Connettersi, per cambiare davvero. Perché il rischio che si corre è che ognuno vada per la sua strada e che le tante lampadine accese in giro per il Paese non si colleghino fino a diventare un inarrestabile fascio di luce capace di illuminare tutta l’Italia. Parlo dei tanti innovatori sparsi nel Paese il cui processo di connessione è cominciato proprio grazie a chi ha fondato Che Futuro!, Riccardo Luna, che per far nascere Wired ha avuto una intuizione: unire chi faceva innovazione in Italia.
Credits: Banksy Keep Your Coins. Fonte: Imgfave.com
Io non sono tra i fan di Wired della prima ora, ho ammesso di aver capito il grande lavoro di Riccardo soltanto nel momento in cui ha lasciato il giornale, lì ne ho compreso l’importanza e l’efficacia.
E da lì abbiamo fatto tanti passi avanti, il primo e più importante è avvenuto a livello locale o verticale in tutto il Paese.
Con locale intendo la connessione tra innovatori a livello territoriale, con verticale intendo la connessione per specifiche competenze o interessi
Le singole persone hanno cominciato cioè a diventare comunità, a definirsi insieme, a lavorare braccio a braccio, a scambiarsi idee e propositi. A condividere. Così, oggi, in giro per l’Italia non incontriamo più soltanto singoli innovatori, ma vere e proprie comunità dell’innovazione. A Lecce, per fare un esempio, Gabriella Morelli e Vito Margiotta hanno scommesso sulla possibilità di connettere tante persone e hanno vinto una sfida che sembrava impossibile: TedXLecce e XOff sono oggi un fenomeno nazionale, un punto di attrazione di saperi e pensieri.
Nel mondo delle piccole imprese il lavoro fatto da CNA è in continua crescita e ci sono tanti artigiani – artigiani digitali e imprenditori – che creano connessioni importanti a livello locale e nazionale a seconda dei settori di appartenenza. Anche l’agricoltura mette insieme un nuovo sistema Paese grazie al lavoro di Coldiretti Giovani Impresa e ancora a livello istituzionale e politico – e parlo di politica buona e concreta – RENA sta connettendo un numero enorme di comunità del cambiamento, fatte da pionieri che dedicano il proprio impegno civico a favore dell’innovazione della cosa pubblica.
Uno dei tanti interventi al TEDxLecce
Sono tutte realtà, e ne ho citate solo alcune a titolo di esempio, che ho incontrato in otto mesi di giro d’Italia, portando in tanti luoghi quel Manifesto del Cambiamento che ho messo insieme con il libro “È facile cambiare l’Italia, se sai come farlo”, edito da Hoepli.
Per me è stato un viaggio incredibile e inaspettato, perché mai avrei immaginato di trasformare un libro in un tour su e giù per il Paese, accolto ogni volta da persone desiderose di ascoltare, di confrontarsi, di proporre la propria idea di futuro.
Persone che nei loro territori stanno facendo un lavoro incredibile, stanno costruendo vere comunità dell’innovazione
È però mia consuetudine cercare oltre, superare l’emozione per comprendere come trasformarla in qualcosa di più forte: non basta cioè incontrare le diverse comunità e applaudirne sforzi e risultati, serve connetterle. Metterle insieme. Far sì che le tante fatiche e i tanti risultati non rimangano isolati. Serve farlo perché è necessario dare un messaggio al Paese, che è da troppo assopito da un pensiero negativo, quasi da una resa davanti a un futuro non semplice, e che invece ha tante luci accese. Molte più di quelle che vengono raccontate.
La sessione conclusiva di Cna Next “Innofare” alla Maker Faire di Roma
Già in passato ho sottolineato la necessità del racconto , ma oggi abbiamo una opportunità in più: connettere le comunità dell’innovazione, che sono composte da variegate teste che operano in campo imprenditoriale, sociale, istituzionale. Lo possiamo fare perché a mio avviso l’Italia cambia nel momento in cui queste tante piccole luci sparse per il Paese si connettono l’una all’altra in un’unica grande rete. È come se oggi ogni comunità producesse 20 watt di potenza, ma una volta connesse quei singoli 20 watt diventassero di colpo 200, con un fattore moltiplicatore capace di dare luce all’intero Paese. Le grandi rivoluzioni, la storia lo insegna, non sono mai guidate dal 51% della popolazione, sono sempre piccoli gruppi a trainare le masse.
Quei piccoli gruppi, nell’idea di una rivoluzione positiva, propositiva e fattiva, sono le comunità dell’innovazione: serve dirsi gli uni agli altri che è arrivato il momento di connettersi, serve darsi dei valori di riferimento che già sono condivisi ma che ancora non sono scritti. Se quindi alla voce comunità dell’innovazione possiamo scrivere “insieme di singoli innovatori che, per territorio o competenza, uniscono idee e sforzi per generare un cambiamento più grande, importante ed efficace”, serve che ogni comunità, stante valori non negoziabili quali inclusione, connessione, trasparenza, merito e naturalmente innovazione (perché le cose o si fanno in maniera diversa, o non si fanno), accenda oggi stesso una connessione in più. Tenda una mano. Agganci alla propria rete un’altra rete.
Non sarà qualcuno dall’alto, né lo potrebbe essere, giacché le stesse comunità dell’innovazione nascono in maniera bottom up. Tocca a ogni comunità domandarsi con quale altra non sia ancora connessa e schiacciare, proprio ora, Start.
ALESSANDRO RIMASSA