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Come nasce una app per bambini, fatta con i bambini. In una settimana

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Diario del Summer Camp di Timbuktu a Digital Accademia – 8/12 luglio 2013 – Quello che state per leggere è un diario giorno per giorno del summer camp che Timbuktu ha ideato e realizzato nella settimana dall’8 al 12 luglio alla Digital Accademia di Roncade Treviso. Le foto che vedete in questo post sono state scattate da Carlo Ramerino.

Perché un summer camp? Perché abbiamo voluto aprire le porte della redazione di Timbuktu a un gruppo di 25 bambini, con i quali ci siamo posti un obiettivo molto ambizioso: costruire insieme una app in una settimana. Non volevamo insegnare ai bambini quali sono i programmi per fare una app, no. Il nostro ambizioso obiettivo era quello di lavorare insieme a loro come una grande redazione: condividendo obiettivi, dividendosi i compiti, assumendosi responsabilità, sperimentando fallimenti e gioie.

Di fatto abbiamo voluto mettere alla prova del nove la cultura di collaborazione, ascolto e sostegno reciproco che ogni giorno costruiamo dentro Timbuktu e abbiamo sfruttato questa occasione per conoscere meglio e più da vicino il lavoro che ognuno di noi fa per realizzare i nostri prodotti.

Giorno 1 – One… Two… Timbuktu!

Uno degli obiettivi delle app di Timbuktu è aiutare i bambini a conoscere attraverso l’esperienza, e a entrare a contatto con il contesto in cui vivono attraverso i contenuti a cui vengono esposti sull’iPad o sullo smartphone. Per questo motivo, la nostra settimana non poteva che cominciare esplorando lo spazio che ci avrebbe ospitato per una settimana: il parco e l’edificio di Digital Accademia. Ma prima, dovevamo percepirci come un gruppo.

E che cosa c’è meglio di un grido di battaglia per questo? Il nostro è stato, per tutta la settimana, “ONE… TWO… TIMBUKTU!”.

A questo punto eravamo pronti a partire per la nostra esplorazione. Alcuni dei bambini conoscevano lo spazio meglio di noi, ci erano già stati diverse volte, quindi abbiamo lasciato che fossero loro a fare una visita guidata per tutto il gruppo, spiegando ai più piccoli i pericoli e aiutandoli a scoprire gli angoli più belli della Digital Accademia. In questo modo abbiamo introdotto subito due dei principi guida del nostro metodo pedagogico:

1) Il lavoro si fonda sulla collaborazione. Perché questo avvenga bisogna imparare a scambiarsi competenze e informazioni.

2) I bambini devono essere messi nelle condizioni di essere più autonomi possibile e di aiutarsi il più possibile a vicenda a superare le difficoltà, ricorrendo il meno possibile alla richiesta d’aiuto a un adulto.

Dopo la visita guidata, siamo entrati in Accademia e abbiamo raggiunto la sala principale di lavoro: eravamo pronti a partire con lo smontaggio di una app. Abbiamo lavorato a partire da Oscar Pizza Chef, e poi ci siamo chiesti quali sono gli ingredienti che compongono una app: immagini, suono, testo e un programma che dice all’iPad come questi ingredienti devono combinarsi. Quindi abbiamo iniziato a lavorare sul concept.

Il punto di partenza che abbiamo scelto è quello della scuola dei sogni e a questo punto ci siamo divisi in gruppi perché ogni gruppo presentasse al CEO (come i bambini hanno chiamato Elena dal primo all’ultimo giorno) a fine giornata una declinazione del concept.

Dietro le quinte del giorno 1

Il giorno 1 si è chiuso con l’esposizione dei vari progetti su cui ogni gruppo aveva lavorato, a partire dagli schizzi che i bambini avevano prodotto per illustrare la proposta di ogni squadra. A questo punto, c’erano da capire due cose: in ognuno dei gruppi c’era qualcosa di interessante, ma naturalmente nessuno dei progetti era perfetto dall’inizio alla fine; il secondo punto di interesse era stato il fatto che la maggior parte delle squadre avesse proposto soluzioni molto vicine al proprio vissuto, con poco slancio immaginario diciamo.

