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Ciò che produci è ciò che sei: La startup innovativa come la farebbe mio nonno

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Leggendo e rileggendo l’interessante intervista a David Meerman Scott ho avuto la netta sensazione, vista la semplicità di ragionamenti logici, che ciò che è più evidente agli occhi, spesso, si ignora o si ritiene superfluo. Da questa consapevolezza nasce la mia riflessione successiva: I Governi ci fanno o ci sono? Lo capiscono o no che l’innovazione delle imprese è fondamentale per lo sviluppo economico di un Paese? Secondo me lo capiscono, ma non se ne interessano.

Startup è un termine che vuol dire “sperimentare” e sappiamo bene che non si vuole sperimentare niente di nuovo, perché il “nuovo” spaventa e non si conosce. Si investono miliardi per cercare di risanare il vecchio e non si capisce che, in alcuni casi, è necessario resettare e provare nuove strade su ciò che però già esiste ed è a disposizione.

Basta rimodularne la “forma” d’uso e integrare nuovi modelli di azione.

Fare Startup ha un senso in un momento come quello che viviamo, ma cosa significa realmente e come possiamo contestualizzare questo processo di innovazione?

Startup, come concetto, produce “illusioni” e rischia di far precipitare il suo reale valore “umano”: Innovazione. Solo noi umani abbiamo la capacità intellettiva per innovare, ed è questo che ci distingue da altre forme di vita intelligente.

Fare un’ impresa necessita di un ambiente idoneo al suo sviluppo. Io concepisco l’impresa “nuova” come un diverso modello di vita; un sistema di connessioni tra persone e territorio. Troppo occupati a guardare gli altri abbiamo dimenticato che viviamo in un territorio ricco di risorse “naturali” e fonti di economia macro sociale.

Coinvolti dalla tecnologia abbiamo confuso il vero obiettivo: offrire comodità in ambiente già precostituito. Quindi, il succo è: non dobbiamo creare niente di nuovo, semmai semplificarlo grazie alla tecnologia, innovando ciò che già esiste.

L’innovazione è un processo che non significa “novità”, significa piuttosto sviluppo di un’idea più funzionale all’ambiente circostante, che sfrutti sistemi, connessioni e strumenti esistenti per adattarsi e diffondersi. Una volta raggiunta la diffusione massima diventa uno standard, quindi diventa un processo e modello conosciuto.

Penso a come mio nonno immaginerebbe una startup oggi.

Credo, innanzitutto, che avrebbe difficoltà a capire perché chi ha un’idea d’impresa “innovativa” vuole competere con delle esibizioni da circo per contendersi un’approvazione da un “gran giurì” di finanziatori che definisce più o meno valida un’idea in base a dei loro modelli di impresa.

Sicuramente mio nonno semplificherebbe questo processo essendo cosciente che per fare impresa servono soldi e contatti, il resto sono “montature”.

Allo stesso tempo partirebbe da quello che più gli è vicino per iniziare; non penserebbe subito a quali “strumenti” usare ma a cosa serve per poterli utilizzare.

Banalmente, vivendo in un territorio fatto di sole, mare, montagna e cultura avvierebbe un’impresa cercando di sfruttare queste risorse infinite e gratuite. Comincerebbe la sua startup trovando il luogo più adatto, dove per luogo si intende il “contesto” dove far vivere la sua impresa.

Trovato il luogo più adatto, arriverebbe semplicemente alla conclusione che il modo più semplice per monetizzare nel breve termine la sua impresa sarebbe quello di avviare un’attività “aperta” a chi vuole usufruire di servizi.

Nello specifico, considerando che il nostro Paese è tra i più visitati al mondo, penserebbe di vendere qualcosa a chi vuole visitarlo e non certo al vicino di casa che, per quanto gli possa volere bene, non gli darà mai un soldo, se non altro per invidia.

Essendo a conoscenza dell’evoluzione delle tecnologia e del web, approfondirebbe la logica di quest’ultimo, si costruirebbe un sito internet e vivrebbe il contesto digitale come un’integrazione della sua attività quotidiana.

Sarebbe felice di pensare che le persone possano lasciargli dei suggerimenti sul suo lavoro attraverso il web, pur se dall’altra parte del mondo. Lo troverebbe immenso.

Conoscendolo, molto probabilmente, chiederebbe prestiti solo se realmente restituibili, e non si fiderebbe delle banche ma delle persone.

Il suo concetto di startup moderna coinciderebbe molto con il mio e vedrebbe realizzata la sua creazione grazie ad un lavoro di squadra che va oltre le competenze individuali e si basa soprattutto sulla sinergie tra le parti.

Mio nonno ha fatto la guerra, cresciuto 10 figli e lasciato case e terreni ad ognuno. Ha lavorato sempre con il sorriso e ha saputo distinguere i lestofanti dagli amici. Ha contratto debiti e li ha risanati. Ha vissuto un mondo calpestato dal fascismo e rinato dall’industrializzazione, ma alla fabbrica ha sempre preferito raccogliere un limone dal suo orto. Perché diceva che ciò che produci è ciò che sei. E se sai cosa produci sai quello che sei e che puoi diventare.

Mio nonno la startup l’ha fatta davvero ed in posti socialmente critici che voi neanche immaginate e lo Stato non ha avuto molta riconoscenza del suo impegno. Oggi, però, avrebbe la stessa voglia, che ha avuto, di capire cosa richiedono le persone e cosa è necessario costruire per renderle soddisfatte.

A dire il vero mio nonno non comprenderebbe l’assuefazione delle tasse per un’impresa nascente. Lui ha visto il “rinascimento” economico dopo la guerra e la facilità di avvio di un’attività commerciale. Per prendere una licenza bastava chiederla; le tasse erano adatte allo sviluppo e non alla decrescita. Si sorprenderebbe nel capire la logica per cui essendo stati travolti da un altro tipo di guerra, quella economica e finanziaria, non si faccia niente per invogliare, come una volta, a crescere spingendo le persone ad investire.

L’impresa “moderna” deve saper inserirsi in un ambiente, coltivare le relazioni con le persone ed usare le tecnologie per facilitare lo scambio. Mio nonno non avrebbe pensato di partire dallo strumento per poi convincersi di poterlo vendere. Avrebbe preferito capire cosa si poteva vendere per poi trovare gli strumenti più adatti per realizzare la vendita.

Io l’ idea di startup me la sono fatta: ho conosciuto ragazzi come me che hanno idee d’impresa eccezionali, che non possono fare impresa perché chi ha offerto loro qualcosa voleva solo fregarli. Perché la loro idea d’impresa è talmente corretta che non convince le istituzioni e probabilmente si realizzerà da un’altra parte del mondo. La nostra visione d’impresa innovativa si mescola con ciò che esiste e ne semplifica i processi. Avremmo semplicemente più bisogno di fiducia da parte di chi dovrebbe sostenerci. L’alternativa sarebbe affidarci alla parte oscura del sistema, a cui dovremmo vendere la nostra anima.

Non abbiamo “amici” che ci indicano i bandi “giusti”. Non abbiamo un capitale iniziale importante, abbiamo dei risparmi e vorremmo reinvestirli. Come si fa con una pianta, abbiamo scelto il terreno adatto, vorremmo piantare il seme e vederlo crescere forte e proficuo di frutti. Abbiamo la consapevolezza che la pianta potrebbe crescere come anche morire, ma vogliamo farlo perché ci crediamo.

Io un’impresa sto provando a costruirla con persone di cui mi fido ciecamente e non ha niente a che vedere con quelle che ho sentito finora.

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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