Confesso, faccio uso di pc e Windows (e mi sento fiko lo stesso)

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Ah, ricordo ancora i tempi in cui il mondo tremava al rumore dei nostri razzi, diceva Marko Ramius al comando dell’Ottobre Rosso parlando degli antichi fasti militari sovietici, mentre io sono qua a pensare “ah, ricordo ancora quel Commodore 64 in quella stanza con la moquette blu”. Lo so, non c’entra molto ma come inizio mi piaceva e quando le cose piacciono funzionano, sempre.

Ma, dicevamo, quella stanzetta con la moquette blu: vi ricordate gli anni ’80, voi, per caso?

Io si, cavolo se me li ricordo: gli anni in cui il mondo sembrava avere trovato un motore di crescita chiamato “consumo” del tutto inesauribile, gli anni di Regan e della Tatcher a comandare l’universo della deregulation, gli anni dell’economia libertaria, dl Mundialito in Spagna tanto caro a noi italiani, gli anni della crisi di Sigonella, dei primi personal computer, della nascita di una tecnologia magnifica e gli anni del Commodore 64 e del Zx Spectrum.Ho letto un post di Stefano Capezzone qua, su CheFuturo, in cui parlava appunto della “guerra” che ci fu tra Spectrum e Commodore e del perché lui avesse scelto Commodore.Per i tasti: «ricordo con chiarezza che personalmente preferii il Commodore perché aveva la tastiera con i tasti veri, di plastica dura, che quando li premevi facevano un click metallico».

Ecco, io invece ricordo benissimo che preferivo di gran lunga lo Spectrum perché più piccolo, nero, elegante e per i suoi tasti, i suoi magnifici tasti in gommina morbida che evitavano quell’irritante click.Ma, visto che un click non fa primavera, espressi ai miei l’irrefrenabile voglia di possedere un Commodore 64 perché mi sembrava più semplice da usare, perché alcuni miei amici lo possedevano e quindi mi potevano aiutare e perché, alla fine, dei tasti me ne sbattevo.Ricordo anche con tanta dolcezza che i miei mi comprarono il monitor ai fosfori verdi perché, dicevano “ci stai troppo tempo li davanti”. Su quella scrivania color crema e i bordi rossi, su quella moquette blu c’era un mondo aperto, un mondo nuovo, un mondo di opportunità.O così almeno credevo, visto che alla prima accensione mi guardai intorno con circospezione e, sotto alla cibernetica scritta “64k RAM SYSTEM 38911 BASIC BYTES FREE READY”, io digitai le mie prime parole su un computer, che furono “entra in banca”.Mettendomi nei panni del povero Commodore oggi, mi verrebbe da rispondere, ma quale banca? E soprattutto, da dove entro in banca visto che non esiste ancora una connessione a Internet e Internet manco sai cos’è.

Ma tant’è, erano gli anni di Automan e di War Games, il mio cervello era inquinato di questa roba e io pensavo di essere un hacker senza sapere cosa fosse un hacker.

Ah, quanti ricordi con quel Commodore, quante volte “press play on tape” che ho fatto, per giocare ai game più fiki che il momento permetteva. Quante volte ho provato a programmare ottenendo risultati del tutto imbarazzanti se non addirittura, non ottenendo alcun risultato.

Non era il mio mondo, credevo: troppo tecnico, troppo poco intuitivo, troppo matematico, troppo scientifico.

Così, da quel mitico 1983 in cui avevo 10 anni, ne passarono altri 15 almeno, prima che tornassi ad aprire un computer, e le cose erano decisamente cambiate.

Si arriva alla fine degli anni ’90, le Torri Gemelle erano al loro posto, la legge di Moore esprimeva il meglio di sé e gli Athlon a 700 Mhz facevano concorrenza ai blasonatissimi Intel 486 e chi più ne ha più ne metta.Gli anni di Windows ’98, dello strapotere di Microsoft in un mondo che pareva destinato, per sempre, a rimanere PC centrico.

Tutto era cambiato a una velocità strabiliante e in modo completo e, apparentemente, stabile. Poi arrivò il “Paradosso Microsoft” che cerco di spiegare nel mio primo libro sul Web 3.0. Il paradosso di Microsoft sta, e lo so che sembra assurdo, proprio nell’incredibile successo dei suoi prodotti: un’azienda che piazza il suo sistema operativo ed il suo software per fare lavorare aziende e privati, in tutti i computer del mondo, cos’altro deve fare?Ma mentre la casa di Redmond si crogiolava in fatturati stellari, altre realtà stavano crescendo in un humus incredibilmente creativo e dinamico come quello della Silicon Valley. Aziende come Google stavano capendo che non è necessario installare un programma per usare il programma stesso. Grazie al cloud è l’azienda ad avere il potere, liberando l’utente da fastidiosi crash di sistema e perdite di dati ed installazioni e configurazioni, ma tenendolo legato a se.Mentre Microsoft faceva sistemi operativi fallimentari come Windows Vista, aziende come Oracle compravano Sun Microsistem, una realtà che, sotto al naso di Microsoft, stava costruendo l’antagonista di Office, cioè Open Office. Gratis.

