 voti e, ovviamente, nessun supporto se non le risorse che io ero disponibile a investire di mia tasca.
Anticipo subito che, nonostante l’impegno profuso, non vinsi le elezioni ma mi attestai su un numero dignitosissimo di preferenze: 1.600 (solo dopo le votazioni scoprii che di preferenze me ne sarebbero servite più di 10.000 per avere una qualche speranza). Un risultato che comunque mi collocava al disopra (così mi è stato detto dagli esperti) del tipico outsider che si lancia in politica senza precedenti elezioni alle spalle né appoggi di partito. Di certo da quella esperienza imparai molto e, in particolare, ricevetti il mio quarto fondamentale insegnamento relativo al marketing digitale.
4. L’aspetto critico non è la tecnologia ma la regia complessiva dei diversi media
Cercando di promuovere il mio “brand personale”, capii quanto è complesso gestire in simultanea vari canali di comunicazione. Non sono un nativo digitale, ma anche come digital immigrant non sono certo tra i più smaliziati nel gestire le tecnologie, eppure nel tempo ho imparato più o meno a seguire, oltre al mio sito personale, le pagine Facebook, LinkedIn, YouTube e Twitter.
Nonostante la mia evidente inesperienza, per ognuna di queste piattaforme non ho avuto particolari difficoltà a raggiungere i risultati sperati, grazie anche all’aiuto dei vari specialisti che mi hanno aiutato ad evitare gli errori più grossolani e a valorizzare nel modo migliore quello che avevo da dire. Ma per quanto riguarda la regia complessiva? La combinazione equilibrata dei messaggi e dei tempi al fine di ottenere una qualche seppur minima sinergia fu il vero problema. Oltretutto il rischio che ho sempre corso è stato quello di non riuscire a ottimizzare il mio tempo (la vera risorsa critica) e le mie risorse economiche. Per esempio, specie nei primi giorni, persi un sacco di tempo a lavorare sulla fan page di Facebook (che con il senno di poi avrei fatto meglio a non aprire, utilizzando meglio la mia pagina personale nella quale potevo contare un migliaio di connessioni).
Tempo che avrei dovuto dedicare di più alle mail che, per quelli della mia generazione (di fatto i miei principali elettori), era ancora il canale più autorevole per ricevere notizie e suggerimenti. In altre parole, mentre mi affannavo a far crescere i like mi ero quasi dimenticato di avere attorno ai 6000 contatti su Gmail di persone che già mi conoscevano, avevano in molti casi lavorato con me e quindi potevano essere ben disposti nei miei confronti. Per non parlare della difficoltà nel coordinare l’on line con tutta la comunicazione off line (dagli eventi all’ufficio stampa). Insomma, quella della regia dei canali è il vero problema. Come orchestrarli e quali priorità dare agli investimenti.
Ecco dunque, che dopo dieci anni di esperienze come digital immigrant ho deciso di unire le mie forze con chi, per esperienza e per più giovane età, di competenze digitali ne ha parecchie più di me, e scrivere un manuale che possa accelerare la formazione di chi vuole sfruttare al meglio le opportunità dei nuovi media
In particolare, le tre domande alle quali con Alessandra Poggiani, co-autrice del libro “Marketing Digitale”, cerchiamo di dare risposta sono le seguenti: come stanno cambiando i mercati nell’era del digitale? Cosa cambia nel processo di marketing? Dove si applicano i (nuovi) principi di marketing?
Alessandra Poggiani
In altre parole vogliamo descrivere il nuovo mondo in cui stiamo abitando e offrire un primo kit di competenze sul marketing digitale per aiutare chiunque (e non solo i nativi digitali) a usare al meglio le potenzialità delle piattaforme e dei nuovi canali di cui disponiamo. Speriamo che questo manuale possa anche aiutare nativi e immigrati a trovare un punto di contatto.
CARLO ALBERTO PRATESI*
Carlo Alberto Pratesi è co-autore, insieme ad Alessandra Poggiani, del volume “Marketing Digitale”, edito da McGraw-Hill