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Caro Faggin, sei un grande scienziato, ma ti dico che i computer avranno una “coscienza”

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“Non è possibile costruire un computer cosciente” – afferma Federico Faggin, che considero tra più grandi scienziati italiani di sempre, e verso cui nutro la tipica innata simpatia che unisce i conterranei all’Estero (anch’io sono un vicentino trapiantato in America). Per quanto intelligenti potranno diventare le macchine – ha continuato Faggin – non avranno mai la stessa capacità di apprendimento del cervello umano e, soprattutto, non saranno mai consapevoli, cioè non sapranno percepire il mondo come gli esseri umani.

Pur cercando di sottrarsi alla discussione filosofica, affermando “sono uno scienziato, sarà mio compito dimostrare matematicamente questa tesi”, di fatto Faggin evoca una dei concetti più dibattuti e sfuggenti della storia della filosofia, finendo dritto tra le grinfie di Sophia! Dal concetto di anima in Aristotele alle elucubrazioni di David Chalmers sugli zombi, nessun pensatore ha fornito una risposta convincente alla domanda metafisica:

“Cos’è la coscienza?”.

Io sono d’accordo con l’inventore del microchip: non è lavoro da filosofi spiegare cosa sia la consapevolezza.

Tuttavia, quando Faggin postula l’impossibilità ontologica della coscienza artificiale senza addurre alcun argomento logico-scientifico, mi sembra cadere vittima di un circolo vizioso.

Alan Turing sapeva bene quanto fosse scivolosa la domanda sulla consapevolezza: per questo il test che da lui stesso prende nome si limita a valutare se il comportamento linguistico di una macchina intelligente sia distinguibile da quello di un essere umano. Del resto, l’analisi scientifica della stessa coscienza umana ha dato sinora risultati tutt’altro che conclusivi: grazie alle neuroscienze cognitive riusciamo a localizzare i correlati neurali dei pensieri con buon grado di precisione, possiamo identificare quali aree del cervello si “accendono” alla sola idea di mangiare una mela, ma non esiste alcuna spiegazione matematica del nesso causale tra il nostro “essere consapevoli” e l’attività elettrochimica del cervello.

Credits: alanedit.tumblr.com

Gli algoritmi di Deep Learning stanno trasformando la capacità di ragionamento delle reti neurali: come le ultime tecnologie implementate da Google, Badu e Microsoft testimoniano, nessuna architettura avanzata si basa oggi su programmi rigidi, cioè su sistemi di regole a priori.

La computazione artificiale del nuovo Millennio è adattiva e non deterministica.

In un futuro non molto lontano vi saranno macchine intelligenti talmente più avanzate del cervello umano da diventare imprevedibili, poiché opereranno necessariamente seguendo meccaniche inaccessibili alle nostre capacità cognitive (i vari Elon Musk, Bill Gates e Stephen Hawking sono seriamente preoccupati proprio di questo).

Se emergerà una “Singolarità” artificiale esponenzialmente più intelligente dell’uomo, dubito saremo in grado di comprendere se sarà consapevole o meno. Forse, invece, sarà Lei a spiegarci perché pensiamo alla nostra coscienza come un insieme di esperienze senzienti, e perché molti di noi le ascrivano una natura spirituale.

ALESSANDRO OLTRAMARI*

* Alessandro Oltramari è ricercatore alla Carnegie Mellon University

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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