Se c’è un aspetto del futuro del cibo che gli ultimi due anni hanno messo in chiaro, è che sarà social. Dalla produzione al consumo, non è in fondo una novità. Il cibo, e in particolare il pasto, sono forse il più antico social network esistente. Il fatto è che una quantità di piattaforme – da Gnammo a VizEat, solo per rimanere in Italia – sono riuscite a potenziarne questo tratto distintivo, facendo del social eating una categoria di pensiero ancora prima che un’attività della prassi. Condividere la tavola di casa propria con gli sconosciuti è un approccio sempre più presente fra le opzioni di socializzazione, come uscire con gli amici o partecipare a un evento pubblico. Poi magari non è ancora troppo diffuso ma è, come dire, ormai sdoganato.
L’ESPERIMENTO SARDO
Talmente sdoganato che il 19 agosto Nughedu Santa Vittoria, un piccolo borgo di 500 abitanti in provincia di Oristano, vi farà ricorso per un’iniziativa unica: combattere lo spopolamento e attrarre turisti e visitatori grazie alla sharing economy. Dietro c’è Nabui, una società specializzata in modelli di sviluppo a elevato impatto sociale, che ha ideato quella giornata con sette cuochi e un oste pronti a mettere a disposizione la propria cucina, a chilometro zero con prodotti locali e genuini, per condividere i sapori locali.
Insomma, una maxicena in collaborazione con Gnammo che si muove appunto sulla concretezza del territorio. E su quel potente fenomeno di persone che non si conoscono ma finiscono per unirsi intorno a un piatto grazie a interessi e passioni comuni.
In questo caso ai fornelli ci sarà anche lo chef stellato Roberto Petza: presenterà la rivisitazione di un piatto tipico locale, la “pasta in brodo”, rimodellato secondo i gusti dei consumatori internazionali. I piatti proposti dai cuochi di Nughedu Welcome saranno preparati con la pecora allevata nel Barigadu e la frutta e verdura coltivata negli orti della zona; protagonista di eccezione, il pane cotto nei forni del paese. Per dire.
TUTTO IL CIBO È SOCIAL
Il social eating è solo uno dei diversi trend messi a fuoco da una recente indagine firmata da Havas intervistando quasi 12mila persone sopra i 18 anni in 37 mercati del mondo, dall’Italia al Sudafrica passando per gli Emirati Arabi. In particolare, la società di ricerca e comunicazione si aspetta grossi cambiamenti dai brand e dalla ristorazione, modellati proprio a partire da questo trend.
Per esempio i ristoranti stanno ridisegnando gli spazi per incoraggiare gli sconosciuti a mangiare fianco a fianco. Una prova? Il capo architetto di Chipman Design Architecture negli Stati Uniti ha spiegato che l’85% dei locali casual e fast-casual hanno chiesto di ideare spazi comuni nei ristoranti. Non solo startup: c’è da aspettarsi anche un’impennata dei corsi di cucina, perché mangiare a casa e bene è ormai di moda. Ma i giovani ne sanno pochino, quindi la formazione sarà essenziale.
Le tendenze che si manifesteranno ruoteranno intorno a un ripensamento complessivo dell’industria alimentare
Un’altra tendenza dell’indagine è quella che Havas chiama Me, My Body and The Planet. Cioè la constatazione che il cibo, a volte, rischi di ucciderci. E che non sappiamo come difenderci. Le tendenze che si manifesteranno ruoteranno intorno a un ripensamento complessivo dell’industria alimentare. Non solo e non tanto grazie ai cibi del futuro ma soprattutto sotto il profilo della fiducia nei confronti dei bran, anche in base alle ricadute delle loro produzioni per la salute del pianeta. Meno ingredienti scivolosi nei prodotti, tecniche meno invasive e più etiche e sostenibili. In una parola: trasparenza totale. Dopo la cucina a vista, anche il campo e la fabbrica dovranno essere a vista dei prosumatori per esempio tramite applicazioni e guide online per valutare la bontà di quanto acquisteremo. Con un occhio allo spreco.
Siamo disponibili a pagare qualcosa di più per prodotti e materie prime realizzate o coltivate nella propria zona
La terza tendenza che modellerà il futuro del cibo, della sua produzione e distribuzione è il richiamo dell’ingrediente locale. Il 72% degli intervistati fra le persone attive anche nel consumo ha infatti dichiarato di essere disponibile a pagare qualcosa di più per prodotti e materie prime realizzate o coltivate nella propria zona. E il 60% preferisce comunque un negozio locale di un supermercato. Le svolte toccheranno la sostenibilità della filiera, che negli Stati Uniti come in Europa è estremamente legata alla gomma. Non solo ambiente, anche le qualità nutrizionali dei prodotti ne risentono enormemente (e negativamente). I consumatori rifiuteranno progressivamente questo sistema di distribuzione a favore di qualcosa che, come i gruppi d’acquisto in realtà ben consolidati ma rinnovati da sistemi come L’Alveare che dice sì, tanto per citarne uno che aderisce alla rete Food Assembly, li colleghino direttamente ai produttori. Il trend toccherà anche la parte per così dire gastronomica, guidando le persone a preparare pasti l’uno per l’altra in ottica comunitarista, come Comuneat in Francia. Stagionalità, comunità, autenticità saranno le parole chiave per i grandi marchi, che dovranno tornare a convincere i consumatori.
PIÙ VICINI ALLA NATURA
Altre due tendenze individuate si legano invece a fenomeni più specificamente di costume, di moda, di fascinazione collettiva. Da una parte cambierà il modo di mangiare, avvicinandosi alla natura. Che questo possa voler dire meno carne o meno cibi processati, crudismo o veganismo, poco importa. Nella stragrande maggioranza dei casi significherà semplicemente scegliere ciò che abbia subito meno passaggi dal campo o dall’allevamento alla tavola. Dai succhi pressati a freddo ai box e agli snack nutritivi, che negli Stati Uniti arrivano tutti a casa con abbonamento, passando per i fast food che si sposano a diete a base di vegetali, le scelte dovranno crescere e farsi sempre più semplici e al contempo raffinate.
LE SCOPERTE DEL #FOODPORN
Dall’altra, ma questo lo sappiamo bene, è la scoperta del cibo e delle sue varianti ad aver subito una rivoluzione grazie ai social network, Instagram su tutti, e al fenomeno del #foodporn e del #foodgasm che sta anche, lessicalmente, appaiandosi perfino alle gioie del sesso. La generazione Millennials è in fondo la più ignorante sotto il profilo pratico ma al contempo la più ossessionata dal cibo e la più disponibile a sperimentare nuovi accostamenti, ingredienti e sapori: una tribù di foodies che si dà appuntamento in una quantità di locali ormai diversissimi fra loro, dal bagel bar allo street food, vissuti e raccontati in presa diretta. Dietro l’angolo c’è l’esplosione di una quantità di opportunità in molti ambiti, dal prodotto stesso all’educazione. Dalle applicazioni per scoprire nuove ricette alle piattaforme per conoscersi o trovare nuovi locali o ingredienti, la community continuerà a crescere. Così come la food photography. E il coinvolgimento dei brand, sempre più immersi nelle conversazioni che devono tentare di guidare. Per non farsene travolgere.
SIMONE COSIMI