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Caro Bernard Quaritch, tre consigli su come risolvere la crisi dell’editoria

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Caro Bernard Quaritch,ci abbiamo pensato un po’ prima di scriverti, perché tu sei vissuto nel secolo del romanticismo, del socialismo e degli Stati Nazione, ma noi abbiamo a che fare con internet, le macchine e i social network, con annessi like, numero di accessi e condivisioni, e siamo sempre in cerca del personaggio famoso, quello che ti da un valore aggiunto, che ti fa da traino, che insomma incuriosisce il lettore e lo spinge a cliccare sul link e a leggere l’articolo.

Cosa dici? Che il grande Jorge Luis Borges ha raccontato di te e della tua libreria in uno dei suoi racconti più belli e famosi, Tlön, Uqbar, Orbis Tertius? Lo sappiamo. E sappiamo anche che al 40 South Audley Street di Londra c’è ancora una libreria che porta il tuo nome, però alla fine se ci siamo convinti non è per questo ma per la tua determinazione, la tua modernità, la tua voglia di guardare lontano, qualità di cui anche al tempo di Internet si continua ad avvertire un gran bisogno.

Dai, ora non fare il modesto, che se uno se non ha il diavolo in corpo e la febbre nel cuore non parte a 23 anni dalla piccola Worbis, nei pressi di Gottinga, in Germania, dove è nato, per arrivare a Londra senza avere alcun contatto se non una lettera per Henry Bohn, il maggiore libraio londinese dell’epoca, e soprattutto non si presenta a lui dicendo “Caro Mr. Bohn, lei è il primo libraio d’Inghilterra ma io conto di diventare presto il primo libraio d’Europa”.

Che c’entra, lascia perdere, non importa se poi lo sei diventato o meno, questa cosa qui riguarda i risultati, che non dipendono mai soltanto da noi, perché bisogna fare i conti con le opportunità che ci si presentano, con le risorse che abbiamo a disposizione e con tanto altro ancora, fortuna compresa.

Ciò che fa la differenza è l’approccio, il modo di pensare, il modo di essere e di fare, è quello che ti porta a fare bene le cose, e se tu non avessi avuto quello giusto mica saresti riuscito ad aprire la tua bella libreria nel lontano 1847.

Cosa dici? Perché ci interessa tanto il tuo lavoro? Perché il mercato dei libri in Europa e nel mondo vive una vita assai travagliata, alle prese con crisi e trasformazioni profonde, e ci sono tante librerie che chiudono, come ad esempio la Libreria Utopia di Milano che il 30 Aprile 2014 ha partecipato a La Notte del Lavoro Narrato e poi li cerchi a fine Agosto per l’edizione 2015 e ti dicono che non c’è più.

Perché sì, non accade mica solo con i libri, ma a Casa Italia la crisi è più forte e dirompente che altrove, e coinvolge non solo le librerie “piccole” ma anche quelle “grandi”.

No, no, non ti preoccupare, non intendiamo inondarti di dati, solo una tabella e qualche numero citato qui e là, vogliamo piuttosto provare a capire con te quali sono i problemi e come invertire la tendenza, evitando per quanto è possibile di cadere nei luoghi comuni, nelle banalità, nelle frasi fatte, che per quella via lì non si va da nessuna parte.

Cosa dici? Che detto così non si capisce niente, che è meglio se facciamo qualche esempio? Va bene, facciamo come dici tu, a patto però che gli esempi rimangano tali, esempi non tavole delle leggi, magari senza rinunciare a un pizzico di provocazione.Per cominciare. Ma siamo proprio sicuri che una libreria solo perché vende libri è un luogo in cui si fa cultura? E che perciò se chiude una libreria dobbiamo essere più dispiaciuti che se chiude un negozio di elettrodomestici dato che la lavatrice e la scopa elettrica non sono cultura?

O vale anche per la libreria la regola che i propri prodotti li deve vendere, perché se la gente i libri non li compra la libreria – negozio – punto vendita non riesce a stare sul mercato e chiude? Per continuare. Perché quelli i libri di carta li vendono online non fanno cultura? Non vendono libri anche loro? Qual è la ratio secondo la quale una libreria fisica è un luogo di cultura e una online che mi fa arrivare il libro a casa in 24/h facendomelo pagare magari anche di meno, e se ci metto il naso dentro sento comunque il profumo della carta, no? Di cosa stiamo parlando? Dell’oggetto, del contenuto, del media, delle modalità di vendita del prodotto?

