Come la bellezza salverà il mondo e l’economia

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In un paese come l’Italia l’idea del bello gira intorno a tutti noi, e nei nostri giorni migliori tutti vorremmo girare intorno al bello.

Le belle parole contro il rumore di fondo che ci opprime dalla tv. Il film la Grande Bellezza che ci commuove. Il mare nel weekend. Le scarpe fatte a mano di Saskia. A Firenze Ponte Vecchio al tramonto. Il bello del passato e il bello del presente, ma anche il bello del futuro, la rivoluzione industriale delle stampanti 3D, capaci di trasformare le merci standard dell’industria in oggetti smart, unici e personalizzati.

La bellezza salverà il mondo, scriveva Fiodor Dostoevskij che aveva conosciuto l’orrore di una finta esecuzione e della Siberia. Aveva ragione? La bellezza può salvare le nostre vite da una quotidianità distratta? La bellezza può farci sentire vivi, davanti allo schermo di un computer e nella vita di ogni giorno?

Dai siti, dai telegiornali, dalle prime pagine sembra quasi che la “crisi economica” sia ormai la nostra sola padrona.

Invece, a sorpresa, posta del duello tra Old Artisans contro New Makers, il tradizionale “fatto a mano” contro la “tecnologia di moda”, è il bello. La nuova economia passa dall’estetica, non solo dall’high tech. E il mago Steve Jobs l’aveva capito prima di tutti e su questa scommessa ha vinto il suo impero e il suo fascino.

Il Made in Italy deve ora affrontare questa prova: artigianato, piccole produzioni di qualità, il classico “lavoro ben fatto”. Ma la qualità locale non basta nel mondo globale. Se la nostra “bellezza” non filtra lontano via web e social media è come un capolavoro dimenticato nella cantina di un museo, nessuno l’amerà.

Moda, arredamento, alimentare, i grandi brand si vestono ora da artigianato. “Lusso”, nella cris,i non è più un cartellino con un prezzo esoso, è cura, tempo, produzione limitata, a passo d’uomo.

Nei “Tempi Moderni” di Charlot “industria” era una catena che legava l’operaio a una singola mansione e il consumatore a un singolo prodotto. La nuova rivoluzione industriale dice addio alla frenesia burocratica del “taylorismo” e dà il benvenuto al “taylor made”, produttori diversi per consumatori diversi, nel mercato d’Asia o sotto casa.

Manifattura additiva e fablabs sono solo l’inizio, e una parte, del nostro futuro di lavoro. Negli Usa, la metamorfosi della grande industria a new economy riconverte aree urbane e no, crea occupazione, ricerca laboratori. A San Francisco, in California, lo Stato rimette a disposizione spazi e capannoni dismessi; giovani e non ripartono con piccole, o medie, attività manifatturiere. Associazioni come SF Made promuovono le produzioni locali, e il processo si allarga a New York e Detroit.

Dopo una generazione senza manifattura la capitale della Borsa e la vecchia metropoli dell’automobile tornano a “montare” oggetti e produrre beni e servizi. Vince non la nostalgia, ma l’orgoglio del fare “in casa”, a chilometro zero. E vale per le birre delle microbrewery, le distillerie locali, come per le stoviglie disegnate dai clienti e prodotte via additive manufacturing, o stampanti 3D.

“Sarebbe però un errore cercare una via alla rinascita manifatturiera italiana solo scimmiottando gli americani- osserva Roberto Scaccia, italiano co-fondatore della piattaforma Usa di e-commerce per l’artigianato Zanoby.com. Da noi, prima ancora di considerare un “update” tecnologico, sarebbe necessaria la coscienza del valore custodito dalle nostre piccole e medie imprese. La sapienza delle mani di chi lavora, il processo produttivo classico, capace di raccontare identità, luoghi e saperi che le lavorazioni artigianali racchiudono. Questa eredità è amata dagli utenti globali. Dobbiamo connetterci, ricevere i loro feedback su nuovi prodotti ed avviare una nuova “committenza” collaborativa, a tu per tu con il cliente finale.”

Zanoby.com, startup nata da 2 anni e attiva sul web da qualche mese, ha fatto di questa visione il proprio core business. Una piattaforma dove il bello è protagonista. Articoli di qualità rappresentati con immagini, video e contenuti multimediali da premio Oscar. Non vende semplici prodotti, vende il modo in cui sono creati, le storie dei produttori, i valori del territorio da cui provengono. Roberto è un antropologo, 35 anni, occhi furbi e fisico dalla cura californiana. Un cuore italiano che vive in USA da anni, e queste sensibilità gli fan sognare e progettare il Nuovo Rinascimento Artigiano. Ci siamo conosciuti, prova a dirlo, grazie al web. Una sua collaboratrice aveva rintracciato il mio profilo facebook e scovato tra i miei post la visione “passionale” che ci accomunava.

Nella lunga skypecall Firenze-SanFranciso, Scaccia mi parla di manifattura “antropocentrica”, che in inglese suona meglio come “human centered manufacturing”. Una manifattura che fa della dimensione umana il suo punto di riferimento. “Nella sapienza delle mani risiede una coscienza collettiva del saper fare artigiano, custodita fra le linee della pelle e le articolazioni delle dita. Bisogna tornare a valorizzare questo patrimonio di sapere – insiste Scaccia – a partire dal sistema educativo, in tenera età, e farlo divenire una tradizione innovativa, e suggestiva, anche per i giovani imprenditori, in Brasile e in Brianza, per rigenerare tradizioni locali, aggiornandole con un senso estetico globale, comunicarle e rivenderle nel mondo”.

Roberto Scaccia è membro del comitato scientifico di CNANeXT, il Festival dell’intelligenza collettiva che organizzeremo ad ottobre a Firenze. Nella capitale mondiale dell’artigianato parleremo della nuova manifattura.

Un sogno antico, ma fatturati modernissimi.

FRANCESCA MAZZOCCHI

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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