Conti alla mano, perché è troppo presto per dire che siamo usciti dalla crisi

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L’economia italiana ha girato l’angolo lasciandosi dietro le spalle una recessione decennale? E’ quello che tutti sperano, ma è presto per dirlo e pericoloso per crederlo sulla base di un paio di dati positivi che la scorsa settimana ci ha regalato l’Istat. A gennaio del 2015 il tasso di disoccupazione è sceso al 12,6%, un riduzione dello 0,1%, la seconda da dicembre.

Ciò significa che su base annuale la disoccupazione è tornata ai livelli di dodici mesi fa.

In calo anche il tasso di quella dei più giovani, e cioè della classe d’età compresa tra i 15 ed 24 anni. Rimane però alta la quota di giovani disoccupati (41,2%) rispetto al totale di quelli attivi (occupati e disoccupati).

Credits: focusitaly.net

Sale poi l’indice che l’Istat compila per quantificare le aspettative di crescita del settore manifatturiero, passate da 97,6 a gennaio a 99,1 a febbraio.

Persino gli indici che misurano l’umore dei consumatori e dei produttori sono saliti, segno che l’ottimismo riguardo all’economia inizia timidamente a farsi strada.

E’ però anche vero che il 2014, che passerà alla storia come l’Annus horribilis dell’economia italiana, è stato l’anno peggiore dell’ultima decade e che bisogna aspettare almeno due trimestri di dati positivi per poter affermare che l’economia sta uscendo da questo tunnel.

Nel 2014 il PIL si è contratto dello 0,4% scendendo sotto i livelli del 2000. E sono cresciuti sia il deficit, salito al 3%, a fronte del 2,9 dell’anno precedente, sia il debito pubblico, che ha raggiunto il 132,1% mentre nel 2013 era al 128,5. 
Il 2014 è anche stato un anno nero sul fronte della disoccupazione, 12,7% contro il 12,1 dell’anno prima: si tratta di valori record che non vedevamo dal lontano 1977.

Disoccupazione record anche per i giovani nel 2014, il tasso di quella giovanile (tra i 15 ed i 24 anni) è cresciuto di 2,6 punti percentuali, arrivando al 42,7%, con un picco del 58,5 per le giovani donne del Mezzogiorno.

I dati dell’Annus horribilis sono particolarmente preoccupanti perché fanno parte di un ciclo economico recessivo iniziato nel 2008 e di uno più lungo, inaugurato all’inizio del secolo con la nascita della moneta unica, che ha regalato al nostro paese negli anni antecedenti alla recessione una crescita anemica, come illustrato dal grafico ricavato dai dati dell’OCSE. Ed è anche per questo che è difficile attribuire al leggerissimo miglioramento registrato dai tassi di disoccupazione e dagli indici dell’Istat la forza necessaria per iniziare un nuovo ciclo di crescita sostenuta.

Il calo della disoccupazione, infine, potrebbe scaturire da fattori negativi. Ad esempio la Codacom fa notare che nel 2014 c’è stato anche un grosso aumento dell’occupazione part-time, 3,2% negli ultimi tre mesi dell’anno. Un dato che sicuramente ha influenzato positivamente quello della disoccupazione e che potrebbe mascherare una ripresa che non c’è.

Discorso analogo va fatto per i dati dell’emigrazione. L’Istat pubblicherà quelli del 2014 soltanto a fine anno ma a giudicare da quelli del 2013 il trend è preoccupante: un numero sempre maggiore di giovani lascia l’Italia per cercare lavoro all’estero e quindi scompare dalle statistiche della disoccupazione.

Nel 2013 82mila italiani sono emigrati, il 20,7% in più che nel 2012, facendo registrare il valore più alto degli ultimi 10 anni.

Anche il numero di cittadini stranieri che lasciano l’Italia è salito nel 2013 rispetto all’anno precedente (+14,2%).E’ bene dunque essere cauti riguardo all’andamento dell’economia ed aspettare almeno la metà dell’anno per essere ottimisti.

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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