Caro Passera, non copiamo la Silicon Valley ma il Cile –

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Sono atterrato a Santiago del Cile da due mesi ormai. La città è incredibile, non l’avrei mai pensato: iper-tecnologica e pulita, incastonata tra le Ande e con 8 milioni di abitanti. In pratica, è una via di mezzo tra una città americana e una tedesca, visto che il Cile è la più grande colonia di immigranti provenienti dalla Germania. Molti sono biondi con occhi azzurri, ma parlano spagnolo.

Però ragionano ancora da tedeschi: nonostante la crisi economica, il paese vanta uno dei tassi di disoccupazione più bassi al mondo (meno del 3%). La tassazione massima aziendale è solo del 20% e il PIL cresce del 9% ogni anno. E pensare che la popolazione del Cile ammonta ad appena 17 milioni di persone.

Piccola nota geek: la città è tappezzata di QR code (vedi per esempio SocialBakers).

Infatti il Cile è tra i primi paesi al mondo per penetrazione di Internet nel territorio (ben prima di USA) e svetta anche tra i primi per user engagementnei social media. Vi posso assicurare che se siete startupper come me, non potreste desiderare un posto migliore di questo.

Lasciando da parte la premessa, vi starete chiedendo “perché proprio il Cile”? Circa un anno fa ho scoperto che alcuni amici startupper e imprenditori come David Weekly e Dave McClure erano andati a Santiago per visitare il paese e presenziare come speaker ad alcuni eventi che facevano parte di un programma dal nome evocativo: Start-Up Chile. Mi sono incuriosito e ho iniziato a leggere meglio di cosa si trattasse.

All’inizio sembrava uno di quei classici seed program o incubatori che stanno spuntando in tutto il mondo tra San Francisco, New York, Londra, Berlino, Dubai e Singapore.

Ma guardando più da vicino, leggendo blog, articoli e macinando video ho capito che c’era qualcosa di differente. Il governo Cileno ha stanziato 22 miliardi di pesos (circa 40 milioni di dollari) prelevandoli da alcune tasse speciali dei minatori e li ha messi a disposizione dell’innovazione. Così, ha creato il programma Start-Up Chile, che fa parte di un nuovo “dipartimento” del governo chiamato Innova Chile. Il management team (a tutti gli effetti un ente del governo) è composto da sole 10 persone di età compresa tra i 24 e i 35 anni.

La formula di finanziamento erogata è semplice e chiara: 40mila dollari “a fondo perduto” per 1000 progetti accolti in un programma della durata di 6 mesi, no string attached (ovvero non viene chiesta nessuna equity) e non ci sono nemmeno obblighi di aprire un’azienda in Cile o di assumere cileni.

Come funziona? Il programma è iniziato circa 12 mesi fa e le applicazioni si presentano come per un qualsiasi altro incubatore o seed: idea, modello di business, visione strategica su come farlo crescere e – la cosa più importante – il team. Tradotto in parole semplici, gli organizzatori vogliono capire bene chi stanno invitando in Cile.

Non è importante quante lauree hai e di quali università, o che carriera hai fatto, vogliono capire qual è lo spirito di chi sta presentando l’application.

Non potendo gestire contemporaneamente 1000 progetti tutti insieme, gli organizzatori hanno diviso il tutto in round. Io, per esempio, con Pick1 sono al terzo turno. Ogni round dura 6 mesi, ma ora hanno iniziato ad accavallarli ogni trimestre. Un dettaglio: i team possono andare da un minimo di una persona ad un massimo di quattro. Se volete avere più componenti potete benessimo imbarcarli nell’avventura ma sono tutti a carico vostro. Ogni uno o due mesi si deve incontrare l’account executive, a cui bisogna fornire tutte le ricevute di transazioni bancarie. Queste vengono vagliate e, nel giro di 15 giorni al massimo, si riceve il rimborso sul proprio conto cileno. Per di più, si possono anche comprare computer e smartphone come “investimento strumentale”.

Alla fine è molto semplice: i soldi sono tuoi, e ci puoi fare quello che vuoi. Tanto, più bravo sei ad amministrarli, meglio è per te. Non c’è obbligo di permanenza per tutti i 6 mesi, volendo si potrebbe stare anche solo qualche settimana, ma tutta l’operazione perderebbe di senso e sapore (come si dice qua: “try to pull, don’t push!”). Ma sul banco non ci sono solo i 40mila dollari che, dopo tutto, non sono tantissimi per 6 mesi di vita, lavoro e sviluppo di un progetto all’estero. Start-Up Chile offre ben di più:

  • incredibili possibilità di networking con centinaia di giovani imprenditori da tutto il mondo. Tra l’altro, essendo stati selezionati da una rete di mentor e giudici dislocati in tutto il pianeta (di cui anche io sono stato invitato a fare parte da poco) è un gruppo abbastanza sintonizzato e molto affiatato;
  • accesso ad una rete di mentors locali e internazionali con grandi successi alle spalle. Ci sono continuamente incontri, eventi, meetup e conferenze con top notch people: agli ultimi tre hanno partecipato Vivek Wadhwa (tra i fondatori di Start-Up Chile), Naval Ravikant (founder di Venture Hacks e Angel List) e Richard Branson di Virgin;
  • possibilità di testare il proprio prodotto in un mercato piccolo ma iper-ricettivo;
  • accesso al funding diretto e senza intoppi.