Per esempio, in risposta alle nostre provocazioni tipo: “come si fa a creare un suono?” oppure “come si raggiunge la scuola dei sogni?”, i bambini avevano dato risposte come “i suoni si scaricano da internet” o “col Range Rover”. Questo non faceva decollare il concept, né il loro interesse nei confronti del progetto, perché tutto era troppo simile alla loro esperienza quotidiana, non c’era abbastanza distanza per far scattare il corto circuito che mette in moto le menti e i cuori per creare qualcosa di nuovo.

Per questo durante la cena del primo giorno, e prima della colazione del secondo giorno (ancora un po’ assonnati) tutto il team guidato dalla direttrice creativa (Francesca) si è messo a pensare a come potessimo tenere le idee migliori che avevano tirato fuori (ce n’erano!) ma allo stesso tempo aiutare i bambini a lanciarsi in un terreno sconosciuto e a usare più attivamente la propria immaginazione. Dopo tutto, questo è il terzo principio:

3) Educare i bambini a una cultura dell’innovazione non vuol dire insegnargli a usare le nuove tecnologie (non hanno bisogno del nostro aiuto per quello), vuol dire insegnargli il gusto dei problemi impossibili, e incoraggiarli a immaginare nuovi mondi e solo allora aiutarli a capire come Google e l’iPad possono aiutarli a costruire questi nuovi mondi.

Insomma, a un certo punto, davanti a una bistecca avvolta nel lardo di colonnata, ci è venuta una folgorazione. Prendiamo le classi più interessanti che hanno proposto, e togliamo la gravità. Anzi, chiediamogli di portare i pezzi migliori del loro progetto per costruire una scuola… sulla luna! La mattina dopo abbiamo fatto una riunione prestissimo – si vede dalle nostre facce? – per fare il piano della giornata.

GIORNO 2

Ma se crediamo sia importante che l’immaginazione nasca dall’esperienza, da dove partire per lavorare sulla Scuola Luna? Ovvio: da uno speciale training per astronauti finalizzato a un allunaggio.

Forse intuite che il quarto principio è:

4) La creatività non nasce solo dalla testa.

Per sbloccare un processo creativo e far avventurare l’immaginazione in mare aperto, spesso bisogna pensare con tutto: braccia, gambe, mani, piedi. Questo è particolarmente vero per i bambini, che hanno un modo di vivere il processo creativo molto più intenso e coinvolgente rispetto a tanti adulti: in più, esattamente come gli adulti, ognuno ha il suo modo di far scattare la scintilla, e incoraggiare i bambini a muoversi dà la possibilità anche a quelli che hanno un approccio più fisico di sentirsi in modo naturale parte del processo.

Mentre Tommaso Lana conduceva l’allenamento, noi abbiamo costruito la luna al piano di sopra della Digital Accademia, con tanto di biglietti gialli per entrarci, cuscini ovunque e la colonna sonora di 2001 Odissea nello Spazio per l’allunaggio.

I bambini si sono molto emozionati quando finalmente, in piccolissimi gruppi, sono arrivati sulla luna. E quella stanza di lavoro che fino a quel momento era stata una stanza come un’altra, è diventato un luogo di lavoro magico, la “stanza della luna”.

A questo punto il CEO ha comunicato che il concept su cui avremmo lavorato era una scuola sulla luna, e che avremmo usato una o più delle idee che ogni squadra aveva presentato il giorno prima. Ci siamo divisi in gruppi, questa volta separando i bambini per età e distribuendoci dei compiti con cui ognuno dei gruppi potesse contribuire a sviluppare il concept e iniziare la produzione degli asset per la app.

