Caro Renzi, non siamo cervelli in fuga, è l’Italia che ci respinge. E non cambieremo verso con un tweet

scienze

Vi ricordate quando a fine Gennaio veniva riportato dalla stampa Italiana uno scambio di Tweet tra Vittorio Zucconi e il premier Renzi a proposito dei cervelli in fuga? “Digli di tornare. Questa è davvero #lavoltabuona” scriveva il premier.

Certo la stringatezza dei 140 caratteri di twitter non permette di elaborare idee complesse, però sarebbe bello capire per quali motivi e con quali azioni il governo sta creando “la volta buona” per fermare ed invertire questa fuga.Fatemi premettere che la definizione di “cervello in fuga” mi fa venire i brividi e genera i presupposti per molti dei ragionamenti sbagliati che vengono elaborati su questo problema che affligge il paese.

Diciamolo forte, i cervelli non sono in “fuga”. I cervelli sono in “cerca”.

In cerca di opportunità, innovazione, idee.

E i cervelli non sono solo ricercatori e scienziati, ma chiunque abbia sete di innovazione. Sete che può essere saziata ovunque: di bandiere non ce ne sono. Capire che i cervelli sono in “cerca” ribalta immediatamente la prospettiva su questo problema: non sono i cervelli che fuggono, e’ l’Italia che li respinge non offrendo loro le giuste possibilità.

Il sapere, la conoscenza, l’innovazione vivono una globalità che non ha precedenti nella storia dell’uomo. Ogni paese esercita di conseguenza una forza d’attrazione sui “cervelli” che è semplicemente correlata alle opportunità offerte per realizzare idee, conoscenza e innovazione. E i cervelli circolano di continuo, creando una dinamica in cui ogni paese diventa produttore e consumatore di cervelli.

Sì, perchè in un mondo globale un paese sano deve sia importare che esportare cervelli.

Ma è qui che nasce il problema. Se definiamo una sorta di bilancia dei pagamenti dei cervelli, alcuni paesi esportano molto di più di quello che importano. E purtroppo quando si parla di cervelli più un paese esporta e più si impoverisce. Questo fenomeno si chiama “brain drain” (che possiamo tradurre con “drenaggio” or “prosciugamento” dei cervelli). Brain drain è l’espressione corretta da impiegare invece che fuga dei cervelli in quanto comunica chiaramente che c’è un perdente che viene prosciugato di risorse umane essenziali.

Il premier Matteo Renzi. Foto: Benvegnù-Guaitoli (Corriere.ir)

Purtroppo per l’Italia il prosciugamento dei cervelli è un problema serio.Parliamo di dati. Una recente analisi riportata dal World Economic Forum ha misurato sia il bilancio negativo che positivo del flusso di scienziati dei paesi del mondo tra il 1996 e il 2011.L’Italia ha ovviamente un flusso negativo, dato che non sorprende nessuno.

Un esempio: i bandi del CNR di post dottorato sono solo in Italiano e si esclude l’intervista del candidato per via telematica a meno che non ci sia il riconoscimento consolare. Vi immaginate per un Olandese, un Francese o un Indiano cosa significa? Nel 2015 queste limitazioni ottocentesche sono inaccettabili.Ma non solo. Misurando la qualità media degli scienziati attraverso indicatori standard di impatto, si mostra che l’Italia importa “cervelli” di qualità inferiore a quelli che esporta. Tra i paesi europei è quello con lo sbilancio di qualità più significativo. Questo tipo di dati fanno capire quanto sia serio il problema non solo in quantità ma in qualità di impoverimento del paese. Invertire questa tendenza dovrebbe essere una priorità per la classe dirigente Italiana.

Ogni governo degli ultimi vent’anni ha infatti inventato leggi e leggine definite “rientro dei cervelli”. Onestamente queste leggi sono solo modesti palliativi.

Il vero problema non è far rientrare i nostri cervelli che magari vivono da vent’anni all’estero, ma come trattenere l’enorme numero di straordinari cervelli che l’Italia ha prodotto e che hanno deciso coraggiosamente di restare in Italia.

Della mia generazione conosco tantissimi “cervelli” che hanno lottato per realizzare le proprie idee in Italia e che ci sono riusciti acquisendo eccellenza nazionale e internazionale. Purtroppo sempre più spesso negli ultimi anni li ho visti cominciare ad esplorare opportunità all’estero anche quando avevano prestigiose posizioni in Italia. Mortificati da un sistema che non riforma strutturalmente il mondo della ricerca, taglia i fondi, e in poche parole non si interessa di rilanciare il proprio ciclo di produzione di conoscenza e innovazione.

Io ho sempre cercato di essere ottimista e soprattutto, se possibile, propositivo. Quasi un anno fa scrivevo proprio qui su CheFuturo una lettera aperta a Matteo Renzi con una lista di punti sui quali si doveva iniziare ad operare con dei veri cambiamenti per rifondare il comparto ricerca, istruzione e innovazione. Non è mai arrivata risposta. Non tanto alla mia lettera che certamente è irrilevante. Purtroppo non è mai arrivata una risposta politica a una situazione sempre più grave.

La giustificazione è sempre la stessa: ci sono problemi più urgenti.

Il fatto è che non affrontare questa rifondazione in un momento di crisi del paese è come avere una casa con le finestre aperte durante un inverno particolarmente freddo e argomentare che non si ha il tempo di chiuderle perchè bisogna prima affrontare il problema dell’alto costo del riscaldamento. Se non si chiudono le finestre il costo del riscaldamento non può che aumentare. Nello stesso modo un paese deprivato delle sue risorse umane più valide e di un motore culturale e tecnologico funzionante difficilmente riuscirà ad invertire la sua traiettoria di progressivo decadimento.

Un tweet non basta a spiegare perchè per i cervelli Italiani sia davvero #lavoltabuona. E così l’Italia aspetta ancora che qualcuno chiuda le finestre…..sperando di non morire prima di freddo.

ALESSANDRO VESPIGNANI

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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