Chi sono davvero i Makers? La risposta è una trottola con una monetina –

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Firenze, un venerdì di sole che spacca. Entro ed esco dai padiglioni della Mostra Internazionale dell’Artigianato e tento di raccapezzarmi tra lo shock buio-luce, caldo-freddo e i mille stand. Cerco dei pattern, delle tendenze, dei collegamenti tra le cose che diciamo – “Artigiani digitali”? WTF?!? – e chi espone, tra l’apparentemente astratto di Internet e il superficialmente concreto del territorio.

Mi aggiro per i corridoi correndo perché come al solito non ho tempo, ho l’iPhone al 2% di batteria e sto perdendo cose importanti. Come al solito. Poi vedo un signore con baffoni e capelli bianchi che indica la scritta sopra il suo stand: “Trottolaio”. Abbasso lo sguardo e vedo le vecchie trottole di legno e corda. Gli chiedo se mi fa vedere come si usano, lui mi sorride e si illumina.

Avvolge la corda, prende una moneta da un centesimo e la butta per terra. In mezzo al corridoio. A bloccare i passanti. Racconta che così facevano i bambini, si giocavano la monetina a chi lanciava la trottola più vicina. E con gesto morbido la lancia, la corda si srotola e noi nel corridoio siamo tutti fermi a guardare giù, la trottola che gira vicina a una moneta da un centesimo.

E’ appena finita la mattinata dell’evento Digital Makers organizzato da CNANext. Con altri, si è discusso di come tecnologie, artigianato, Rete e whatever else si possano incontrare (o no) per supportare quel tessuto di piccole imprese tipiche della tradizione (e non) italiana. Si parla di nuove tecnologie che entrano nell’artigianato, artigianato che entra in Rete, casi ed esempi, altro.

Breve sintesi di un pensiero più complesso che non riusciamo ancora a definire.

Chi sono i Makers italiani? Artigiani, certo, e meccanici. Carenti però di cultura tecnologica, per cui aggiungiamo gli hacker, che partendo dalla Rete si sono rimessi a fare cose (definizione non casuale, come vedremo oltre) non solo digitali. Hacker a cui, a loro volta, manca una cultura della progettazione, per cui aggiungi anche i designer. Che nel tempo hanno perso la pratica, per cui si torna all’inizio. A un livello superiore, però: manca ancora la definizione, ma almeno si parla tra gente diversa e i discorsi diventano interessanti.

Gli americani non sono messi molto meglio di noi. Appena tornato a casa trovo una mail di Make, il magazine “bandiera” dei Makers in cui mi chiedono di partecipare a un sondaggio proprio per definire cosa diavolo sia, questo movimento.

E tra le domande c’è di tutto: se costruisci oggetti, se fai startup, se sei mai stato al Burning Man, se ti occupi di… Steampunk. Steampunk? Non stupisce se Dale Dougherty, che di Make è il fondatore e che abbiamo incontrato al World Wide Rome, in questo guest post per la CNN usa la definizione più semplice possibile: Makers, or people who make things with their hands”.

Non mi stupisce se nel casino che c’è nella mia testa metto assieme Ecoartigianato, che dalle colline del Chianti vende cuscini naturali (disclaimer: Blomming è la startup su cui sto lavorando da un po’), Filippo Berto che fa salotti in Brianza e pubblica video su YouTube, Luca Carbonelli che fa caffè a Napoli parlandone sui social media e nello stesso tempo le tradizioni della sartoria, del legno, di quant’altro ti pare.

Chiaro: tutti preferiamo fare prodotti che costino poco, che non creino problemi e che abbiano una redditività pazzesca. Meglio ancora se poi possiamo delocalizzare e/o esternalizzare i servizi, snellire l’impresa, concentrarci sul valore, sul marketing. E invece no, sorry. Il nuovo secolo è cominciato una dozzina d’anni fa. Il marketing è morto – lo dice il CEO di Saatchi & Saatchi – e l’economia è in crisi, ma io non mi sento affatto “poco bene”. Nonostante le difficoltà, vedo emergere nuovi modelli. Il problema è “nuovi”. L’opportunità è che in Rete sono sostenibili. Ci vuole solo un po’ di tempo.

E la monetina? E’ ancora Dougherty a rispondere: “Soon, however, they find out that there are lots of people like you out there. When you find others, you have a community and that community offers a place to show your work, trade tools and swap ideas, and just have fun”. O fare business. Perché la Rete è come il marketing della monetina: basta poco, basta lanciarla dove sta la gente e raccontare.

“Vediamo una rete complicata di somiglianze che si sovrappongono e si incrociano. Somiglianze in grande e in piccolo”, diceva il filosofo Ludwig Wittgenstein. Certo, lui indagava i misteri della Mente e non certo cose pratiche. Questa frase mi ha sempre colpito, perché aiuta a non preoccuparsi tanto delle definizioni, quanto del senso. Non mi preoccupa definire esattamente chi sono i Nuovi Artigiani, perché so chi sono. Quel che mi dispiace, piuttosto, è non aver comprato la trottola. E che non troverò mai più quell’artigiano. A meno che non venga in Rete.

Milano, 7 maggio 2012ALBERTO D’OTTAVI

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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