La missione sulla luna ha funzionato! I bambini hanno iniziato a tirare fuori idee più coraggiose, a porsi obiettivi più ambiziosi e interessanti problemi da risolvere “Come si fa ad andare in bagno sulla luna?”, “Come fanno le bidelle a pulire sulla luna?”, “Dove li mettono i razzi per andare a scuola quando arrivano sulla luna?”, “I bambini tornano sulla terra per la ricreazione?”, “Cosa mangiano i bambini a mensa sulla luna?” (“Delle lampade!” – ha detto Margherita, 5 anni – “È semplice, delle lampade di cioccolato”).

Intanto, oltre a lavorare sul concept, i bambini più grandi hanno incominciato ad acquisire familiarità con alcuni degli strumenti che avremmo usato nei giorni successivi per la creazione degli asset necessari alla realizzazione della app: iPads, Garage Band, Photoshop, Pro-tools, macchine fotografiche, il concetto di texture e di storyboard per il design e quello di campionamento per la parte del sound design.

Insieme a Samuele Motta, l’art director di Timbuktu, il gruppo dei designer ha iniziato a lavorare su uno storyboard della app e a elencare tutti gli asset che dovevano essere prodotti per realizzare la app.

GIORNO 3 – Il Trellone

A questo punto, c’era bisogno di ordine e che per tutti (anche per i cinquenni) fosse chiaro dove stavamo andando, perché e che cosa esattamente dovevamo fare per arrivare pronti al giorno del lancio della app (venerdì). Per questa ragione abbiamo iniziato la giornata intorno ai tavoli. Ognuno con dei cartoncini gialli davanti a sé e un pennarello.

Abbiamo esaminato quello che avevamo fatto il giorno prima e abbiamo guardato lo storyboard per cercare di capire che cosa ci serviva produrre. Per ogni compito abbiamo scritto una carta. Poi abbiamo diviso un grande cartellone bianco in 4 settori: design, suono, voci, personaggi. Alla fine ognuno è andato ad attaccare i cartellini con i task nel reparto appropriato. Era il nostro Trellone (usiamo un sacco Trello a Timbuktu).

A questo punto ci siamo buttati a pesce sui vari compiti: per affrontarli al meglio abbiamo deciso di dividerci in squadre e abbiamo diviso in aree la Digital Accademia: l’area design, l’area personaggi, lo studio di registrazione, la sala sperimentazione materiali, il gruppo autori. I bambini sono stati incoraggiati a essere responsabili degli spazi e ognuno di loro a prendersi cura in modo particolare di un certo aspetto. I bambini più piccoli si sono insediati nella stanza dei materiali, e quindi ne sono diventati i custodi. Per questa ragione, quando ci servivano 10 fogli bianchi, chiedevamo a Rocco. “Dovrebbero essere dieci” rispondeva Rocco “se sono di più, ce li riportate”.

All’area dei personaggi, capitanata da Stella, il gruppo design andava a chiedere cose del tipo “ci servirebbe un Eegor con la tuta spaziale per il bagno sulla luna”, oppure compiti più difficili come “ci fai un rinoceronte che prende lezioni di danza?” (nella Scuola Luna c’è un’aula speciale riservata ai rinoceronti che vogliono studiare danza per diventare più gentili).

I designer hanno sperimentato con Samuele come sia affascinante il mix di disegno, foto, materiali ed elaborazione digitale delle immagini e quanto il risultato possa risultare molto più interessante e curato dal punto di vista visivo se si lavora bene sul montaggio. Intorno alla scrivania di Samuele, l’esclamazione “Samuele sei un genio” – quando lui gli mostrava alcuni modi possibili di modificare le immagini che avevano acquisito – sono diventate un leit motif che ci ha fatto molto invidia.

I componenti della squadra del suono hanno fatto un training durissimo con Elettra Bargiacchi (che non fa sconti a nessuno e vuole tutto perfetto!). Hanno campionato di tutto: il rimbalzo di una palla, un colpo sul calorifero, passi nella ghiaia, scoppi di palloncini, aspirapolvere (e questo suono è poi diventato il motore del razzo!) e molto altro.

