In rete si combatte una guerra sanguinosa. Attacchi feroci e humor nero, insulti, inviti all’eliminazione finale. Molti si sono già schierati: Comic sans o Helvetica? I due font, diversissimi tra loro, hanno polarizzato le opposte fazioni, paladine di modi completamente differenti di intendere la scrittura. Da un lato c’è chi mira a una comunicazione libera, informale, divertente, che punta a conquistare con il sorriso. Sulla sponda opposta si sono invece schierati i cultori della forma, i brand delle grandi marche, molti designer e grafici di successo. Per capire cos’è accaduto, bisogna fare qualche passo indietro.
“La scrittura rivela l’uomo se vuole e anche se non vuole – scriveva il drammaturgo e poeta Stefan Zweig nei primi decenni del Novecento – È unica, come lui”.
Oggi però a mano si scrive sempre meno e praticamente si continua a farlo solo a scuola. Presto, un’affermazione come quella di Zweig potrebbe non avere più senso: il gesto grafico è qualcosa di vivo, che si evolve insieme a noi durante tutta la vita ma i font? “Anche la scelta del font esprime quello che siamo, proprio come la scrittura a mano – dice Paola Urbani, presidente dell’Associazione italo-francese di grafologia (Agif) – Alcuni font del resto imitano la scrittura a mano e sceglierne uno piuttosto che un altro indica il nostro riconoscerci in determinate caratteristiche“.
Chi utilizza il Comic sans, su cui è stata fatta tanta polemica in rete, è una persona che si sente libera, informale, divertente. Qualcuno che non vuole dare troppo peso alle cose che dice.
Questo font maltratta la forma, la rende ambigua, poco chiara, malsicura e in questo modo fa dell’ironia, mettendo in discussione la sua stessa funzione comunicativa. Irride e deride. Rappresenta i valori del dubbio, delle rimesse in discussione, dello scetticismo. Quindi non è adatto a un tipo di comunicazione che voglia trasmettere un’impressione di serietà, affidabilità e che voglia comunque darsi importanza. Helvetica invece è chiaro, ben leggibile, rigido e assertivo, adulto. Si prende e viene preso sul serio. Chi lo ama effettua le scelte su base razionale, apprezza la sicurezza, la tenacia e il successo sociale. Per questo Helvetica è il font scelto da molte grandi marche: rassicura, propone qualcosa di conforme agli standard, che non offre sorprese ma mantiene le promesse. Non qualcosa di originale e di innovativo, ma di affidabile.
Esprime una personalità di tipo classico che fa propri i valori di efficacia e affidabilità.
La scrittura è un filo diretto tra mano e cervello, una specie di elettrocardiogramma ordinato della nostra personalità.
Molti studi hanno già dimostrato che rieducare la scrittura ha effetto sul cervello e può aiutare a superare alcune piccole nevrosi e disagi psichici. Quindi il filo corre nelle due direzioni: da un lato trasmette alla mano gli impulsi dettati dal cervello, che rivelano la nostra personalità, dall’altro ritrasmette al cervello gli impulsi dettati dalla mano, che possono intervenire su di esso e in alcuni casi curarlo. Cosa succederà allora quando metteremo via per sempre la penna per scrivere solo su delle tastiere?
“Credo che anche i font ci cambieranno, sottolineando e amplificando le corrispondenti caratteristiche del nostro carattere – continua Urbani, autrice di una decina di pubblicazioni sulla grafologia – Probabilmente, ma questo è un campo completamente nuovo nel quale non esistono ancora studi di riferimento, usare sempre un certo font per un lungo periodo di tempo modifica il nostro carattere. Per esempio, ad abbandonare un font misantropico come Biergarten si diventa più collaborativi, mentre chi usa sempre lo Stencil, che presenta molti annerimenti ed è il corrispettivo di una scrittura angolosa e ingorgata d’inchiostro, può sviluppare una personalità aggressiva. Sempre ammesso che si possa scegliere, ovviamente“.
L’uso diffuso del Times, per esempio, porta a una certa omologazione. Ma chi può negare che stia avvenendo? Il Times New Roman è un font serio, che ormai si può definire tradizionale. È il corrispettivo informatico di quella che un tempo era la scrittura calligrafica e denota un desiderio di essere conformi a uno standard di serietà, senza strafare. Davvero la scrittura a mano potrà un giorno scomparire? E cosa perderemo con lei? “Moltissimo – dice Urbani – Sappiamo per esempio che usando una penna si memorizza meglio e si organizzano le conoscenze in modo più efficace. Chiunque può facilmente verificarlo facendo una prova: scrivere un testo al computer o scrivere un testo a mano sono due cose molto diverse e la scrittura manuale aiuta a ricordare meglio, senza contare il portato emotivo. Quella manuale è una comunicazione più personale: un biglietto scritto a mano ha un valore emotivo incomparabilmente maggiore rispetto a uno scritto al computer”.
In definitiva, l’adagio grafologico ‘dimmi come scrivi e ti dirò chi sei’, rimane valido anche se invece di una penna si usa una tastiera. Quindi, attenzione a che font scegliete. Usare lo stesso per un curriculum e una lettera galante può essere un grave errore in almeno uno dei due casi. E se poi non sapete trovare il font adatto per voi, potete rispondere alle domande del test ”What font are you?” per scoprire quale corrisponde maggiormente al vostro carattere.