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#Chewifi, Unidata insegna che l’innovazione deve abbattere le barriere

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C’è un pezzo del passato del Wi-Fi italiano e un indizio su quale potrebbe essere il suo futuro, nella storia del provider romano Unidata. È uno dei pionieri di questi servizi, dal 2005, quando ha cominciato a partecipare al consorzio RomaWireless. Ma poi si è votato ad altri obiettivi, più estesi e più aperti: ha collaborato con ProvinciaWiFi (della Provincia di Roma), ha aderito al progetto europeo Wi-Move, che riguarda altre città e che offre servizi turistici via Wi-Fi oltre al semplice accesso internet. Ad oggi Unidata ha 200 hot spot a Roma, che arrivano a 2mila se includiamo quelli gestiti in altre città.

A ripercorrere queste vicende si comprende una cosa: che il futuro del Wi-Fi italiano è nell’apertura dei servizi.

Oltre i recinti geografici e politici con cui siamo abituati a fare i conti nel mondo reale. Apertura anche oltre la mera offerta di accesso a internet e verso servizi innovativi, che sfruttino le reti wireless come piattaforma per offrire qualcosa di nuovo. Qualcosa che prima non era alla portata degli utenti.

«L’impegno di Unidata per lo sviluppo del sistema Wi-Fi nel nostro Paese, a cominciare dalle sue principali città, viene da lontano. Comincia con RomaWireless nel 2005», racconta Renato Brunetti, presidente e fondatore dell’operatore (nel 1985), che da quest’anno è anche presidente di Aiip, l’associazione dei principali provider internet italiani. RomaWireless è un consorzio, spin-off del Distretto dell’Audiovisivo e dell’ICT di Roma, costituito in accordo con l’Amministrazione comunale e la Sovraintendenza di Roma.

Unidata ha dato il supporto tecnico e così a contribuito a mettere quelli che sono stati i primi hot spot Wi-Fi pubblici romani e che poi sono confluiti nella rete di ProvinciaWiFi. La quale, a sua volta, si è integrata nel progetto di Free Italia WiFi, che comprende le reti di numerose Pa italiane.

In parallelo, Unidata ha partecipato a Wi-Move, «che si differenzia per due ragioni da quanto fatto prima – spiega ancora Brunetti – ci ha permesso di abbandonare l’ambito territoriale capitolino, per arrivare con il Wi-Fi a Firenze, Cagliari, Parma, Genova. Un’altra novità è che non ci siamo accontentati di fornire solo l’accesso ad internet, ma abbiamo voluto associarvi servizi innovativi dedicati ai turisti». I turisti connessi alla rete Wi-Move possono infatti accedere a informazioni quali i tempi di percorrenza delle reti stradali, la disponibilità e i tempi di attesa dei mezzi di trasporto pubblico, i ritardi del trasporto ferroviario.

«Una novità meramente “tecnica” sta invece nell’installazione, rispetto al progetto RomaWireless, anche di antenne hot-spot di tipo mobile, sui tram».

Unidata ha collaborato in quegli anni con la Regione Sardegna per il progetto Surfinsardinia e ha promosso l’iniziativa 150 Piazze Wi-Fi.

C’è un’idea di fondo in tutte queste iniziative. L’innovazione – soprattutto se basata su una tecnologia democratica e diffusa come il Wi-Fi – va fatta abbattendo le distanze geografiche, rinunciando a chiudersi nella propria città d’origine, accettando accordi con terze parti, per sviluppare assieme un progetto comune. Senza il solipsismo tipico del pioniere, che si chiude alla collaborazione con altri che hanno avuto idee simili. In questo modo è possibile anche innovare i servizi. Se nel 2005 era innovativa anche la semplice offerta di internet via Wi-Fi nelle piazze e nei bar, adesso la frontiera è svilupparci servizi sopra. Il Wi-Fi può diventare piattaforma di informazioni per il turista (con Wi-Move), strumento di marketing di prossimità (come fa l’operatore Futur3) e veicolo per l’offload delle reti 3G/4G (come propone l’operatore Guglielmo).

Ma la storia del Wi-Fi italiano è anche quella degli innovatori che si scontrano con le barriere mentali di politici e burocrati. Il caso romano è emblematico. «Il 21 dicembre 2012 la giunta Alemanno – prasegue il numero uno di Unidata – ha deciso di inaugurare una nuova rete Wi-Fi. La qualità del servizio in certe zone si è dimostrata, specie nei primi tempi, assolutamente carente se non totalmente assente (come in Piazza Indipendenza, ad esempio). Il Comune inoltre ha posto alcuni hot spot in zone già ampiamente coperte dalle precedenti due reti (RomaWireless e Provincia WiFi), che invece – collaborando – avevano evitato di sovrapporsi. Tale sovrapposizione non è solo uno spreco di fondi pubblici (2 milioni di euro stanziati dal Comune). Ha causato anche il caos tra gli utenti, che si sono trovati a doversi registrare a reti diverse negli stessi luoghi, per navigare».

Insomma, gli innovatori possono adottare un approccio aperto, ma poi si scontrano con l’opposta mentalità di alcuni politici. Ci si può consolare, però. Il risultato finale che si ottiene, una maggiore o minore efficienza dei servizi, rivela subito quale sia l’approccio migliore per sviluppare il digitale in Italia.

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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Scritto da chef

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