Certificare le competenze digitali per garantire le professionalità

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Angeli Digitali, Animatori Digitali, Campioni Digitali, eccellenze digitali. Questi sono solo alcuni dei termini che in questi ultimi mesi vediamo girare sia nel mondo analogico (quotidiani cartacei) che nel mondo digitale (in particolare nei blog e nei social network).

Quando usiamo questi termini il collegamento è sempre con le competenze digitali, tema che sta particolarmente a cuore all’Europa e che in Italia spesso fatica ad essere compreso nel modo corretto.

In origine c’erano le “patenti digitali” e il world “wild” web

Siamo stati abituati negli anni passati una vera e propria corsa all’oro in un settore dove non esisteva alcuna regolamentazione. Con la classica scusa che “il mercato ICT è dinamico, non possiamo regolamentarlo”, è partita questa corsa all’oro dove società, associazioni e similari hanno iniziato a proporre iniziative formative con l’ambizione di supportare la riqualificazione degli “immigrati digitali”, ossia coloro che – per sfortuna o volontà – si sono sempre tenuti distanti dal mondo della digitalizzazione.

Il “Bingo!” lo fece l’ECDL, ossia la certificazione proprietaria nata da AICA (associazione culturale che opera in Italia dagli anni 60), sviluppata coinvolgendo altre associazioni in ambito europeo. E questo progetto è stato senz’altro l’apripista per successive attività di normazione, anche se spesso sopravvalutato sotto l’aspetto “formale”.

Ancora oggi si pensa che l’ECDL sia una patente europea, in quanto emanata dall’unione europea, tanto che nel 2004 in un parere che ha avuto davvero poco risalto, l’Autorità antitrust ha dichiarato che “la preferenza che viene accordata alla ECDL in ambito pubblico, ma anche in ambito privato, sta avendo un effetto negativo sulla concorrenza nel settore, cioè su tutto il coacervo di certificazioni valide ed efficaci che sono rilasciate in Italia da organizzazioni diverse da AICA.

Quelle certificazioni, frutto di programmi formativi alternativi, sempre meno vengono considerate rispetto ad ECDL e, in ambito pubblico, talvolta non sono considerate affatto.” L’autorità poi concludeva che “nella prassi corrente si giunge a considerare quella ECDL come unica certificazione valida delle conoscenze informatiche di base nei confronti della Pubblica amministrazione, negando ogni valore alle altre forme di certificazione delle stesse conoscenze.”

Al mondo ECDL si aggiungono le certificazioni proprietarie di prodotto, per cui nei curriculum cominciano a comparire diciture di specializzazione su specifici prodotti, il cui ciclo di vita tra l’altro è spesso più breve della durata della certificazione. Tutto questo, sino al 2013, era valutato a discrezione del datore di lavoro, anche nell’ambito della Pubblica Amministrazione (sia in ambito lavorativo, sia in ambito universitario).

Guardiamoci alle spalle e valutiamo con il senno di poi cosa ha portato l’assenza di una standardizzazione. Ad oggi abbiamo migliaia di persone con competenze di base dovute a formazione proprietaria (spesso tra l’altro su prodotti proprietari), ma non abbiamo definizioni chiare di competenze digitali per diverse tipologie di professionalità. Viceversa abbiamo un mercato frammentato dove vince chi investe maggiormente in pubblicità o chi, con fiuto da segugio, annusa per primo un settore ancora “vergine” e pianta la propria bandierina come segno di conquista.

Cosa cambia dal 2013?

La strategia del piano Europa 2020 pone lo sviluppo di conoscenze, capacità e competenze quale premessa per la crescita economica e dell’occupazione al fine di migliorare l’ingresso e la progressione nel mercato del lavoro, facilitare le transizioni tra le fasi lavorative e di apprendimento, promuovere la mobilità geografica e professionale.

In tale prospettiva si è affermata l’esigenza di costruire un sistema di riconoscimento, validazione e certificazione delle competenze

Qualcosa che permetta a chiunque di poter valorizzare e spendere le proprie competenze acquisite in un determinato contesto geografico, nel mercato europeo del lavoro e nei sistemi di istruzione e formazione.

Il sistema nazionale di certificazione delle competenze è previsto dall’art. 4 della legge 92 del 2012 che delega il governo alla definizione delle norme generali e dei livelli essenziali delle prestazioni per l’individuazione e validazione degli apprendimenti acquisiti in contesti non formali e informali, con riferimento al sistema nazionale di certificazione delle competenze e ne stabilisce i criteri e principi direttivi.

I successivi commi dello stesso articolo disegnano in modo chiaro il sistema pubblico nazionale di certificazione delle competenze, mentre il decreto legislativo n. 13 del 16 gennaio 2013 ne disciplina l’attuazione.

Il d.lgs. 13/2013 costituisce quindi il “tassello” fondamentale per valorizzare il diritto delle persone all’apprendimento permanente, in un’ottica personale, sociale e occupazionale. Il decreto si articola in due linee di intervento prioritarie:

  1. la costituzione del repertorio nazionale dei titoli di istruzione e formazione e delle qualificazioni professionali;
  2. la definizione degli standard minimi del servizio del sistema nazionale di certificazione delle competenze (di processo, di attestazione, di sistema).

In questo modo il legislatore ha consentito di definire una serie di “paletti” per iniziare una seria catalogazione al fine di distinguere i percorsi formativi e le certificazioni riconosciuti da quelli non riconosciuti.

