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Come ti faccio fare quello che non faresti con l’influencer marketing

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Avete presente Napoli? Beh, per rinfrescarvi la memoria Napoli è quella città in cui appena scendi alla stazione devi stare molto attento perché è probabile che ti scippino e, in ogni caso, anche se non ti scippano nessuno lavora e quindi tutti vogliono derubarti.Non solo: se superi indenne il “punto stazione” appena arrivato (se sei fortunato di non arrivare alla sera altrimenti è impossibile), devi comunque evitare tutti quelli che ti vendono iPad praticamente vuoti, Galaxy S6 composti dalla sola scocca, quelli che fanno il gioco delle 3 carte e ti fottono sempre, gli scippatori, gli scugnizzi che ti vengono a frugare nelle tasche e se non li lasci fare ti picchiano, in 6.Poi, ammettendo che tu sia vivo e voglia arrivare in albergo evitando le di cui sopra bolge infernali, ti trovi a prendere un taxi… beh, in bocca al lupo.

Prendere un taxi a Napoli è una esperienza che ha del mistico e che a volte trascende nella tragedia; sì perché se ti va bene non sai cosa spendi e se ti va male rischi l’estorsione: ti portano in angoli bui, escono in 4 o 5 e ti prendono tutto. Anche la dignità, a volte.Ah… benvenuti a Napoli.

Ok, abbiamo esaurito i luoghi comuni su Napoli, che tanto lo so che ci si casca sempre, quindi possiamo iniziare a parlare seriamente.Nella metropoli partenopea ultimamente ci sono stato spesso ed è inutile dire che è sempre stata una esperienza bellissima, sia per quello che riguarda la bellezza stupefacente della città sia per i napoletani che io, personalmente, amo.Ma non li amo perché fanno degli ottimi babbà, non solo per quello almeno, li amo per il fatto che quando si mettono sotto, insieme, sono i più straordinari lavoratori della terra: caparbi, decisi, precisi, netti, lucidi e con la creatività che esce dalle orecchie.A Napoli se si lavora, si lavora tantissimo, come nel resto d’Italia.

E Napoli è anche il luogo in cui alcune cose, alcune idee, prendono pieghe molto interessanti.

E adesso parliamo di persuasione

Facciamo un esempio: sapete di cosa parliamo dicendo “influence marketing”?Ve lo spiego io, dall’alto della mia fulgida et brillante cattedra in digital public relation. Riporto dal mio blog:

Se tutti siamo qua a dire che vende più una faccia di un marchio, se diciamo che le persone si fidano delle persone, se diciamo che la gente ascolta l’altra gente e se ammettiamo che i brand debbano comportarsi come persone allora saremo certi che l’adv si sposta sulle persone. E, per altro, non è più ADV in effetti.Si chiama influencer marketing ed è quella cosa che fa sì che siano i consumatori i veicoli d’immagine di un prodotto.

L’Influencer marketing è una forma di marketing basata sull’identificazione delle persone che hanno influenza sui potenziali acquirenti

Le attività di marketing sono focalizzate quindi su queste persone influenti. Lasciando poi che questi ultimi, sostanzialmente in autonomia, a loro volta influenzino il grande pubblico.Se volete, chiamatelo marketing dell’influenza, o digital PR, o pubbliche relazioni digitali, ma rimane il senso della cosa. (se volete, la fonte è questa)

È evidente che è una nuova formula, un modo diverso da quello che si è sempre inteso come marketing. Oh, Dio, è qualcosa che si è sempre fatto ma che oggi è possibile fare in modo nuovo, sulle persone.Bene, a Napoli esiste una startup, una di quelle vere, non di quelle sedicenti, che pare non conoscere limiti di crescita, che cavalca questa nuova onda in modo etico e che sembra essere diventata un punto di riferimento proprio in ottica di influence marketing.Ma come è possibile fare una cosa così diversa dalle altre, crearci un business, mettere insieme realtà e teste eterogenee e farle fruttare in un campo che non ha nessuno storico di raffronto?Difficile, eh?

E adesso intervistiamo chi fa influencer marketing

Eh si, è per questo che io ho voluto fare due chiacchiere con Fabrizio Perrone che di questa realtà, Buzzoole, è il founder…. quello che ha cacciato l’idea, in italiano.Ma prima di fargli qualche domanda, una nota: sapete quando mi è venuto in mente di scrivere questo articolo? A tavola, una sera, a Napoli, con Fabrizio e altri ragazzi, una cena in cui io e il mio socio Skande siamo stati invitati per fare delle chiacchiere e dove non ci siamo risparmiati, con le chiacchiere, ma nemmeno con il cibo e con il vino.Poco lavoro, molte chiacchiere, molta visione e pochi piani di business: a me non interessa come sta in piedi un’azienda se non è la mia, a me interessa leggere le persone per poterne replicare i modelli, il successo gli assiomi.Io AMO le persone che fanno, che fanno le cose senza troppi proclami e che hanno come mantra la serendipità e il pragmatismo.Quindi, visto che Fabrizio queste cose le ha, ho pensato di cacciare giù qualche riga.

Fabrizio, la prima domanda è di rigore: perché uno di Napoli decide di lavorare? Dai, dicci la verità

Che domande, ovvio…per fare un sacco di soldi e godersi la vita nella città più bella che esista, (sì parlo proprio di Napoli eh!).