Mentre accadeva tutto questo anche altro stava cambiando: Apple, o meglio Steve Jobs, aveva capito che un oggetto tecnologico può essere anche bello. Da li, da quella intuizione che a noi sembra banale e scontata, nasce quella che è stata una nuova generazione di rivoluzioni, una generazione che non implica la leadership di una tecnologia ma del messaggio che questa tecnologia passa.

Noi non compriamo tecnologia, noi non compriamo un oggetto. Noi compriamo uno stile di vita.

Dice il buon Capezzone parlando del momento in cui ha preso coscienza che avrebbe dovuto avere un Mac e non un PC, Epifania avvenuta sul tratto Milano Roma in Freccia Rossa: «gli eleganti esponenti della classe dirigente italiana che condividevano lo scomparto con me avevano tutti un MacBook e questa diversa forma di tecnologia si intonava perfettamente con il loro essere eleganti».

Beh sapete cosa? Capezzone ha ragione! O meglio, per me non ha assolutamente ragione, nel senso che in questo momento, nel momento in cui scrivo sono su una Freccia in direzione Napoli, sto scrivendo sul mio Vaio in tungsteno e magnesio e ho anche il corpo bello pieno di tatuaggi, ma non per questo mi sento a disagio. Né per il tungsteno, né per il magnesio né tanto meno per i tatuaggi.Ha ragione perché ha beccato in pieno il senso della cosa che ho scritto, ha aperto il vaso di Pandora della tecnologia dei giorni nostri: uno non usa una cosa perché va meglio delle altre ma perché gli piace di più, perché crede che sia fika, che sia uno status, che sia cool.

Uno una usa una cosa perché crede… crede un sacco di cose ma non sa nulla.

Uno crede che Windows vada male senza avere mai provato il 7, per dire, e senza mai essere andato oltre al 95.

Uno crede che Android vada male senza avere mai provato un device di fascia alta ma solo giocattoloni da 100 euro.

Uno crede che il Mac sia complicato perché ha sempre usato, fin dal Commodore 64, dei PC Windows.

Uno crede che Windows Phone vada male perché una volta gli è crashato Windows Vista e quindi, visto che il nome ricorrente è Windows, allora anche quello dentro ai telefoni deve andare male.

Uno crede di essere fico usando un Air piuttosto che un PC in treno verso Milano o Roma, crede di elevare il proprio status, di diventare elegante. Capite? Chissenefrega di come va una macchina.Uno crede…

Ecco, la tecnologia è diventato questo, è diventata identica alla moda: uno crede di essere meglio degli altri portando dei capi firmati che gli altri non si possono permettere, anche se oggettivamente brutti. Non è la velocità o la forza a fare la differenza, non sono le performance o le caratteristiche delle cose ma è quello che noi cediamo che siano o quello che crediamo possano fare o che crediamo ci possano far diventare.

Ecco, ecco perché io sto scrivendo su un PC e non su un Mac: perché credo che passare dal mio ecosistema a un altro mi porterebbe delle rotture di balle, perché credo che il mio Vaio vada meglio di qualunque altro device e perché credo che avendolo pagato 1300 euro debba essere un buon dispositivo… altrimenti mi darei del cretino da solo.

Poi certo, gli esperti diranno che un Mac è meglio perché bla bla bla, che iPhone è peggio di Android perché bla bla bla, che Windows dal 7 in poi è buono perché è bla bla bla ma la verità è una e una soltanto: solo quelli che usano la tecnologia per lavoro e sono molto informati scelgono le cose con cognizione di causa.Tutti gli altri lo fanno perché “credono” e per un mero principio di riprova sociale ovvero ritenendo una cosa fika quando la fanno in tanti, specie se di grado sociale superiore.

Ok, adesso chiudo il Vaio, caccio fuori il mio Huawei, mi metto le cuffie e mentre ascolto la musica rifletto… chissà cosa penserà di me questo signore qua di fianco, in giacca e cravatta, che forse ha letto quello che ho scritto ma che di certo ha notato che non ho un Mac Air come il suo.

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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