Per finire (con gli esempi provocatori). Perché, dopo Gutemberg, i bellissimi libri scritti dai monaci amanuensi li abbiamo potuti sostituire con i libri a stampa e i libri a stampa non potrebbero essere sostituiti, un giorno più o meno lontano, dai libri elettronici? Perché la carta odora e i bit no? Perché i libri di carta sono cultura e i libri elettronici sono tecnologia? Anche qui, come funziona?

Cosa dici? Che è ora di finirla con gli esempi e le provocazioni e di provare a dire cosa si può fare per invertire la tendenza? Keep calm, caro Bernard, ci stavamo giusto arrivando, sapendo che noi non rinunciamo a portare il nostro mattoncino ma poi bisogna che siano in tanti a interagire e a portare il loro, che solo così il muro maestro viene su forte, e sorregge meglio l’intera casa, nel caso specifico Casa Italia.Facciamo così, il nostro mattoncino lo raccontiamo con un tweet:

Più lettori, più differenza, più professionalità uguale più futuro.

Più lettori nel senso letterale di più persone che leggono, che su questo terreno in Italia abbiamo praterie immense da conquistare. Due dati per tutti.Il primo lo fornisce l’ISTAT, che ci ricorda che “nel 2013 oltre 24 milioni di persone di 6 anni e più dichiarano di aver letto, nei 12 mesi precedenti l’intervista, almeno un libro per motivi non strettamente scolastici o professionali”. Che rispetto al 2012, la percentuale di tali lettori è scesa dal 46% al 43%. Che le donne che hanno letto almeno un libro nel corso dell’anno sono il 49,3% e gli uomini il 36,4%. Che l’età in cui si legge di più è quella compresa tra gli 11 e i 14 anni (57,2%). Che quando entrambi i genitori sono lettori il 75% dei ragazzi tra i 6 e i 14 anni legge, mentre quando invece no la percentuale crolla al 35,4%. Che nel Nord i lettori sono il 50,7% del totale mentre nel Sud e nelle Isole sono il 30,7%.

Il secondo l’OCSE, che ci segnala che quasi la metà degli italiani che hanno un’età compresa tra i 16 e i 65 anni sono affetti da analfabetismo funzionale, in pratica non posseggono o non sono in grado di utilizzare in misura sufficiente le competenze (capacità di lettura e di scrittura, capacità di calcolo, capacità di problem solving) che sono necessarie per comprendere, utilizzare e collocare in un contesto più largo le informazioni.

Più differenza nel senso del tratto distintivo che dà vantaggio competitivo rispetto al punto vendita online. Come? Ad esempio pensandosi non solo come punto vendita ma anche come punto di socializzazione, di incontro, di proposta. Non e solo questione di iniziative ed eventi, è anche (soprattutto?) questione di come i libri stanno sugli scaffali, di come vengono proposti autori e testi, di come si utilizzano i social network e i media civici, di come si coinvolgono lettori e clienti, di come si qualifica e si personalizza l’offerta, di come si sfrutta il fatto semplice ma non banale che quando vai in una libreria online interagisci con macchine e software, intelligenti quanto si vuole ma sempre macchine e software, mentre quando vai in una libreria fisica interagisci con persone, e dunque con saperi, competenze, sorrisi, intelligenze.

Più professionalità, dunque più formazione, più competenze non solo sull’offerta ma anche relazionali, più valorizzazione del lavoro e di chi lavora. Perché, strano ma vero, per vendere la frutta ci vogliono i fruttivendoli e per vendere i libri ci vogliono i librai. Perché se entro in libreria e chiedo il Piccolo Principe e il librario mi risponde “lo trova in fondo, terzo scaffale, reparto bambini”, io magari la prossima volta mi siedo comodamente, mi collego con la mia bella libreria online, prendo il libro dallo scaffale, lo metto nel carrello e me lo faccio mandare direttamente a casa. E perché se invece mi accompagna e mi dice “ha visto la bellissima edizione in lingua napoletana con la traduzione di Roberto D’Ajello?” io li compro tutti e due e magari ci aggiungo anche Alice ‘int’ ‘o Paese d’ ‘e Maraveglie.

Caro Bernard, come vedi c’è lavoro da fare per tutti, istituzioni, imprese e lavoratori, almeno questa è la nostro opinione. Cosa dici? La nostra opinione non basta? Siamo d’accordo, siamo qui per questo, perché cominci la discussione, perché si apra il confronto, che speriamo porti tante opinioni e punti di vista differenti. Come diceva Nicolàs Gòmez Dàvila? I libri seri non istruiscono, interrogano. Ecco, noi speriamo possa funzionare così anche con questa nostra lettera.

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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