Come il miele per la birra

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Una storia plurimillenaria, che risale ai sumeri. Le testimonianze proseguono nell’antico Egitto, quando sono state elaborate le prime regole per la produzione, una sorta di disciplinare. E per chi non le rispettava, era prevista la pena di morte. Stiamo parlando della birra.

Anzi, a ripercorrere a grandi linee la storia di una bevanda di cui molti non conoscono la lunga tradizione mediterranea è Teo Musso, pioniere della birra artigianale italiana in quel di Piozzo (Cuneo), nel cuore delle Langhe. Un territorio conosciuto nel mondo per i suoi vini (e il padre di Musso faceva, appunto, il vino) e dove lui, invece, produce la birra inventandosi abbinamenti e metodi che affondano le radici nella storia.

Il suo regno è la Birreria Balladin, con tanto di cantina, e il relativo ristorante.

Qui si possono assaggiare le sue, tante, birre, e le riserve, frutto di viaggi, studi storici, sperimentazioni di sapori. Per esempio, gli abbinamenti con il miele, che presenta a Identità Golose: un tipo di accostamento partito da oltreoceano, dove ad esempio alla American World Cup è stata inserita una prima importante categoria speciale dedicata proprio alle birre al miele.

«Si possono fare birre con moltissimi tipi di miele: castagno, erica, zagara, acacia», spiega. L’erica, per esempio, ha la stessa impronta aromatica del malto. Ma bisogna stare attenti, «spesso il miele è preponderante» al gusto, si sente troppo. E allora ecco che lui utilizza delle foglioline di luppolo tritate, per bilanciare il sapore.

Qualche altro esprimento? Una birra prodotta con una resina etiope, una piccola pietruzza che sostituisce interamente l’utilizzo del luppolo, idrosolubile.

Racconta di aver scoperto che è stata utilizzata nella storia proprio dagli egizi: la bruciavano nella camera delle anfore di birra nelle stanze dei faraoni, in omaggio, evidentemente, a una timbrica aromatica che lui ha recuperato.

E qui si inserisce un nuovo excursus storico: oggi, la birra si fa appunto con il luppolo, che è un potente antiossidante e quindi un ottimo conservante, ma nell’antichità non era così. Questa pianta entra nella produzione della birra a partire dal 1100-1200, prima si utilizzava una miscela di spezie che, nel medioevo, veniva spesso commercializzata nei monasteri e nei conventi, luoghi in cui si produceva la birra.

Fu una piccola rivoluzione, seguita da altre pietre miliari, come le scoperte scientifiche di Pasteur sulla fermentazione, e poi ancora l’utlizzo del vetro per le bottiglie: una volta i recipienti erano opachi, non si vedevano il colore e la trasparenza della bevanda.

Con il vetro, è nata anche una nuova ricerca estetica. E lui ora disegna anche bottglie, continua a ricercare sapori, è attento alle tecnologie di produzione. «Alla fine degli anni ’90 – racconta – vendevo birra a un centinaio di ristoranti. Che pero’ poi non la mettevano in tavola. Oggi, ci sono 2mila 400 ristoranti in Italia che hanno una carta della birra», presente anche nei menù di circa 300 stellati Michelin nel mondo. In Italia, negli ultimi tre anni, sono nate 1100 etichette di birra prodotta artiginalmente, e ci sono circa 400 birrifici.

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Scritto da luxu

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