Dopo aver acquisito gli strumenti e le informazioni di base, la squadra si è divisa in due: una parte per il suono, l’altra per i voice overs. I bambini che si sono occupati delle voci, forti del training ricevuto hanno portato avanti il progetto da soli, sapendo che Elettra non avrebbe accettato niente che non fosse fatto davvero bene.

Pensate che Tobia, 8 anni, dopo essersi messo alla disperata ricerca di un posto silenzioso, senza eco e senza uccellini per registrare uno dei voice overs è tornato con una traccia e ha esordito dicendo “non è perfetta, ma tutto sommato siamo bambini”. Inutile dire che lui ed Edoardo sono stati rispediti a provare. Alla fine ce l’hanno fatta. Esausto e soddisfatto Edoardo mi ha confidato: “non credevo di avere tanta pazienza”.

Con difficoltà simili si è scontrato il gruppo degli autori capitanato da Francesca, che ha scritto i testi dei voice overs della app: i testi dovevano essere chiari, corti, non troppo difficili da dire. Dovevamo cercare di spiegare in una sola frase che succedeva in quella specifica classe. Un compito difficile, abbiamo verificato. Ma anche lì, con tanta pazienza, siamo arrivati alle 6 schede da consegnare agli “attori”.

Questo ci porta dritti a:

5) È importante che i bambini facciano esperienza del fallimento. Fallire, riprovare e poi riuscire dà ai bambini un enorme senso di autostima e li rende autonomi. Se gli evitiamo il fallimento e fingiamo che tutto sia sempre ok (anche quando non lo è) perdiamo l’occasione di insegnargli a valutare il risultato del proprio lavoro e quindi a gioirne quando completano un lavoro fatto bene.

GIORNO 4 – Colonna Sonora e Analytics

Questa è stata una delle giornate più entusiasmanti per il gruppo dei sound designer. Durante l’intervallo i bambini si sono messi a cercare su Youtube le parole chiave che erano emerse dal lavoro dei giorni precedenti: cometa, stella, spazio… e si sono fatti un’idea del tipo di musica che volevano ci fosse nella app. Poi sono venuti a chiamare Elettra strappandola alla pausa pranzo perché dovevano iniziare a lavorarci in quell’esatto momento. Elettra ha fatto finta con noi di essere stanca, ma si è subito alzata da tavola e si è avviata verso lo studio musicale spaziale orgogliosa dello stacanovismo del suo gruppetto di settenni, ottenni e novenni.

Con Elettra i bambini hanno deciso che strumenti dovevano esserci nella colonna sonora della app, che tipo di sonorità stavano cercando, e ognuno dei bambini ha scelto uno strumento digitale su Garage Band, e ha registrato una propria traccia. Le tracce sono state importate nel computer, lavorate e montate con Protools, un software professionale per l’editing del suono. Ascoltate il risultato!

Nel frattempo Erica Capanni, la Growth Hacker di Timbuktu, ha introdotto i bambini al concetto di analisi dei dati e metriche di utilizzo di una app (credevate ci saremmo arresi davanti alla statistica? Vi sbagliate!). Come prima cosa Erica ha chiesto ai bambini di andare a raccogliere una foglia per uno. I bambini sono tornati, e tutti insieme hanno analizzato quante foglie erano state raccolte di un tipo, quante di un altro. Erica gli ha confessato che avrebbe voluto che prendessero tutti lo stesso tipo di foglia e quindi ha cambiato l’istruzione: andate a raccogliere una foglia per uno da quell’albero. Quando i bambini sono tornati le foglie sono state ricontate: erano tutte dello stesso tipo! Il cambiamento nelle istruzioni aveva funzionato.