Scherzi (non proprio scherzi) a parte, la verità è che non avrei immaginato di vedermi altrove. Io amo la mia città, il mare, i suoni ed i profumi. Lo dico davvero: se non hai visto Napoli, non hai visto nulla. Inoltre, ho sempre amato viaggiare: in questo modo, vivo nella città più bella del mondo e approfitto del lavoro per muovermi e visitare posti nuovi. Settimana scorsa, ad esempio, ero a Londra

Scusa, dico davvero, e penso che la tua risposta sarà, almeno in parte, positiva: non sarebbe stato più semplice andare a Milano o a Bologna, o a Dublino e lavorare li? Dico davvero, perché hai deciso di rimanere a Napoli?

Certo, assolutamente sì!Ma non credo che per me sarebbe stato altrettanto gratificante.

È chiaro infatti che le difficoltà che incontra una persona che decide di avviare il suo business a Napoli sono di gran lunga maggiori di quelle che si possono incontrare altrove.

E questo per tante ragioni: è più difficile perché il tessuto di relazioni che ti offrono città come Milano, Londra, Dublino è certamente maggiore rispetto a quello napoletano. Questo, tradotto, significa maggiori difficoltà nel reperire i primi investitori ed anche i primi clienti, poiché dovrai guardare oltre il tessuto locale. È difficile perché il mercato del lavoro napoletano è stato impoverito negli anni dalla costante migrazione di “cervelli” verso il Nord, pertanto in un mercato innovativo come il nostro, diventa più complicato trovare persone che abbiano competenze in ambito digitale. Ma – perché in tutto c’è sempre un ma -, non è un caso, che, complici tutte queste difficoltà, Napoli ed il Sud in generale siano poi invece il luogo in cui nascono realtà innovative come la nostra.

Quando hai capito che c’era spazio per questa bizzarria chiamata influence marketing? Parliamo di una cosa relativamente nuova e riuscire a fare un business con le cose nuove non è poi mica sempre semplice.

L’idea è nata circa tre anni fa: lavoravo in un’agenzia che si occupava di digital pr e da lì l’idea di creare un tool che permettesse a brand ed user di misurare la reale influenza degli utenti in rete. Questo perché ho sempre nutrito la convinzione che tale influenza sia diversa dalla popolarità mentre i brand continuavano a ricercare nei key player la seconda e mai la prima delle due “qualità”.

Per rispondere invece alla tua seconda domanda, il punto è che se intendiamo l’influencer marketing come “l’arte di identificare, stabilire e nutrire nel tempo relazioni con key player/opinion leader nel mercato per raggiungere obiettivi di business aziendali” non c’è nulla di nuovo sotto il sole. Si tratta di una pratica che esiste da sempre: a cambiare è la tecnologia (e/o il medium) attraverso cui ciò avviene. In questo senso, la vera difficoltà non è stata immaginare un nuovo business (che come ti dicevo, esiste da sempre, magari etichettato sotto altro nome) quanto avvicinare i brand all’utilizzo continuativo di questa pratica. Per riuscirci, da un lato abbiamo dovuto rompere il concetto/presupposto secondo cui influenza = popolarità, e dall’altro lato avvicinare a questa pratica non soltanto dei big brand ma anche il mondo delle piccole e medie imprese.

Come ve la cavate con la questione etica? Mi spiego: molte persone dicono che il vostro sistema non è trasparente perché gli “influencer” o presunti tali fanno pubblicità senza che i lettori lo sappiano… insomma,si tratterebbe di manipolazione, no?

Grazie per aver sollevato il tema etico che rappresenta un tema a noi caro. Dunque, a mio avviso, tutte le cose hanno sempre un linea grigia ed il significato delle cose cambia in funzione della prospettiva dalle quali le guardiamo. Partiamo da un concetto semplice: noi non siamo un network di publisher, non vi è fatto alcun obbligo per gli utenti di aderire alle campagne la cui partecipazione, invece, è libera e deriva dalla volontà, consapevole, dell’influencer prescelto di sposare la causa di un brand.

Non vi è quindi manipolazione se è l’influencer stesso a decidere se sposare o meno la causa del brand perché ne condivide i valori e/o ne apprezza i prodotti. È questo il presupposto: pensare a noi come un tramite, un contatto tra brand che vogliono trasformare influencer in ambassador ed influencer che sposano, perché a loro volta consumatori, la filosofia di una marca. Se la vedi da questa prospettiva, non c’è manipolazione ma soltanto una “causa comune”. Approfitto di questa domanda proprio per anticiparti il lancio a brevissimo del decalogo etico degli utenti, uno spunto di riflessione anche per i nostri stessi utenti che avrà come obiettivo, proprio quello di sensibilizzare al tema etico: accettare campagne, solo quando si sposa il brand! La pena altrimenti, la perdita di credibilità che è poi il presupposto dell’influenza e dell’autorevolezza, ma questo ce lo hai insegnato tu.

Beh ecco, io non so quello che potrete pensare in ottica di influencer e di tutto quello che abbiamo raccontato, ma personalmente vi dico cosa penso io: se qualcuno CREDE in un prodotto o servizio non vedo il perché non lo debba dire e il pensiero che questa novità digitale sia a Napoli e a Napoli rimanga, personalmente, mi esalta.

Ad maiora ragazzi!

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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