Quando la norma tecnica completa la norma legislativa

Uno dei punti importanti del Dlgs. 13/2013 da pochi attualmente considerato è che si considerano validi i percorsi formativi e certificativi rispetto a specifiche norme UNI. Come già raccontato da Chefuturo!, nell’ambito delle professionalità ICT esistono già delle specifiche norme UNI per la definizione di percorsi di formazione e certificazione per 23 profili ICT generici, 25 profili Web e 12 profili sulla sicurezza informatica. Questi profili sono chiaramente indicati per chi opera professionalmente in ambito ICT e sono difficilmente “mappabili” per soggetti che devono avere competenze ICT ma non devono essere necessariamente esperti del settore.

Siano esse di base o fortemente specialistiche, le competenze digitali devono divenire la prima priorità del sistema di formazione permanente dei dipendenti, pubblici e privati. Per favorire allora la maggiore e più omogenea possibile diffusione di competenze digitali tra il personale delle Pubbliche Amministrazioni, occorre giocoforza evitare l’errore della frammentazione dei riferimenti metodologici e puntare piuttosto a dei framework condivisi che individuino competenze, skills e profili standardizzati.

In Italia abbiamo già normato con la UNI 11506:2013 il modello e-CF (e-Competence Framework) per definire i “mattoncini” di catalogazione dei professionisti ICT. Esiste qualcosa di simile in Europa per altre tipologie di utente? La risposta, per fortuna, è affermativa. Il modello DIGCOMP (DIGital COMpetence) appare essere quello più completo per identificare le componenti chiave e per proporre una tabella definitoria con le descrizioni dettagliate delle competenze digitali basilari per tutti i lavoratori, non solo quelli ad alta specializzazione nel campo dell’ICT.

DIGCOMP per l’alfabetizzazione digitale

Il modello DIGCOMP per l’alfabetizzazione digitale è un quadro comune di riferimento europeo per le competenze digitali. Costituisce un punto di riferimento per le iniziative degli stati membri volte a sviluppare, migliorare e sostenere lo sviluppo delle competenze digitali dei cittadini, individuando e descrivendo le competenze digitali in termini di conoscenze, abilità e atteggiamenti.

DIGCOMP fornisce una definizione dinamica delle competenze digitali che non guarda all’uso di strumenti specifici, ma ai bisogni digitali di ogni soggetto: bisogno di essere informato, bisogno di interagire, bisogno di esprimersi, bisogno di protezione, bisogno di gestire situazioni problematiche connesse agli strumenti tecnologici ed ambienti digitali.

Nel quadro di riferimento DIGCOMP le competenze digitali sono declinate in 21 competenze specifiche organizzate in 5 aree: informazione, comunicazione, creazione di contenuti, sicurezza, problem solving.

1. INFORMAZIONE: identificare, localizzare, recuperare, conservare, organizzare e analizzare le informazioni digitali, giudicare la loro importanza e lo scopo.

2. COMUNICAZIONE: comunicare in ambienti digitali, condividere risorse attraverso strumenti on-line, collegarsi con gli altri e collaborare attraverso strumenti digitali, interagire e partecipare alle comunità e alle reti.

3. CREAZIONE DI CONTENUTI: creare e modificare nuovi contenuti (da elaborazione testi a immagini e video); integrare e rielaborare le conoscenze e i contenuti; produrre espressioni creative, contenuti media e programmare; conoscere e applicare i diritti di proprietà intellettuale e le licenze.

4. SICUREZZA: protezione personale, protezione dei dati, protezione dell’identità digitale, misure di sicurezza, uso sicuro e sostenibile.

5. PROBLEM-SOLVING: identificare i bisogni e le risorse digitali, prendere decisioni informate sui più appropriati strumenti digitali secondo lo scopo o necessità, risolvere problemi concettuali attraverso i mezzi digitali, utilizzare creativamente le tecnologie, risolvere problemi tecnici, aggiornare la propria competenza e quella altrui.

Come per e-CF, per ciascuna delle competenze è possibile operare una lettura per “dimensioni”. All’interno del modello vi sono esempi di applicabilità relativi ai settori dell’educazione e dell’occupazione e contengono, per ciascuna delle 21 competenze, la descrizione di tre livelli di proficiency (base, autonomo, avanzato).

Alziamo l’asticella delle competenze digitali?

DIGCOMP non è ancora norma tecnica, ma può essere comunque un punto di partenza per una futura normazione e/o recepimento. Grazie a questo framework, assieme a e-CF, è possibile definire una serie di requisiti “minimi” di “competenze digitali” per ruoli e professionalità. Pensiamo ad esempio al tanto discusso ruolo dell’animatore digitale, in cui con una corretta profilazione delle competenze il MIUR potrebbe formare e certificare tali soggetti con garanzia che gli stessi siano in grado di poter svolgere le mansioni assegnate.

Se passiamo ad altri settori, possiamo pensare alle competenze digitali minime richieste a professionisti non ICT (avvocati, commercialisti, medici, ecc.). In questo caso, dove tra l’altro vi è obbligo di formazione professionale su base annuale, disporre degli “obiettivi di competenze digitali” potrebbe aiutare ad aumentare la digitalizzazione di tali soggetti. Passando per il mondo dell’impresa, iniziative di alfabetizzazione basate su profili condivisi garantirebbero un successivo adeguato monitoraggio dei risultati divulgativi. Infine, DIGCOMP è nato per le competenze del cittadino e pertanto quale miglior strumento può esserci per far crescere digitalmente gli italiani, utilizzando modalità di apprendimento multicanale?

Il futuro è già qui. Esiste. Basta coglierlo e non lasciarlo passare, perdendo nuovamente il treno della digitalizzazione.

ROBERTO SCANO

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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