Poi quindi, si sono chiesti che cosa gli piacerebbe tracciare in una app. “Da dove vengono gli utenti”, “chi sono gli utenti”, “cosa fanno nella app”, “se fanno quello che vogliamo noi”. A questo punto la lezione ha preso il volo ed Erica si è messa a scrivere un elenco dettato dai bambini su quello che doveva essere tracciato nella app che abbiamo progettato. Analytics 1.0? Fatto!

A questo punto, ha detto Erica ai bambini, bisogna dire il risultato delle nostre analisi alla direttrice creativa. Ci siamo confrontati e abbiamo deciso di andare dai designer, e di dirgli che il pulsante Play all’inizio doveva essere più grosso. “Quello è il momento in cui gli utenti si attivano sulla app, non possiamo mancarlo” ha osservato Giacomo (8 anni).

Nel frattempo Jorge, lo sviluppatore iOS di Timbuktu, processava tutti gli asset sulla base delle indicazioni che gli mandavamo via email insieme ai bambini. La mattina successiva, ci ha assicurato, avremmo visto una prima versione della app sui nostri iPad. Potevamo andare a casa tranquilli.

GIORNO 5 – Il lancio della app

Il venerdì, Alma, la bambina di 5 anni con cui ho fatto colazione ogni giorno del laboratorio, appena mi ha visto ha detto: “Oggi andiamo sulla luna per il lancio della app”. Ma c’era prima da controllare il prototipo di Jorge! Abbiamo aspettato che arrivassero gli altri, e poi… OOOH! Tutto il nostro lavoro stava davvero diventando una app. Abbiamo mostrato ai bambini la versione della app che Jorge ci aveva mandato durante la notte e abbiamo preso nota con loro sulle ulteriori modifiche da fare.

Ma c’erano da fare prima tutti i preparativi del lancio. C’erano da preparare i biglietti per portare i genitori sulla luna, da selezionare i bigliettai e i controllori, da provare la presentazione, da sistemare la sala della luna per renderla accogliente, e da mettere insieme tutto il materiale prodotto nel corso della settimana per spiegare ai genitori increduli come diavolo ci fossimo riusciti (“si sa che i grandi non credono alle magie” ha detto Camilla, 5 anni).

Di questa parte si è occupata Matilde, che ha curato un’esposizione dei materiali prodotti dal gruppo del design e ha spiegato tutti i problemi che avevano dovuto affrontare e risolvere: il cambiamento di stato di un bottone (se metti un bottone nella app devi disegnare due immagini, non una, perché quando il bottone viene schiacciato deve apparire diverso), la funzione della splash page, la costruzione dell’home page, e la produzione delle varie texture per i diversi tipi di aule progettati.

La disciplinatissima squadra del suono si è rifiutata di lasciare lo studio musicale spaziale (come intanto era stato ribattezzato) e ha costruito un percorso interno allo studio per raccontare la genesi dei rumori, dei suoni e del tema musicale presente nella app (interamente composto e suonato dai bambini usando Garage Band e Pro Tools).

Una volta finita la presentazione del lavoro della settimana ai genitori, è arrivato il momento che tutti stavamo aspettando: il lancio! Digital Accademia ci ha fatto arrivare un drone, meraviglioso che al grido di “One… Two… Timbuktu!” è decollato alla volta del dipartimento dell’App Store che ha sede sulla luna.

I nostri cinque giorni di intensissimo lavoro si sono conclusi con un applauso e tutte le facce puntate verso il cielo. Vi confessiamo di essere arrivati esausti al momento del lancio, ma mentre rientravamo in Accademia per fare le valigie, abbiamo sentito Margherita (5 anni) che ha detto al suo papà: “Papà, non è stato bello. È stato stra-bello!” E ci siamo detti: “quando lo rifacciamo?”

La app Scuola Luna sarà disponibile in App Store alla fine di Agosto! Se volete essere avvisati del lancio, potete iscrivervi alla newsletter di Timbuktu.

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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