In pratica, Start-Up Chile è una Silicon Valley Time-Machine. Mi piace chiamarla così – e ho scoperto che anche Vivek è della mia stessa opinione – perché qui puoi fare in pochi mesi quello che altrove realizzeresti in anni di lavoro. Tutto è ad alta densità, senza sprechi e molto veloce. Ho trovato un’incredibile amicizia, affiatamento e supporto con gli altri startupper, così come calore simpatia e stima verso tutti i Cileni che sto conoscendo.

È un’esperienza che ti apre al mondo e ti cambia la vita. Scoprire altre culture e guardare da fuori le realtà che già conosci (gli USA e l’Italia nel mio caso) ti dà un vantaggio incredibile su chi non esce mai dai propri confini. Per di più, il Cile ti mette addosso una carica pazzesca: in due mesi ho partecipato a circa 20 meetup e almeno altrettanti eventi, mixer e bizcamp. Ci aggiungo sette demo pitches per presentare la mia startup, qualche speech e delle lezioni all’università.

Ma il lavoro non finisce qui, perché ogni persona che conosci da queste parti può farti fare un passo in avanti. A parte l’incontro con Richard Branson (sulle foto dei giornali ci sono finito anche io!) ho conosciuto un po’ di investitori tra Santiago e Buenos Aires e visitato due incubatori argentini fantastici: Nxtplabs e Wayra. Di imprenditori ne ho incontrati davvero tanti, ho presentato la mia startup a molti clienti ed agenzie e avviato qualche trattativa con dei big internazionali.

Ho anche conosciuto più di 250 giovani startupper che vengono da circa 30 paesi, ma la sfida più grande non è stato certo parlare in inglese. Visto che adesso lavoro qui, ho capito che forse era il caso di sciogliersi e fare le presentazioni pubbliche in spagnolo. I risultati si vedono, perché adesso capisco quasi tutto, tenendo presente che il cileno è molto più difficile dello spagnolo del Vecchio Continente. Ci tengo molto a questo dettaglio perché mi piace avere un buon rapporto con tutti i professionisti locali. Qui in Cile la gente è molto diretta, non perde tempo, e ha le idee molto chiare. Start-Up Chile ha messo in moto una dinamo di innovazione e voglia di fare incredibile.

Ma cosa ci guadagna il Cile? Questo e’ il punto chiave di tutto il programma. In due parole: scambio culturale. Invitando 1000 energici imprenditori da tutto il mondo e portandoseli in casa, il paese spera di promuovere l’innovazione tra gli imprenditori locali o convincere chi ha un’idea a diventarlo. La visione più allargata è quella di far diventare il Cile il vero hub per l’innovazione e l’imprenditoria in America Latina, che conta più di 400 milioni di abitanti. Per strutturare e ottimizzare l’impatto di Start-Up Chile (che per ora e’ stato studiato per durare dal 2011 al 2014) è stato inventato l’RVA (Return Value Agenda), ovvero un sistema a punti che stimoli gli startupper invitati a compiere specifiche attività:

  • trasferire conoscenza, skills, e mentalità ai cileni;
  • partecipare (e organizzare possibilmente) a seminari, meetup, corsi e classi universitarie
  • fare da mentor a giovani imprenditori cileni, soprattutto fuori da Santiago, e spingerli a pensare globalmente
  • condividere tutti i fallimenti (in Cile il fallimento è visto malissimo, e la mentalità deve essere cambiata).

Ogni startupper riceve dei punti (da 50 a 400 a seconda del tipo di attività) ed è tenuto a raggiungere quota 4000 entro la fine del programma. Comunque sia, c’è spazio anche per altro: in due mesi di lavoro vivi delle esperienze che non dimentichi facilmente. Io, per esempio, mi sono trovato al diciannovesimo piano durante un terremoto di magnitudo 6.5: non è affatto piacevole, però dicono che in Cile fa parte del gioco.

Per fortuna, ho avuto anche un po’ di soddisfazioni e sperimentato più di 20 ristoranti di sushi e altrettanti di ceviche. Il Cile ha 4000 chilometri di coste e i piatti di pesce qui sono qualcosa di straordinario. E poi, vedere il mondo dal “Polo Sud” è veramente un’esperienza unica. Vi aspetto tutti in Cile: Happy Innovation!

Santiago del Cile, 8 maggio 2012PAOLO PRIVITERA

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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